SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Un musical in cui sono protagoniste le persone, le emozioni, le relazioni tra loro e la mano di Dio che solleva, accompagna, perdona, dà forza, infonde speranza e salva.
Numerosi i temi affrontati nei due atti: la giustizia, la lotta contro i soprusi, il potere, la difesa dei propri diritti, la libertà, il coraggio, l’amore, la passione, la costrizione, la morte, la conversione, il perdono. Tutti pretesti per raccontare il vero tema centrale dello spettacolo: l’affidamento a Dio nelle avversità della vita, che conduce alla ricomposizione di ogni conflitto interiore e relazionale. L’amore tra Renzo e Lucia diventa allora, in accordo con l’intento manzoniano, solo un’opportunità per parlare della vasta gamma di emozioni dell’essere umano, delle sue fragilità, dei suoi vizi, ma anche della sua forza, della sua capacità di redimersi e soprattutto del potere dell’amore che vince sempre sul male.
C’è poi una storia nella storia: il tema delle donne violate, vittime di soprusi e violenze. Lucia, trattata come oggetto a causa delle bramosie di don Rodrigo, diventa l’incarnazione di ogni donna olocausto vivente di un amore malato, che è possesso, desiderio di potere, violenza, schiavitù, che tutto è tranne amore e non può pertanto essere chiamato tale.
Due allora le storie raccontate: da un lato il percorso tormentato che una giovane ed innocente donna deve compiere per sfuggire alle angherie del prepotente di turno e del suo amore tossico; dall’altro il cammino che ciascun essere umano è chiamato a fare verso la felicità, rispondendo alle sollecitazioni del mondo con una fede incrollabile in quel Signore della vita, che davvero cambia l’esistenza di ogni persona.
Tutto questo è il musical “La promessa che cambia il destino”, liberamente tratto dal romanzo “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni e realizzato dalla compagnia teatrale amatoriale “La Bottega di Antonio“ della Parrocchia Sant’Antonio di Padova di San Benedetto del Tronto.
Magistralmente diretto dalla prof.ssa Patrizia Bollettini, lo spettacolo vanta il Patrocinio del Comune di San Benedetto del Tronto e della Commissione per le Pari Opportunità della Regione Marche, che ne hanno riconosciuto la sensibilità verso una tematica molto attuale e l’alto valore sociale che ne deriva.
Non è un caso che il musical sia andato in scena, in anteprima assoluta, al Teatro Palariviera di San Benedetto del Tronto, Sabato 19 Ottobre alle ore 10:00, davanti ad un pubblico molto speciale, costituito da circa 300 studenti provenienti dai tre Licei cittadini, i quali, prima dell’inizio dello spettacolo, hanno osservato un minuto di silenzio in memoria di Giulia Cecchettin, la giovane studentessa veneta vittima di femminicidio a cui il musical è dedicato. Lo stesso è accaduto Domenica, 20 Ottobre, durante il debutto ufficiale al pubblico, avvenuto alla presenza dell’arcivescovo Gianpiero Palmieri, vescovo delle Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto e di Ascoli Piceno, del parroco padre Massimo Massimi, responsabile della comunità dei frati della parrocchia di Sant’Antonio di Padova, dell’assessora Lia Sebastiani, che ha la delega alla Cultura, all’Istruzione e alle Pari Opportunità presso il Comune di San Benedetto del Tronto, e dell’assessore Domenico Pellei, presente non solo in veste di amministratore con delega al Bilancio, ma anche di appassionato di teatro. Presenti inoltre anche un nutrito gruppo di persone appartenenti all’Unitalsi.
«Come ha detto il padre di Giulia durante il suo funerale, l’amore, se è amore, non uccide – ha detto padre Massimo Massimi durante i saluti iniziali –. È importante insegnare ai bambini e ai ragazzi a riconoscere le proprie emozioni e a saperle vivere nel rispetto di sé stessi e degli altri. Quando giungono emozioni forti, infatti, non tutti hanno la capacità di gestirle e non sempre la società è in grado di accompagnare e sostenere chi si sente travolto. Ecco allora l’importanza di educare anche all’affettività ed ecco anche il motivo per il quale abbiamo deciso di coinvolgere alcune scuole del territorio, portando avanti il progetto “D’amore … si vive”, sottolineando ancora una volta come l’amore, quello vero, non debba mai essere distruttivo, bensì generativo».
Oltre al valore indiscutibile delle tematiche affrontate, è da segnalare la qualità molto alta dello spettacolo, ancor più apprezzabile se si pensa che sia stato realizzato da una compagnia teatrale amatoriale, nata come gruppo di aggregazione di ragazzi e giovani della parrocchia Sant’Antonio, che negli anni si è arricchito della partecipazione e della collaborazione di altri volontari esterni. Il musical, che riprende uno spettacolo di Michele Guardì, ma con scene interamente costruite dai giovani della compagnia, ha suscitato un turbinio di emozioni tra il pubblico presente. Grazie alla resa scenica dei protagonisti ed alle loro voci possenti e vigorose, infatti, gli attori hanno saputo trasmettere ai presenti tutto il pathos dei personaggi interpretati.
Numerose le scene degne di nota, a partire dagli assoli brillanti e potenti di Renzo e don Rodrigo, che, pur provando una comune attrazione per la dolce e bella Lucia, tuttavia manifestano il loro interesse in modo completamente diverso: il primo con la tenerezza e la delicatezza di un sentimento che coinvolge tutti i sensi, che rende partecipe anche la natura e che si traduce nel desiderio di condividere tutta la vita con la donna amata; l’altro con la prepotenza e la cupidigia che si traducono in desiderio di possedere ed asservire. Il primo è amore, l’altro ovviamente no.
