SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata ai libri scritti da autori locali. Questa settimana abbiamo incontrato il sambenedettese Antonio Prado, esperto di internet e tecnologia che insieme a Danilo Smaldone ha scritto il libro “Parlami di Tech. Suggerimenti d’uso per genitori e minori”.
Come è nata l’idea di scrivere questo “manuale” rivolto, in particolare, a chi è coinvolto nell’educazione dei minori e degli adolescenti?
Innanzitutto grazie di questa occasione che l’Ancora mi dà di poter discutere su temi così attuali. Devo premettere che il contesto dove opero è per lo più fatto di tecnici e professionisti di alto profilo per i quali la rete non ha segreti. Tuttavia anche loro, quando si tratta di educare i figli al digitale, si trovano alle prese con i problemi di tutti. Da questo scaturiscono dibattiti, anche stimolanti, all’interno della comunità, da alcuni preoccupanti fatti di cronaca, ad esempio il cyberbullismo; ed è principalmente grazie a questi ripetuti confronti che è nata l’idea di divulgare, il più possibile, dei suggerimenti utili agli educatori in genere sui temi del rapporto tra minori e mondo internet. Appuntarli su un testo da distribuire ci è sembrato il modo più efficace per sensibilizzare gli adulti alle prese con adolescenti o preadolescenti.
Quali sono a suo avviso le insidie principali che si celano dietro un dispositivo digitale?
I dispositivi digitali rappresentano oggi un sussidio direi utilissimo alla crescita e allo sviluppo nelle fasi dell’apprendimento, ma restano pur sempre degli strumenti e come tali né buoni né cattivi. Dietro, e in questo caso è il caso di dire anche “dentro”, tali dispositivi ci sono persone che interagiscono. Molte volte incontriamo e ci relazioniamo con brave persone, qualche volta capita il malintenzionato, proprio come nella vita di reali. Quindi, a mio modo di vedere, le più pericolose insidie sono rappresentate da quegli individui che sfruttano anche i dispositivi digitali per scopi malvagi.
Quali sono gli errori principali da non commettere?
Il paragone forse un po’ forte, ma come non ci sogneremmo mai di lasciare dei coltelli incustoditi in una stanza con dei bambini, allo stesso modo dovremmo sorvegliare i minori quando sono alle prese con un telefonino. I dispositivi digitali, per quanto utili allo scopo, non sono balie né baby sitter. Altra similitudine: credo tutti abbiamo in mente le forbicine con le punte arrotondate che si acquistano per i bambini che frequentano la scuola dell’infanzia o la primaria; d’altra parte, quando lasciamo il nostro telefonino in mano a un bambino, lo facciamo il più delle volte senza “arrotondare le punte”, cioè senza applicare quei rimedi atti a proteggerli. Ecco, nel libro scritto con il mio amico Danilo Smaldone, cerchiamo di fornire questi suggerimenti al lettore: come riconoscere i pericoli e come applicare i rimedi.
Un libro interessante da leggere e bello anche da vedere perché è arricchito da illustrazioni a cura di Belinda Menzietti.
Belinda, oltre a essere una fantastica illustratrice con un debole per l’editoria dell’infanzia, è anche mia moglie, cosa che in questo caso ha facilitato, diciamo così, il nostro incontro professionale su questo progetto. Quindi, in fase di scrittura del testo le ho commissionato delle illustrazioni che potessero esplicitare alcuni punti salienti del testo. Troviamo infatti in copertina due profili che, seppure posti l’uno di fronte all’altro, comunicano attraverso un dispositivo elettronico. C’è poi una foto di famiglia dove si nota lo sguardo dell’adolescente che è rivolto verso un telefonino anziché verso l’obiettivo. In un’altra illustrazione vengono rappresentate le bolle nelle quali si isolano i ragazzi quando sono alle prese con i dispositivi digitali. Insomma, non solo immagini, ma veri e propri racconti.
Questo libro non ha scopo di lucro, infatti è disponibile gratuitamente in formato digitale sul sito dell’associazione Openaccess Italia, di che cosa si occupa questa realtà?
L’associazione OpenAccess Italia è un’esperienza bellissima che coinvolge importanti personalità della comunità italiana legate alle telecomunicazioni e posso dire che essere tra i soci fondatori è un vero orgoglio. Nell’associazione vengono prima le persone, e non le imprese. Persone che si impegnano a fare della divulgazione digitale una missione attraverso congressi, pubblicazioni, interventi nelle scuole e nelle università. Tutto questo in modo gratuito, sia nel senso che gli associati operano senza compensi, sia nel senso che i fruitori dei contenuti o delle manifestazioni non pagano nulla. La pubblicazione Parlami di Tech ne è un esempio. Il sito dell’associazione, dove è possibile scaricare il pdf del testo, è https://www.openaccessitalia.org.
A suo avviso come sta evolvendo e in che direzione sta andando la cultura digitale?
Quando si sente dire “cultura digitale” il pensiero spesso richiama l’immagine di un consesso di accademici che scrivono libri o articoli scientifici sui molteplici aspetti tecnici inerenti l’informatica. Avrei invece una visione un po’ diversa che coinvolge i cittadini italiani alle prese con un mondo digitale sempre più diffuso. Pensiamo per un momento allo Spid, Sistema pubblico di identità digitale, che, secondo le ultime statistiche, è stato usato da oltre 35 milioni di italiani. Si può dire che il numero non è male, sono d’accordo, ma il dato interessante secondo me è che oltre 20 milioni di persone ne siano fuori. Cioè, quanto è diffusa la consapevolezza sull’esercizio della cittadinanza digitale? Questo è un tema dirimente per poter tratteggiare il perimetro del cosiddetto “divario digitale” che riguarda la differenza tra chi è capace di districarsi nel mondo virtuale e chi addirittura ne è all’oscuro. Sono tante le iniziative dello Stato, dei Comuni, delle associazioni per colmare queste differenze che, diciamo la verità, in alcuni casi discriminano cittadini di serie A e di serie B. Ma, nonostante gli aiuti ci siano, fette di popolazione ignorano ancora le formidabili possibilità che la tecnologia mette a disposizione e, al contempo, ignorano anche le insidie del mondo virtuale. Ecco, la cultura digitale dovrebbe essere ancor di più diffusa su tutta la popolazione, e diventare parte dell’educazione civica che si studia a scuola.
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