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Sorelle Clarisse: Non è bene che l’uomo sia solo!

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Dio ha appena creato l’uomo e, immediatamente, fa una constatazione: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Nella tradizione biblica, la solitudine è un’esperienza estremamente negativa, paragonata alla morte. Quindi, in questo versetto tratto dal libro della Genesi, la Scrittura ci dice che, senza un altro da sé, l’uomo vive una vita in cui avverte il peso doloroso del morire. L’uomo, quindi, è chiamato, fin dall’origine, da sempre, alla relazione con qualcuno che è altro da sé, precisamente «un aiuto che gli corrisponda».
Nella traduzione italiana non riusciamo a coglierla ma, il testo originario ebraico, utilizza una sfumatura molto bella per indicare questa espressione.
Innanzitutto non si parla di un aiuto strumentale, l’aiuto che serve per fare qualcosa meglio o più rapidamente ma è l’aiuto che solo Dio può portare quando sei in una situazione vicina alla morte.
«…che gli corrisponda»: letteralmente sarebbe “un aiuto davanti a lui”, un aiuto alla sua altezza, un aiuto con cui è possibile trovare la parola, un aiuto che consente all’uomo di trovare finalmente la sua identità. Ciò che viene sottolineato non è una situazione di incompletezza, come se mi mancasse “la mia metà”, ma la necessità di una relazione di piena reciprocità con qualcuno che mi permetta di scoprire chi sono io veramente, poiché, senza questo tipo di rapporto, è la morte.
E non bastano, allora, gli animali, perché questi non sono l’interlocutore all’altezza dell’uomo. Infatti, se continuiamo a leggere la prima lettura, tratta proprio dal libro della Genesi, l’uomo, sugli animali, è chiamato ad esercitare il dominio, ad imporre loro un nome.
«Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo».
Un sonno profondo scende sull’uomo e questo è un modo per dire che la donna giunge all’uomo senza che l’uomo conosca la sua origine. Vale a dire che, chi è in grado di donarmi la mia identità – l’aiuto che mi corrisponda -, è qualcuno che io non posso pensare di possedere. L’altra, cioè, è sempre, in parte, ignota e come tale va rispettata, come tale esprime altro rispetto a me, dunque non posso impadronirmene. E poi il particolare della costola: la donna non è plasmata dalla terra ma da una costola dell’uomo, a dire l’affinità profondissima che l’uomo ha con la donna!
«Allora l’uomo disse: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne”»: cioè, adesso e non in un altro momento, qui e non altrove, lei e non altri, è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne.
«Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne»: normalmente era la donna a lasciare la casa paterna. Invece, qui si dice che lo fa l’uomo perché, di fronte alla donna e a quello che si stabilisce tra loro due, anche i legami più sacri, quelli familiari con i genitori, vanno sospesi. E’ un modo per dire la preziosità di ciò che si è trovato, per cui tutto può essere abbandonato.
«…e i due saranno un’unica carne», formeranno cioè una comunione profonda.
Perché ci siamo soffermati così tanto sulla prima lettura? Perché solo alla luce di essa possiamo avvicinarci e cercare di leggere nella verità la pagina di Vangelo che, oggi, la liturgia ci propone, pagina in cui Gesù si trova a rispondere alla domanda di alcuni farisei «…è lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?». C’è la legge di Mosè e Gesù la conosce bene: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Ma andiamo più a fondo. Gesù sa cosa vuol dire una donna cacciata di casa dal proprio marito in una società maschilista e brutale come era a quei tempi. Per questo motivo, per Gesù, non c’è legge di Mosè che tenga di fronte a questo atteggiamento. «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».

Gesù, con queste parole, non vuole farsi paladino di chissà quale campagna, ma si pone semplicemente dalla parte debole della società, dalla parte di chi non conta. E nei versetti successivi Gesù ribadisce tutto ciò chiamando a sé e abbracciando proprio i bambini, altro anello debole e inutile di ogni società.
Gesù invita a non dividere, a non scartare e allontanare mai una vita solo per il proprio tornaconto.
L’altro, ci dice Gesù, non può essere usato per soddisfare i propri bisogni o realizzare i propri sogni. Per questo il Signore invita a non dividere, perché la vita sta nell’unione delle diversità.
Poi, come dice un bravo sacerdote, la storia di ogni giorno ci narra che possono verificarsi separazioni, divisioni…ma, di fronte all’abisso del cuore umano, occorre solo fermarsi con infinito rispetto, e ricordarsi che il Vangelo ci testimonia un Dio che sposa e sposerà sempre le conseguenze delle nostre ferite.

Redazione: