Un’alluvione improvvisa, in questi giorni di fine stagione dei monsoni, ha colpito la parte settentrionale del Bangladesh, divisione di Mymensingh, colpendo in particolare i gruppi indigeni come Mandi, Hajong, Koch, Banai e Dalu. “In un batter d’occhio – fa sapere padre Pierluigi Lupi, missionario saveriano – tutto è stato distrutto: nessun preavviso, nessun tempo per i preparativi”. Centinaia di villaggi a Nalitabari, Jhenaigati, Sreebordi, Haluaghat, Dhobaura, Durgapur e Komlakanda sono stati inondati. Case di argilla, bestiame e raccolti sono stati spazzati via dall’improvvisa ondata d’acqua. “Alcuni sostengono che questa sia stata la peggiore dopo quella famigerata del 1988”. Sebbene l’acqua si sia ritirata in molte aree con la stessa rapidità con cui è arrivata, ha lasciato una devastante scia di distruzione sia per le famiglie indigene che per quelle bengalesi. La carenza di acqua e cibo è diventata rapidamente un problema critico.
Il crollo delle strade, insieme alle interruzioni di Internet, delle reti mobili e dell’elettricità, hanno ostacolato anche le operazioni di soccorso, gettando centinaia di migliaia di persone nell’incertezza. I primi a mobilitarsi sono stati i giovani delle comunità indigene e bengalesi che hanno lavorato insieme per aiutare le persone colpite e fornire aggiornamenti in tempo reale sull’alluvione tramite Facebook, in mancanza di copertura mediatica tradizionale. Questa inondazione, avvenuta senza preavviso, ha messo in luce la mancanza di preparazione dello Stato per tali disastri naturali. “Se fossero stati emessi avvertimenti, i danni avrebbero potuto essere ridotti al minimo”, dice il religioso. Il governo e gli esperti stanno ancora valutando l’entità della distruzione, ma le famiglie che vivono a basso reddito – sia indigene che bengalesi – hanno subito perdite ingenti. La Caritas Bangladesh si sta muovendo ma le richieste urgenti sono davvero molte.