Di Silvia Rossetti
Smartphone e adolescenti: proibire o educare? Questo l’attuale dilemma. I pareri sono molteplici e tutti animati da forte preoccupazione e buonissime intenzioni. Il nodo, però, è difficile da sciogliere.
Le scuole a settembre hanno inaugurato le lezioni all’insegna del divieto, come indicato in maniera inequivocabile dalle disposizioni in merito all’uso degli smartphone nel primo ciclo di istruzione, pubblicate nel luglio scorso dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. Sulla stessa linea di pensiero la petizione, promossa dal pedagogista Daniele Novara e dallo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai, che chiede al Governo di proibire gli smartphone ai minori di quattordici anni e l’iscrizione ai social ai minori di sedici. L’iniziativa ha raccolto finora circa 60.000 firme, tra cui spiccano nomi di personaggi della politica e dello spettacolo.
Altre voci sottolineano il fatto che ormai l’utilizzo di questi dispositivi è parte di una “rivoluzione” non più arginabile e che la scuola dovrebbe cercare di puntare le proprie energie sull’educazione a un utilizzo consapevole e moderato. Questi strumenti offrono opportunità incredibili ai giovani, il problema è che nella maggior parte dei casi questi ultimi si ritrovano a farne un utilizzo compulsivo e parziale, centrato quasi esclusivamente sui socialnetwork o il gaming.
Una ricerca condotta dall’Osservatorio scientifico della non profit “Movimento Etico Digitale”, diffusa in occasione del Safer Internet Day (6 febbraio 2024), ha evidenziato che l’82% dei ragazzi trascorre oltre 5 ore al giorno sui dispositivi (smartphone, computer e smart Tv): un tempo che, spalmato su un intero anno, potrebbe quantificarsi in circa tre interi mesi. L’indagine ha registrato, però, anche una maggiore consapevolezza riguardo le dipendenze dai media digitali: il 30,1% dei giovani intervistati ha riconosciuto il bisogno di moderare l’uso di Internet, ma dichiara di non aver ancora agito in proposito.
Tra i giovani si fa anche strada la consapevolezza dei danni psicologici, cognitivi e relazionali che la sovraesposizione ai dispositivi digitali può determinare. C’è da dire che gli adulti spesso delegano (più o meno inconsapevolmente) a questi strumenti l’intrattenimento dei propri figli, purtroppo fin dalla tenera infanzia. Di fatto i genitori controllano poco, stabiliscono regole che poi non sono in grado di far rispettare, non hanno minimamente idea delle attività che i propri figli conducono in rete, non esplicitano i rischi relativi alla privacy e alla cybersicurezza e in molti casi danno persino il cattivo esempio. Si corre poi, spesso inutilmente, ai ripari quando insorgono cali importanti nel rendimento scolastico, fobie e sindromi ansiose, oppure nei casi in cui i minori finiscono nella rete del cyberbullismo o di qualche altra insidia del web.
In maniera particolare, gli psicologi sottolineano l’aumento le sindromi ansiose e ossessivo-compulsive “da notifica”. Le statistiche riferiscono che siamo interrotti dal trillo delle notifiche ogni 180 secondi: oltre a impattare in maniera dannosa sulle attività che stiamo svolgendo, ci sollecitano a rispondere immediatamente. Applicazioni come Facebook, Instagram, Whatsapp, TikTok accompagnano molti di noi e quasi tutti gli adolescenti nel corso della giornata, portando a gestire il tempo e l’attenzione su una sorta di doppio binario, in parallelo realtà e mondo virtuale.
Alcuni studi dimostrano che il processo di controllo dello smartphone e la ricezione di una notifica producono un ciclo di ricompensa nel cervello, che costringe a ripetere l’azione più e più volte in cerca di “ricompense” sotto forma di notifiche. In sostanza, al controllo dello smartphone è correlata una pericolosa risposta della dopamina, che fornisce soddisfazione momentanea.
Insomma le riflessioni sul tappeto sono molte e richiedono un serio approfondimento.
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