(Foto AFP/SIR)

Di Daniele Rocchi

“Le vittime sono salite a 24: l’ultima è una bambina ritrovata dentro un’auto. Era talmente piccola che all’inizio si pensava fosse una bambola e invece, ad una verifica, ci si è accorti che era un’altra vittima innocente”. Padre William Makari aggiorna il tragico bilancio dei morti del raid israeliano del 14 ottobre scorso su una palazzina nel villaggio di Aitou, vicino a Zgharta, nel nord del Libano, un’area a maggioranza cristiana fino all’altro giorno risparmiata dalla furia dei combattimenti tra Israele ed Hezbollah.

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“Il nostro è un villaggio a larga maggioranza cristiana, che è stato tra i primi ad accogliere i rifugiati provenienti da sud, dal confine con Israele, dove si combatte con più violenza – racconta il sacerdote maronita, sposato e con due figli, che fa parte del Vicariato di Ehden-Zgharta –

Tutti qui hanno aperto le porte delle proprie abitazioni, hanno dato in affitto le case, sono state messe a disposizione anche le scuole per dare rifugio a quante più persone possibile. La Chiesa locale ha fatto la sua parte mettendo a disposizione locali e ambienti necessari a immagazzinare aiuti e a preparare la consegna”.

Da segnalare, in questo frangente, anche la riapertura del “North Autism Center”, che fa parte della “National Autism Community” libanese che si propone di supportare i bambini autistici e le loro famiglie. Un’iniziativa intrapresa dalla moglie del sacerdote, direttrice del centro, che girando tra i vari rifugi della zona ha trovato molti bambini autistici e li ha portati nel centro riaperto per l’occasione. “Tante famiglie hanno donato cibo, vestiti, materassi e tante coperte – dice padre Makari – Aitou si trova ad una altezza di quasi 900 metri sul livello del mare e la notte fa freddo”. Il villaggio fa parte della provincia di Zgharta-Ehden che è, con i suoi quasi 50mila abitanti, la seconda città più grande del nord del Libano dopo Tripoli. “Ad Aitou vivono circa mille persone, molte delle quali lavorano a Zgharta. Attualmente si stimano in 15 mila i rifugiati interni libanesi accolti nella nostra provincia. Si tratta in larga parte di famiglie, donne, bambini, anziani, giovani. Oltre a prestare aiuto, la popolazione locale è impegnata anche a garantire la sicurezza verificando tra i rifugiati la presenza o meno di persone armate. Al momento, tra gli sciiti provenienti dal sud, non si registra nessun caso”. Ad Aitou e nelle zone circostanti, denuncia padre Makari “cominciano a scarseggiare medicine e altri presidi medici. Ma non dobbiamo mollare e cercare di reperire il necessario”.

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Il raid israeliano. Padre Makari prova a ricostruire l’attacco israeliano del 14 ottobre: “la persona che aveva affittato la palazzina di tre piani, distrutta nel raid, poco prima era stato a visitare i rifugiati alloggiati, in larga parte tutti donne e bambini rimasti poi uccisi dalle bombe. Nei paraggi c’era anche una persona legata ad Hezbollah, non armata, che stava consegnando degli aiuti in denaro alle persone che erano all’interno. Quando questa persona è entrata nel palazzo è avvenuto l’attacco”. Secondo notizie raccolte dall’Agenzia Fides da fonti locali, l’edificio colpito era probabilmente già noto agli israeliani perché era stato affittato fin dal 2006, al tempo della precedente guerra tra Israele ed Hezbollah, alla televisione Al-Manar, legata al movimento sciita filo iraniano. Una conferma in tal senso arriva anche dal sacerdote maronita: “quella del 14 ottobre non è stata la prima volta che Israele attaccava il villaggio di Aitou. Era già accaduto nel 2006 ma quella volta l’obiettivo era una sede di comunicazione dove c’era una radio e altri media e non un palazzo abitato da rifugiati. Oggi bombardano le case e i palazzi”.

Paura per il futuro del Libano. Poi una riflessione che rivela anche una paura per il futuro: “seguendo i notiziari abbiamo modo di ascoltare quanto dicono tanti politici e ministri di Israele e le loro intenzioni di conquistare il territorio libanese per costruire altre colonie. Sentiamo dire che attaccano il Libano per la presenza di attivisti e leader di Hezbollah e che vogliono fare esplodere una guerra civile nel nostro Paese.

Israele vuole spargere la paura tra i libanesi per minarne l’unità.

Crede che il terreno sia già pronto per le divisioni politiche interne al Libano. Il premier israeliano Bibi Netanyahu dice che vuole liberare il popolo libanese dai terroristi. Ma con un atto terroristico non si elimina il terrorismo”.

La risposta a Israele. “La nostra risposta, come popolo, come Chiesa, a questi tentativi di sovvertire il Libano è la solidarietà e l’unità – ribadisce padre Makari – Le porte delle chiese sono aperte a tutti, non solo ai cristiani.

Aitou è un villaggio prima di tutto libanese e abitato da cristiani.

Ci sono cristiani anche nel sud del Paese. La nostra è una popolazione abituata a convivere, nel rispetto delle convinzioni politiche e religiose di ciascuno. Siamo tutti libanesi e ci teniamo alla nostra sovranità”. Un modo chiaro per dire che il Libano non può essere solo cristiano o solo musulmano, perché non sarebbe il Libano.

L’appello e il monito. Da qui l’appello alla comunità internazionale e un monito al mondo della politica libanese: “Chiediamo aiuto per tutto il Libano, e non solo per i cristiani.

Il mondo si adoperi per un cessate il fuoco in Libano e Gaza. Subito.

Siamo critici verso chiunque tenti di insidiare l’unità del Libano per interessi di parte” sottolinea il sacerdote, facendo sue posizioni analoghe espresse più volte in passato dal patriarca maronita, card. Boutros Bechara Rai. Nell’ultima loro assemblea, presieduta dallo stesso patriarca, i vescovi maroniti hanno insistito sull’urgente necessità che il Parlamento libanese “faccia il proprio dovere affinché, dopo una lunga attesa e tanta sofferenza, venga eletto un nuovo Presidente della Repubblica che completi il quadro delle istituzioni costituzionali”. Presidente la cui priorità sarà quella di mantenere unito il popolo libanese.

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