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Sorelle Clarisse: Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Ha ragione l’autore della Lettera agli Ebrei quando scrive: «La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore».

Una Parola, quella di Dio, cioè, che ci mette a nudo, separa quello che conta da ciò che è solo apparenza, la verità dalla finzione, l’importante da ciò che è di secondaria importanza.

Una Parola che fa di un giorno qualunque un “oggi”; di un qualunque momento del nostro tempo ne fa un tempo di crisi e di decisione; il tempo della monotonia quotidiana lo fa diventare lo spazio della libertà e della gioia.

E questo perché la Parola di Dio non è “solo parole” ma una persona, Gesù Cristo, una Parola viva che si mette in relazione con l’oggi di ogni essere umano.

Tutto ciò lo tocchiamo con mano nel brano evangelico che oggi la liturgia ci propone, nell’incontro della Parola, che è Gesù, con un tale che «gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”». I comandamenti già li osservo «fin dalla mia giovinezza», cosa devo fare ancora?

«Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”».

Eccola la Parola viva, efficace, che arriva fino alle midolla, quella Parola che ti scuote, che ti fa sobbalzare e ti interpella in quella che è l’intimità più profonda del tuo cuore.

La Parola che non vuole metterti alla prova per il gusto di farlo, che non vuole provocarti, ma quella Parola, Gesù il Signore, che ti ama e desidera che la tua vita sia piena, vera, eterna.

Lo abbiamo letto: Gesù non fa discorsi moralistici ma ama!

Sì, perché si può essere religiosissimi come questo tale, ma vivere da tristi. Perché quella religiosità che non intacca la vita concreta in quanto fatta solo di precetti, osservanze, preghiere, non ti cambia l’esistenza, anzi, a volte te la appesantisce solamente.

«…vendi quello che hai e dallo ai poveri […] Ma a queste parole egli – il tale ricco – si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni».

Anche qui…Gesù non fa e non ci chiede di fare un esercizio di contabilità; Gesù, come diceva un autore, vuole essere il nostro maestro del desiderio, colui che insegna ad amare quelle assenze che ci fanno vivere.

Davanti alla Parola che è Gesù, quest’uomo si scopre aggrappato alla propria ricchezza, come se questa fosse davvero capace di dargli la vita. Sente il desiderio di cercare la vita eterna ma forse, in realtà, spera di essere confermato nell’averla già trovata; o forse, semplicemente, non ha il coraggio di cercarla più se il prezzo é perdere ciò che lo rende sicuro.

Facciamo nostra, allora, la preghiera del re Salomone che leggiamo nella prima lettura, tratta dal libro della Sapienza: «Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto […]. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile».

Sì, perché la passione di Dio è moltiplicare per cento quel poco che abbiamo, quel nulla che siamo e riempirci la vita di affetti e di luce.

Preghiamo il Signore perché si faccia nostro compagno di viaggio, non faccia mai mancare a noi il suo sguardo di amore e ci doni la sapienza, il gusto e la capacità di assaporare la vita vera, per la quale è un nulla tutta la ricchezza del mondo, è un nulla ogni gemma inestimabile, ogni oro e argento, la sapienza il cui splendore e il cui valore non tramontano mai!