RIPATRANSONE – Ricorre oggi, 31 Ottobre 2024, la Giornata Mondiale del Risparmio, istituita esattamente un secolo fa, durante il 1° Congresso dell’Istituto Internazionale del Risparmio, avvenuto a Milano nel 1924.
Abbiamo incontrato il dott. Vito Verdecchia, Direttore Generale della Banca di Ripatransone e del Fermano, per parlare di risparmio e di tanto altro.

Come si è evoluta l’idea di risparmio in cento anni nel nostro Paese e soprattutto nelle zone in cui opera la Banca di Ripatransone e del Fermano?
Personalmente, sono molto legato a questa giornata per ragioni affettive e nostalgiche. Mi riporta indietro nel tempo, alla mia infanzia, e precisamente al 31 Ottobre del 1979. Frequentavo la prima elementare ed il mio insegnante, il compianto maestro Alfredo Rossi, da sempre sensibile ed attento alla tematica, ci fece scoprire quel nuovo giorno di festa che, negli anni a seguire, continuammo puntualmente a celebrare. Ricordo bene che per l’occasione il maestro ci assegnava un disegno da realizzare e una poesia da imparare e recitare a memoria. È nato così, da bambino, il rapporto tra me e il 31 Ottobre, una data che poi ho riscoperto da grande, grazie alla mia professione, cogliendone altri aspetti e connotazioni, ovviamente più significativi e complessi, legati alla rilevanza che assume il tema del risparmio, nel panorama internazionale, nazionale e locale.
Guardando all’Italia, si parla – a ragione – di vera e propria cultura del risparmio, trattandosi di uno dei pilastri fondanti del nostro sistema Paese, tanto da ricevere un’attenzione ed una tutela, prioritarie ed esclusive, a livello costituzionale. I Padri Costituenti hanno infatti riservato al risparmio un apposito articolo, tra quelli del Capo III, dedicato ai “Rapporti Economici”, precisamente il numero 47 che recita: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà` dell’abitazione, alla proprietà` diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”. Proprio in questi giorni, leggendo con curiosità, alcuni passaggi dell’iter legislativo in Assemblea Costituente, dalle prime formulazioni, in seno alle Sottocommissioni, alla definitiva approvazione e stesura del testo, sono rimasto colpito, dalla competenza, dalla passione e dall’intensità che ne caratterizzarono i lavori e il dibattito. Lo spirito che animò le discussioni sulla necessità di riconoscere una tutela costituzionale al risparmio, sul farlo confinandola in un comma dell’articolo dedicato alla proprietà o di quello riservato al lavoro, o piuttosto (come poi avvenne), inserendola in uno specifico articolo, l’introduzione di apposito comma destinato al “risparmio popolare” e alle sue possibili destinazioni, sono la dimostrazione di quanto la cultura del risparmio fosse permeata nel Paese e, a mio avviso, rappresentano, altresì, un condensato dello spessore umano e politico dei nostri Padri costituenti. Ovviamente anche il risparmio, soprattutto nel corso degli ultimi decenni, è stato protagonista di una progressiva evoluzione, nelle sue varie forme, destinazioni e modalità di gestione che ha comportato la necessità di ulteriori interventi normativi e regolamentari, a carattere nazionale e sovranazionale, in linea con la sua crescente complessità. Continua comunque a rivestire un ruolo primario nella struttura socio economica “bancocentrica” del nostro Paese e delle comunità locali, come quelle in cui opera la Banca di Ripatransone e del Fermano. Per una Banca di Credito Cooperativo, il risparmio del territorio in cui esercita la propria attività di intermediazione, rappresenta la linfa vitale per dare sostegno finanziario all’economia locale. La fiducia che ripongono i risparmiatori nella Banca di Ripatransone e del Fermano, è fondamentale e lo sarà sempre, per garantire l’affiancamento e il supporto costante e crescente, al mondo dei privati e delle imprese.

Noi Italiani quindi siamo dei buoni risparmiatori?
L’ultimo report Banca d’Italia-Istat del Gennaio 2024, riferito all’intervallo temporale 2005-2022, restituisce un quadro della c.d. “Ricchezza dei settori istituzionali in Italia”, ad una prima lettura, positivo ed incoraggiante. Analizzando il dato della c.d. “Ricchezza nazionale della famiglie” emerge, effettivamente, come le attività finanziarie dalle stesse detenute, siano cresciute da circa 5.200 miliardi di euro del 2005 a circa 6.300 miliardi di euro nel 2022. Inoltre questo stock che tra l’altro corrisponde all’11,4% della ricchezza finanziaria a livello europeo, supera di ben 6 volte quello delle passività (i debiti) riconducibili al medesimo segmento.
Quindi tutto bene? Purtroppo no, la realtà non è così brillante, come apparentemente può sembrare. Basta allargare il campo d’indagine anche ad altri report (come ad esempio il Big Global Wealth Report 2024 di Boston Consulting Group, quello sulla concentrazione della ricchezza di OXFAM Italia e quello sulla povertà dell’Istat del 17 ottobre scorso) ed indicatori, come quello della ricchezza netta pro capite e soprattutto quelli della distribuzione della ricchezza e della povertà, per far emergere un quadro oggettivamente più inquietante e preoccupante. Per quanto riguarda la prima, infatti, alla fine del 2022, l’Italia, esprimeva il valore più basso nel confronto internazionale, ad eccezione della Spagna (per la quale però l’ultimo dato disponibile si riferisce al 2021).

Come è distribuita la ricchezza in Italia?
I numeri che concernono la distribuzione della ricchezza e la povertà allarmano particolarmente e comunque rappresentano la cartina tornasole del trend negativo che ha assunto ormai da anni, in gran parte dei paesi occidentali, il coefficiente di Gini, uno dei principali indicatori di misurazione della diseguaglianza. In Italia, a fine 2022, l’1% più ricco possedeva 84 volte la ricchezza del 20% più povero della popolazione (fonte OXFAM Italia). Detto con altri numeri (fonte BCG ), appena 2.300 persone detengono ben il 17% di tutta la ricchezza finanziaria del Paese e non più di 457 mila persone, pari a circa lo 0,77% della popolazione, ne posseggono addirittura attorno al 50% . I numeri sulla povertà (fonte ISTAT) sono ancor più sconvolgenti: 5,7 milioni di residenti (pari a poco meno del 10% della popolazione) vive in condizioni di povertà assoluta e tra questi ben 1,3 milioni sono minori d’età, il dato peggiore della serie storica dal 2014 (13,8% del totale). La concentrazione della ricchezza e l’eccesso di povertà, generano sicuramente maggiori squilibri e criticità anche in termini di efficacia ed efficienza dell’allocazione del risparmio. L’Italia, dopo aver sperimentato a cavallo tra gli anni ‘50 e i primi anni ’80, un primo fruttuoso periodo, in termini di riduzione delle diseguaglianze, ha poi purtroppo interrotto ed invertito bruscamente il trend. Le ragioni sono diverse e non è questa la sede più idonea, anche per ragioni di spazio, per dibatterne. Ciò che va sottolineato è che il ritorno ad un progressivo riequilibrio ed ad una maggiore equità nella distribuzione della ricchezza, contribuirebbero ad una maggiore funzionalità e valorizzazione del risparmio e del suo impiego.

Quale sarebbe, a suo giudizio, una buona soluzione per una migliore distribuzione della ricchezza?
La ricetta per la soluzione del problema ci sarebbe già ed è contenuta nel secondo comma dell’articolo 3 della nostra Carta Costituzionale che sancisce che “(…) È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.  Tuttavia, come sostenne uno dei più autorevoli Padri Costituenti, il prof. Piero Calamandrei, nel suo discorso agli studenti milanesi del 1955, “la Costituzione non è una macchina che, una volta messa in moto, va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova, bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”.

In che modo la Banca di Ripatransone e del Fermano è vicina al territorio?
La nostra Banca ha una storia lunga e radicata nel territorio. La prima Cassa Rurale in Italia è nata nel 1883, quindi prima ancora dell’enciclica Rerum Novarum del 1891, che ha dato impulso allo sviluppo di molte altre casse rurali in Italia. La nostra BCC è nata nel 1905. Il Credito Cooperativo arriva quindi circa un secolo prima della Carta dei Valori del 1999, che è stata formulata con l’intento di riaffermarne i principi fondanti, che possiamo riassumere in 3 parole chiave: persone, territorio e relazioni. Tre cardini essenziali e determinanti per lo sviluppo di una comunità.
La nostra Banca, quindi, è vicina al territorio per vocazione e per missione. Infatti circa il 70% del risparmio raccolto dalla BCC, diventa credito per l’economia reale e almeno il 95% del credito deve essere erogato nello stesso territorio che ha generato il risparmio. Dal nostro punto di vista, quindi, l’economia mutualistica e geocircolare non è soltanto un vincolo normativo, quanto piuttosto una opportunità di servire con modalità concretamente differente, il territorio.
La nostra clientela di riferimento sono privati, famiglie, piccoli operatori economici (su tutti artigiani e agricoltori), PMI. A tutti questi soggetti siamo vicini nella raccolta del risparmio, nella pianificazione degli investimenti, nelle necessità di finanziamento, nell’erogazione di una pluralità di servizi, tra i quali principalmente la tutela assicurativa e/o previdenziale.

