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Direttore Pompei: In questi tempi di guerra solo il Papa parla di Pace. Resteremo indifferenti?

Di Pietro Pompei

Ogni giorno, tirando fuori le notizie dai vari telegiornali e dai mass-media, sembra di redigere bollettini di guerra. I morti sono ormai una componente quotidiana, con dinamiche sempre diverse. Se non bastano i nostri, ci sono quelli di altre nazioni, che spesso riassumiamo in numeri per dirli più in fretta. In questi giorni, il numero più ricorrente riguarda la Striscia di Gaza, con un bilancio di vittime che supera le 40.000, senza contare quelle in Libano, oggi tristemente attuale, e nello Yemen. E poi c’è la guerra in Ucraina. Le statistiche ci dicono che le guerre attualmente in corso nel mondo sono 59 (cinquantanove: è pazzesco!).

Da noi, il coltello è spesso protagonista. Un tempo, il coltellino che si portava in tasca aveva il manico in celluloide e doveva essere più corto di quattro dita, altrimenti rischiavi grosso. Oggi, nonostante si sprechino parole d’amore, una lama può colpire dritta al cuore con un solo colpo, lasciandoci con un interrogativo sulle labbra. Nelle nostre cucine, i coltelli abbondano, a volte perfino come soprammobili, e questo mette in difficoltà gli investigatori: è stato uno o sono stati più colpi a ferire? L’ossessione per i dettagli si riflette nella maniacale numerazione delle ferite, quasi fosse un gioco per chi è abituato a giocare i numeri al lotto. Negli ultimi delitti è tornata di moda la pistola, regolarmente denunciata, per sterminare quasi un’intera famiglia e qualche vicino di casa, come accaduto di recente a Nuoro.

Sembrava finita l’era della baionetta, quando almeno rischiavi in prima persona. Oggi il risultato è lo stesso, ma il nemico non è nella trincea avversaria. Spesso è una donna – madre dei propri figli – a cui hai giurato amore eterno, magari davanti a Dio. Oppure una prostituta, dall’amore comprato e considerata un oggetto, usa e getta. O ancora, la ragazza incontrata in discoteca, l’anziana signora a cui rubare la pensione, la fidanzata orgogliosa di amarti, il condomino o il vicino con cui hai litigato. Tra le vittime più recenti, anche il figlio che uccide madre, padre e fratello senza che se ne conosca il motivo. E non è solo una questione di cronaca nazionale: anche nelle Marche, purtroppo, non siamo da meno.

Se dovessimo dare un nome a quest’epoca, per inserirla nei libri di storia, potremmo chiamarla “l’era della mattanza”. Non perché i crimini di oggi siano più cruenti di quelli del passato, ma perché ci siamo talmente abituati da restare indifferenti. Conviviamo con la morte, come se fosse roba d’altri. Ci stiamo abituando, giustamente, ad avere rispetto per gli animali, ma qui si parla di persone. Come non rabbrividire di fronte a tanta ferocia?

Ma allora, questo mondo è davvero tutto da buttare? Le notizie terribili fanno audience, si dice, mentre quelle che potrebbero darci speranza non vengono ricercate. È sempre la solita storia: la foresta cresce silenziosa, ma quando cade un albero fa un grande frastuono. I mass-media danno enorme risalto a certi protagonisti, specie se adolescenti, anche per mesi. Ma quanto spazio viene dato ai giovani che fanno volontariato? Quelli che passano il tempo libero aiutando il prossimo, magari tagliando la carne a un anziano a cui i denti non funzionano più? I giovani non sono solo quelli che il sabato sera riempiono di lavoro le agenzie funebri o si perdono dietro la droga. Per fortuna, esistono ancora molti ragazzi che si divertono cantando alla vita, che contagiano gli altri con il loro comportamento responsabile e con la voglia di una felicità che non va cercata, ma vissuta.

In questi giorni, Papa Francesco, con i suoi pellegrinaggi, ha ridato ali alla speranza, soprattutto nei suoi incontri con i giovani. Guardando i loro volti sereni, ho letto la gioia di chi prende la vita sul serio, aiutandosi a salire la scala dei valori, a identificarli e a farli propri.

Aggiungo qui alcune ricerche interessanti legate all’argomento. La follia omicida degli uomini spaventa.

Lo storico Davien scriveva: “Dal 1496 a.C. al 1861 d.C. si sono avuti 227 anni di pace e 3357 anni di guerra, con una media di 13 anni di guerra per ogni anno di pace. Dall’anno 1560 a.C. al 1860 d.C. furono firmati più di 8.000 trattati di pace, tutti destinati a durare per sempre. La durata media della loro validità fu di due anni”. Jon Carthy aggiunge: “Dal 1829 al 1945, ben 59 milioni di uomini sono stati uccisi in guerra o in altri conflitti”. A questi vanno aggiunti tutti quelli, e sono altri milioni, uccisi nei campi di sterminio, nei gulag, nelle foibe, ecc. E tutto questo solo in Occidente, nel cosiddetto mondo civile. La follia omicida degli uomini sembra inarrestabile.

In questi giorni piangiamo nuove mattanze distribuite nei vari continenti, così tante che in Occidente si è diffusa una terribile paura. Sembra di sentire il “tamburo di guerra” rimbombare nelle nostre città, come descritto profeticamente nell’Atharvaveda (scienza della magia), una delle quattro “Samhita” della scienza sacra indiana: “Va’ ad infondere ai nostri nemici la perdita di coraggio e di speranza, o tamburo! Sconvolgi, turba, spaventa, ecco ciò che devi fare: prostrali, o tamburo. Riempi di terrore i loro pensieri, il loro sguardo e il loro cuore, che i nostri nemici fuggano, atterriti, sfiniti… Che i nostri tamburi rimbombino attraverso l’etere quando fuggiranno in disordine i soldati nemici che avanzano in bell’ordine”.

Voltaire, in un momento di riflessione, avrebbe aggiunto: “La cosa più infernale di queste imprese infernali è che ciascuno di questi capi assassini invoca Iddio prima di andare a sterminare il suo prossimo”. Quando potremo finalmente cantare con il poeta Tibullo: “Ma tu vieni a noi, o alma Pace, tieni in mano la spiga e riempi di pomi il grembo della tua candida veste”?