Assolutamente meravigliose le scene del confronto poderoso tra fra’ Cristoforo e don Rodrigo e della morte del nobile. Durante il colloquio, il primo, puntando il dito contro il secondo, dimostra la forza della sua fede, facendo tuonare il celebre monito “Verrà un giorno …“, che spaventa e risveglia, anche se solo per un attimo, la coscienza morale del potente signorotto, il quale in punto di morte ripenserà alle parole del frate. Una resa scenica perfetta.
Particolarmente commoventi le scene in cui la madre dice addio alla piccola Cecilia, morta di peste, e quella in cui la monaca di Monza ricorda il suo passato, fatto di costrizioni ed imposizioni già dall’infanzia fino all’imposta vocazione. Due momenti molto diversi della storia manzoniana, eppure accomunati dallo stesso sentimento di dolore intenso trasmesso al pubblico: il primo con parole struggenti, urlate dapprima con disperazione, poi con acquiescenza, ma non intesa come rassegnazione, bensì come totale affidamento alla volontà del Signore; il secondo con parole disperate, quelle di chi vorrebbe fuggire dalla vita claustrale, ma si sente ormai inerme di fronte alle aspettative della famiglia e all’orgoglio paterno che la costringono ad una monacazione forzata, che è molto lontana da una vera risposta alla chiamata divina e che la lascia sofferente ed amareggiata a vita.
Sublimi anche le scene che hanno ospitato gli assoli di Lucia e dell’Innominato, durante la notte che potremmo definire dei ricordi e dei turbamenti: la prima, chiusa in camera, che rivive nella memoria i momenti trascorsi con Renzo, e il secondo, insonne, che ripensa ai misfatti e alle scelleratezze della sua vita. Il confronto con Lucia, che gli ricorda l’esistenza del perdono cristiano e la possibilità di redimersi e salvarsi l’anima, cambierà completamente la vita di entrambi.
Straordinaria, infine, le scena finale del musical: la conversione dell’Innominato, il suo abbraccio con il cardinale Borromeo e il canto del Padre nostro da parte del prelato. Potente e significativa non solo dal punto di vista del canto, la scena finale rappresenta la ricomposizione della vita di tutti e la vittoria dell’amore sopra ogni cosa. Le braccia del cardinale Borromeo, che prima stringono l’Innominato pentito e poi si aprono al pubblico, sono il segno di quell’abbraccio di Dio che tutti accoglie. Ecco spiegata la presenza sul palco di tutta la compagnia – interpreti, ballerini, regista, costumisti, scenografi -: quell’abbraccio di Dio è per tutti, quella storia scritta da uno che è morto centocinquant’anni fa è ancora attuale, quell’abbraccio può essere la storia di tutti noi.
Tutti positivi i riscontri del pubblico, a partire da quello dell’assessora Lia Sebastiani: «Uno spettacolo meraviglioso, che ci ha permesso di veicolare un messaggio importante a tutta la comunità di San Benedetto del Tronto, ovvero che d’amore si vive. L’amore non prevarica. L’amore non uccide. È un messaggio che potrebbe sembrare banale, ma non lo è purtroppo, visti i numerosi casi di femminicidio a cui assistiamo. È un messaggio che vogliamo far giungere a tutti i cittadini, ma soprattutto alle nuove generazioni. Ecco perché abbiamo accolto l’idea di portare il musical nelle scuole: grazie alla sua valenza didattica e sociale, “La promessa che cambia il destino” è un valido strumento per promuovere la cultura, visto che mette in scena il romanzo manzoniano, ma anche e soprattutto la parità di genere, l’uguaglianza, il rifiuto di qualsiasi forma di violenza o costrizione, la libertà e l’amore. L’Amministrazione Comunale, che è sempre vicina a queste tematiche, e la Commissione Pari Opportunità della Regione Marche hanno quindi riconosciuto il valore sociale di questo spettacolo ed hanno deciso di sostenerlo con un contributo. Il risultato mi pare sia eccellente sia in termini di resa del musical sia in termini di partecipazione di pubblico».
Entusiasta anche il vescovo Gianpiero Palmieri: «È una storia che conosciamo bene, perché ognuno di noi a scuola ha studiato “I Promessi Sposi” ed la storia di un amore che regge contro tutto e contro tutti. Davvero omnia vincit amor (n.d.r. l’amore vince ogni cosa)! Ognuno dei protagonisti di questa storia ci parla e ci racconta qualcosa anche di noi. La sofferenza di Lucia è quella di tante donne umiliate, disprezzate, costrette a fare ciò che non vogliono. È bello che abbiate voluto dedicare lo spettacolo a Giulia Cecchettin. C’è anche un’altra storia di femminicidio che noi conosciamo bene, quella di Santa Maria Goretti, la storia di una ragazza violentata ed uccisa che è anche una storia di conversione, se pensiamo che il suo uccisore è poi diventato frate. Forse vediamo il coraggio di Renzo o forse la fede di fra’ Cristoforo o il turbamento della “Signora” (n.d.r. Gertrude, la monaca di Monza) nel vedere una storia troppo simile alla sua, e poi la storia del perdono dell’Innominato. “La Bottega di Antonio” ci racconta, attraverso la musica e i canti, una storia bellissima, in cui ci ritroviamo tutti. A loro quindi va il nostro plauso non soltanto per la bravura nel canto e nella recitazione, ma anche e soprattutto per aver pensato di servire noi attraverso il musical».
Foto di Elena Pagnoni, Valerio Gabrielli e dei genitori dei ragazzi