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Papa Francesco: “Vince non chi domina, ma chi serve per amore”

Alle ore 10.30 di ierimattina, XXIX Domenica del Tempo Ordinario, sul Sagrato della Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica e il Rito della Canonizzazione dei Beati: Manuel Ruiz López e Sette Compagni; Francesco, Abdel Mooti e Raffaele Massabki; Giuseppe Allamano; Marie-Léonie Paradis; Elena Guerra.

Alla Santa Messa erano presenti le seguenti Delegazioni ufficiali: Il Presidente della Repubblica Italiana, S.E. il Sig. Sergio Mattarella, e Seguito; Sua Altezza Em. il Principe e Gran Maestro Fra’ John Dunlap, e Seguito; Il Ministro della Presidenza di Spagna, S.E. il Sig. Félix Bolaños García, e Seguito; Il Vice Governatore della Regione del Tirolo – Austria, Josef Geisler con la Consorte, e Seguito; Il Deputato Federale di Sherbrooke – Canada, On. Élisabeth Brière con il Consorte, e Seguito.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione al Vangelo:

A Giacomo e Giovanni, Gesù chiede: «Cosa volete che io faccia per voi?» (Mc 10,36). E subito dopo li incalza: «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?» (Mc 10,38). Gesù pone domande e, proprio così, ci aiuta a fare discernimento, perché le domande ci fanno scoprire ciò che è dentro di noi, illuminano quello che portiamo nel cuore e che a volte noi non sappiamo.

Lasciamoci interrogare dalla Parola del Signore. Immaginiamo che chieda a noi, a ciascuno di noi: «Che cosa vuoi che io faccia per te?»; e la seconda domanda: «puoi bere il mio stesso calice?»

Attraverso queste domande, Gesù fa emergere il legame e le attese che i discepoli hanno verso di lui, con le luci e le ombre tipiche di ogni relazione. Infatti, Giacomo e Giovanni, sono legati a Gesù ma hanno delle pretese. Essi esprimono il desiderio di stare vicino a Lui, ma solo per occupare un posto d’onore, per rivestire un ruolo importante, per «sedere, nella sua gloria, alla destra e alla sinistra» (Mc 10,37). Evidentemente pensano a Gesù come Messia, un Messia vittorioso, glorioso e da Lui si aspettano che condivida la sua gloria con loro. Vedono in Gesù il Messia, ma lo immaginano secondo la logica del potere.

Gesù non si ferma alle parole dei discepoli, ma scende in profondità, ascolta e legge il cuore di ognuno di loro e anche di ognuno di noi. E, nel dialogo, attraverso due domande, cerca di fare emergere il desiderio che c’è dentro a quelle richieste.

Dapprima chiede: «Cosa volete che io faccia per voi?»; e questa domanda svela i pensieri del loro cuore, mette in luce le attese nascoste e i sogni di gloria che i discepoli coltivano segretamente. É come se Gesù chiedesse: “Chi vuoi che io sia per te?” e, così, smaschera quello che essi desiderano davvero: un Messia potente, un Messia vittorioso che dia loro un posto di onore. E a volte nella Chiesa viene questo pensiero: l’onore, il potere…

Poi, con la seconda domanda, Gesù smentisce questa immagine di Messia e in questo modo li aiuta a cambiare sguardo, cioè a convertirsi: «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». In questo modo, svela a loro che Egli non è il Messia che essi pensano; è il Dio dell’amore, che si abbassa per raggiungere chi è in basso; che si fa debole per rialzare i deboli, che opera per la pace e non per la guerra, che è venuto per servire e non per essere servito. Il calice che il Signore berrà è l’offerta della sua vita, è la sua vita donata a noi per amore, fino alla morte e alla morte di croce.

E, allora, alla sua destra e alla sua sinistra staranno due ladroni, appesi come Lui alla croce e non accomodati nei posti di potere; due ladroni inchiodati con Cristo nel dolore e non seduti nella gloria. Il re crocifisso, il giusto condannato si fa schiavo di tutti: costui è davvero il Figlio di Dio! (cf. Mc 15,39). Vince non chi domina, ma chi serve per amore. Ripetiamo: vince non chi domina, ma chi serve per amore. Ce lo ha ricordato anche la Lettera agli Ebrei: «Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi» (Eb 4,15).

A questo punto, Gesù può aiutare i discepoli a convertirsi, a cambiare mentalità: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono» (Mc 10,42). Ma non deve essere così, per chi segue un Dio che si è fatto servo per raggiungere tutti col Suo amore. Chi segue Cristo, se vuole essere grande deve servire, imparando da Lui.