In che modo?
L’essere Banca di Credito Cooperativo, impone all’ente un vincolo dettato dall’art. 2 del proprio Statuto che noi riteniamo in realtà, un’opportunità – io lo chiamo “felice obbligo” -: quello di perseguire il miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche della comunità, promuovendo lo sviluppo della cooperazione, l’educazione al risparmio e alla previdenza, nonché la coesione sociale e la crescita responsabile e sostenibile del territorio.
I progetti che il risparmio locale finanzia sono molteplici e si differenziano, per prenditore e categoria (consumatori privati e famiglie, artigiani, agricoltori, imprese, enti), per settore di destinazione (agricoltura, edilizia, commercio, servizi, industria, turismo, trasporti, trasformazione, …) per finalità (ad esempio investimenti edilizi privati o societari, investimenti in macchinari e attrezzature, acquisto beni di consumo, smobilizzo dei crediti, ripristino scorte, operatività con l’estero, …) per forma tecnica (aperture di credito in c/c, mutui fondiari, ipotecari, chirografari, affidamenti autoliquidanti, finanziamenti all’import o all’export, …).

Vuole parlarci di qualche iniziativa in ambito culturale?
Le iniziative sono ovviamente molteplici e toccano più ambiti: musicale, sportivo, associazionistico, educazione finanziaria e cooperativa, tradizione popolare e folkloristica.
Cito solo i più recenti che hanno caratterizzato l’anno 2024: siamo stati il main sponsor del film “Neve” sul tema del bullismo, prodotto dal regista e attore marchigiano Simone Riccioni, e siamo entrati a far parte della rete di sostenitori dei Musei Sistini del Piceno, primo ed unico istituto di credito a farlo.

Particolare attenzione viene data dalla Banca di Ripatransone e del Fermano ai giovani. Quali opportunità ed iniziative sono loro destinate?
La nostra Banca pur avvicinandosi ai suoi 120 anni, è comunque un istituto giovane! I propri dipendenti sono in gran parte giovani e giovanissimi. Io coi miei 50 anni, sono ormai tra i più attempati! Inoltre abbiamo costituito la “GiovaniLab.com”, un’associazione collaterale alla compagine sociale della Banca, che cerca di promuovere e realizzare delle iniziative finalizzate ad avvicinare al mondo del Credito Cooperativo i giovani.
Come Banca, infine, promuoviamo percorsi di educazione finanziaria con le scuole, aderiamo a progetti PCTO e ospitiamo studenti universitari per stages/tirocini finalizzati al conseguimento della laurea triennale o specialistica.

Nell’ultimo percorso di educazione finanziaria, Lei ha illustrato un modello di economia che – cito testualmente – “rimetta al centro del mondo le persone e le relazioni e non il profitto, il bene comune e non il bene dei singoli, la ricerca della felicità e non quella dell’utilità”. È solo un sogno o è davvero possibile?
Diversi studi certificano che l’Italia è sensibilmente sotto la media OCSE a livello di alfabetizzazione finanziaria, quindi ci siamo sentiti chiamati in causa nel coinvolgere le nuove generazioni attraverso specifici progetti sul tema, come ad esempio “Crescere nella Cooperazione”, un percorso di educazione cooperativa che viene proposto alle Scuole primarie e secondarie di primo grado, e “110 e lode”, un corso rivolto invece agli Istituti di Istruzione Superiore. Quest’anno, in particolare, con gli studenti dell’Istituto Fazzini- Mercantini abbiamo focalizzato la nostra attenzione sugli aspetti tecnici legati al mondo del Turismo. Con gli studenti del Liceo Classico Leopardi invece abbiamo approfondito il tema dell‘economia civile, che – come dice uno dei padri fondatori, il prof. Zamagni – è quella che guarda più al bene comune che al bene totale. Il bene totale, che può essere anche superiore al bene comune, è tuttavia un bene per aggregazione, e quindi, nella sommatoria, può anche contenere qualche “sottrazione”, può “fare a meno di qualcuno…”. Il bene comune, invece, essendo un bene per moltiplicazione, non può “annullare“ alcun fattore: non esclude, ma include. Tutti gli attori del panorama economico e sociale, quindi, recitano un ruolo determinante. In questa cornice il Credito Cooperativo si incastra alla perfezione. Alcuni studi condotti dall’Università Cattolica di Milano hanno dimostrato che, nei territori dove le BCC sono rimasti gli unici istituti di credito, si sono sperimentati maggiori inclusività e benessere economico, rispetto ad altri territori sprovvisti. Questa è una ulteriore dimostrazione di quanto sia efficace l’economia civile.

