GROTTAMMARE – Si è svolta il 2 novembre a Grottammare la concelebrazione di tutti i parroci per commemorare i defunti della città. La funzione si è svolta al cimitero, nella cappella, con il parroco di San Pio V e San Giovanni Battista, monsignor Federico Pompei, don Pierluigi Bartolomei della parrocchia Madonna della Speranza, che ha presieduto la Santa Messa, e don Roberto Antonio Melone della Gran Madre di Dio.
Il cimitero appariva gremito di persone che hanno assistito dall’esterno, nel giardino, grazie all’impianto di amplificazione, poiché l’angusta cappellina ha permesso solo a un ristretto numero di fedeli di poter assistere al coperto. Nell’omelia, don Pierluigi ha ricordato come i defunti non siano morti ma vivi nel nostro ricordo e soprattutto nella luce del Signore, come si evidenzia e rivela dalla serenità e dalla pace che si respirano dentro il cimitero.
Ha raccontato un episodio relativo al fatto che egli stesso spesso si reca a passeggiare e meditare all’interno del cimitero per trovare un po’ di pace e serenità. «È vero, abbiamo pianto tutti per un nostro caro scomparso – ha sottolineato don Pierluigi – ma le lacrime salate scendono fino alla bocca e lì finiscono… mentre invece la nostra speranza cresce sempre di più e deve essere questo il luogo di gioia, di attesa e di forza». La celebrazione è stata animata dal coro parrocchiale di San Pio V e San Giovanni Battista.
«Quando passeggio nel cimitero mi sento protetto – ha concluso don Pierluigi – perché so che ci sono loro, i nostri cari defunti intorno a me, con la loro accesa speranza e con la loro vicinanza a Dio!»
Davvero tante le persone che, commosse e fiduciose, hanno partecipato a questa funzione dedicata a tutti i nostri cari. In questi giorni i nostri cimiteri sono pieni di luci e colori, si sente lo scalpiccio dei passi sulla ghiaia, ci si sorride, davvero permeati da quel senso di pace che vi si respira.
È questa una pia devozione che ci ricorda che i nostri cari «sono solo nella stanza accanto», come recitano i bellissimi versi dello scritto di Henry Scott Holland, teologo e poeta britannico, dal titolo La morte non è niente (probabilmente tratto dal sermone del 1910 in occasione della morte di Edoardo VII), spesso attribuito a sant’Agostino d’Ippona. Il Padre della Chiesa, ad ogni buon conto, è comunque legato alla riflessione di Holland, in quanto nella sua lettera 263 a Sàpida (una ragazza a cui era morto il fratello diacono), sant’Agostino scrive alla giovane che suo fratello defunto e il loro stesso amore fraterno sussistono ancora, nonostante egli sia morto.
«Come l’oro che è ancora tuo, anche se lo custodisci in qualche armadio». «Rifletti, Sapida, al significato del tuo nome – spiega sant’Agostino, alludendo alla sapienza della ragazza – e gusta il sapore delle cose dell’alto, ove Cristo è assiso alla destra del Padre; Egli si è degnato di morire per noi affinché vivessimo anche dopo morti, e affinché l’uomo non temesse la morte, come se questa fosse destinata a distruggere l’uomo, e affinché non venisse pianto nessuno dei morti come se avessero davvero perduto la vita, dal momento che per essi è morto Colui ch’è la Vita. Questi e altri simili a questi siano i tuoi divini conforti, in virtù dei quali arrossisca e sparisca l’umana tristezza» e poi ancora dice sempre sant’Agostino sulla morte: «Non deve farci adirare il dolore che provano i mortali per la perdita dei loro cari, è vero, ma il cordoglio dei cristiani non dev’essere di lunga durata. Se dunque hai provato dolore, ormai deve bastare e non devi rattristarti alla maniera dei pagani che non hanno speranza».