Fratelli e sorelle, Gesù svela pensieri, svela desideri e proiezioni del nostro cuore, smascherando talvolta le nostre attese di gloria, di dominio, di potere, di vanità. Egli ci aiuta a pensare non più secondo i criteri del mondo, ma secondo lo stile di Dio, che si fa ultimo perché gli ultimi vengano rialzati e diventino i primi. E queste domande di Gesù, con il suo insegnamento sul servizio, spesso sono incomprensibili, incomprensibili per noi come lo erano per i discepoli. Ma seguendo Lui, camminando alla Sua sequela e accogliendo il dono del Suo amore che trasforma il nostro modo di pensare, possiamo anche noi imparare lo stile di Dio: lo stile di Dio, il servizio. Non dimentichiamo le tre parole che fanno vedere lo stile di Dio per servire: vicinanza, compassione e tenerezza. Dio si fa vicino per servire; si fa compassionevole per servire; si fa tenero per servire. Vicinanza, compassione e tenerezza…

A questo dobbiamo anelare: non al potere, ma al servizio. Il servizio è lo stile di vita cristiano. Non riguarda un elenco di cose da fare, quasi che, una volta fatte, possiamo ritenere finito il nostro turno; chi serve con amore non dice: “adesso toccherà qualcun altro”. Questo è un pensiero da impiegati, non da testimoni. Il servizio nasce dall’amore e l’amore non conosce confini, non fa calcoli, si spende e si dona. L’amore non si limita a produrre per portare risultati, non è una prestazione occasionale, ma è qualcosa che nasce dal cuore, un cuore rinnovato dall’amore e nell’amore.

Quando impariamo a servire, ogni nostro gesto di attenzione e di cura, ogni espressione di tenerezza, ogni opera di misericordia diventano un riflesso dell’amore di Dio. E così tutti noi – e ognuno di noi – continuiamo l’opera di Gesù nel mondo.

In questa luce possiamo ricordare i discepoli del Vangelo, che oggi vengono canonizzati. Lungo la storia tormentata dell’umanità, essi sono stati servi fedeli, uomini e donne che hanno servito nel martirio e nella gioia, come fra Manuel Ruiz Lopez e i suoi compagni. Sono sacerdoti e consacrate ferventi, e ferventi di passione missionaria, come don Giuseppe Allamano, suor Paradis Marie Leonie e suor Elena Guerra. Questi nuovi santi hanno vissuto lo stile di Gesù: il servizio. La fede e l’apostolato che hanno portato avanti non ha alimentato in loro desideri mondani e smanie di potere ma, al contrario, essi si sono fatti servi dei fratelli, creativi nel fare il bene, saldi nelle difficoltà, generosi fino alla fine.

Chiediamo fiduciosi la loro intercessione, perché anche noi possiamo seguire il Cristo, seguirlo nel servizio e diventare testimoni di speranza per il mondo.

Al termine della Celebrazione Eucaristica con il Rito di Canonizzazione, sul Sagrato della Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha guidato la recita dell’Angelus.

Pubblichiamo di seguito le parole del Papa nell’atto di introdurre la preghiera mariana:

Prima della conclusione di questa Celebrazione eucaristica, ringrazio tutti voi, venuti a onorare i nuovi Santi. Saluto i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate, in particolare i Frati Minori e i fedeli Maroniti, i Missionari e le Missionarie della Consolata, le Piccole Suore della Santa Famiglia e le Oblate dello Spirito Santo, come pure gli altri gruppi di pellegrini venuti da vari luoghi. Un deferente saluto rivolgo al Presidente della Repubblica Italiana, alle altre Delegazioni ufficiali e alle Autorità civili.

Saluto il folto gruppo di pellegrini Ugandesi, con il Vice Presidente del Paese, venuti a sessant’anni dalla canonizzazione dei Martiri dell’Uganda.

La testimonianza di San Giuseppe Allamano ci ricorda la necessaria attenzione verso le popolazioni più fragili e più vulnerabili. Penso in particolare al popolo Yanomami, nella foresta amazzonica brasiliana, tra i cui membri è avvenuto proprio il miracolo legato alla canonizzazione odierna. Faccio appello alle autorità politiche e civili, affinché assicurino la protezione di questi popoli e dei loro diritti fondamentali e contro ogni forma di sfruttamento della loro dignità e dei loro territori.

Oggi celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale, il cui tema – “Andate e invitate al banchetto tutti” (cfr Mt 22,9) – ci ricorda che l’annuncio missionario è portare a tutti l’invito all’incontro festoso con il Signore, che ci ama e che ci vuole partecipi della sua gioia sponsale. Come ci insegnano i nuovi Santi: «ogni cristiano è chiamato a prendere parte a questa missione universale con la propria testimonianza evangelica in ogni ambiente» (Messaggio per la XCVIII Giornata missionaria mondiale, 25 gennaio 2024). Sosteniamo, con la nostra preghiera e con il nostro aiuto, tutti i missionari che, spesso con grande sacrificio, portano l’annuncio luminoso del Vangelo in ogni parte della terra.

E continuiamo a pregare per le popolazioni che soffrono a causa della guerra – la martoriata Palestina, Israele, Libano, la martoriata Ucraina, Sudan, Myanmar e tutte le altre – e invochiamo per tutti il dono della pace.

La Vergine Maria ci aiuti ad essere, come Lei e come i Santi, coraggiosi e lieti testimoni del Vangelo.

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