Lei è direttore della Banca di Ripatransone e del Fermano dal 2013. Quali sono i frutti più belli maturati durante la sua dirigenza? E quali sono gli obiettivi ancora da raggiungere?
Faccio presto a dirlo. Se sono diventato direttore generale è perché ho avuto delle radici solide sulle quali sono cresciuto: sono molto grato alle persone che ho incontrato lungo il cammino, alcune delle quali purtroppo non sono più fra noi. I frutti maturati sono le relazioni nate nel tempo, la crescita dell’organico e lo sviluppo della Banca: quando sono diventato direttore, oltre la metà dei miei attuali colleghi non c’era. Se oggi siamo arrivati ad essere riconosciuti come un attore protagonista del nostro territorio, è soprattutto grazie al loro prezioso contributo e alle loro spiccate umanità e professionalità.
Pertanto auguro alla nostra Banca di continuare a svolgere, in modo coerente, il nostro lavoro, fedeli ai nostri principi fondanti, quindi mantenendo una presenza forte, continua e crescente sul territorio. Questo vuol dire anche guardare al futuro senza timore, con entusiasmo, energia, capacità di ascolto e con il sorriso sulle labbra che ci ha sempre caratterizzato.

È veramente bella questa attenzione alla persona, a cui ha fatto riferimento più volte durante l’intervista. Mi pare di cogliere che, oltre ad essere una caratteristica della Banca di Ripatransone e del Fermano, sia anche un tratto della sua personalità. Quali figure hanno contribuito a farla divenire la persona che è oggi, così attenta all’altro?
Sono cresciuto in una bella epoca, in cui tutte quelle che oggi chiamiamo agenzie educative funizonavano bene.
L’ambiente parrocchiale allora aveva un’incidenza importante sulla crescita e sulla formazione di un ragazzo. Anche se non avevamo un oratorio, tuttavia la parrocchia era un punto di ritrovo, attorno al quale ruotavano tante iniziative: ad esempio si organizzavano partite e tornei di calcio in ogni periodo dell’anno oppure, da Ottobre in poi, si preparava la legna per il falò dell’8 Dicembre. Insomma eravamo protagonisti di feste e momenti di incontro che ci facevano veramente divertire: erano forme di gioco, che però servivano anche a socializzare. Oggi, purtroppo, come dice il sociologo Paolo Crepet, abbiamo ucciso il gioco e le sue emozioni. Io, invece, posso essere orgoglioso di aver vissuto un’infanzia ed un’adolescenza fatta di cose semplici, di giochi anche all’aperto e di incontri in parrocchia, eesperienze che però mi hanno insegnato tanto.
Poi anche l’esperienza con il mondo della Scuola è stata molto positiva. Ho frequentato l’Istituto Tecnico Commerciale ed ho conosciuto docenti che per me sono stati dei veri maestri di vita, con i quali ho, ancora oggi, un rapporto filiale.
In altre parole, ho avuto il dono di fare molti incontri che hanno immensamente arricchito la mia vita.
Un pensiero di gratitudine va poi ai miei genitori che mi hanno cresciuto insegnandomi che la vita va vissuta con umanità e fatica e che il donarsi è fonte di gioia. Un ricordo speciale infine va alla figura di mio padre che non c’è più e che, oltre ad avermi testimoniato i valori che danno senso autentico alla vita, mi ha trasmesso due delle mie più grandi passioni: la storia e la politica.

Cosa augura ai nostri lettori?
Auguro di avere uno sguardo più attento e sensibile verso alcune problematiche che sono anche sfide che ci attendono: rimuovere gli ostacoli che conducono alle disuguaglianze; avere cura dell’ambiente che ci circonda; promuovere e testimoniare l’inclusività. Ai giovani a cui mi rivolgo parlo spesso dell’ “Earth Overshoot Day”, ovvero il “Giorno del Sovrasfruttamento della Terra”, che indica l’esaurimento ufficiale delle risorse rinnovabili che il Pianeta è in grado di offrire nell’arco di un anno. Per l’Italia è stato lo scorso Maggio. Questo vuol dire che, se c’è qualcuno che vive al di sopra delle proprie possibilità, è perché c’è qualcuno che, invece, purtroppo, non è in grado nemmeno di vivere. Non possiamo fare finta di nulla. Siamo chiamati tutti, nel nostro piccolo, a vivere secondo uno stile di vita sostenibile.

Cosa chiede al nuovo vescovo Gianpiero Palmieri e cosa gli augura per il suo cammino pastorale nella nostra Diocesi?
Gli auguro di percorrere un cammino sereno, di vicinanza al territorio e improntato ad una sempre maggiore sensibilizzazione della comunità su questi temi.

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