(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Roberta Pumpo

Nell’immaginario comune la santità è qualcosa di antiquato, di noioso, relegato ai santini o ad un’élite di fedeli che trascorrono le giornate in chiesa. Già nel 1964 la Costituzione “Lumen Gentium” al n. 41 chiariva che “nei vari generi di vita e nelle varie professioni un’unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e… seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria”. Eppure, oggi resta un concetto polveroso che per molti, troppi, richiede un percorso arduo e faticoso, lontano dalla realtà. E comunque sempre letto in chiave umanocentrica. “La santità non è un traguardo da raggiungere con le nostre forze, ma un dono di Dio che agisce nella nostra vita quotidiana – mette subito in chiaro don Fabio Rosini, direttore dell’Ufficio per la pastorale universitaria della diocesi di Roma -. È l’opera di Dio nella nostra vita. Bisogna comprendere che quando la Chiesa annuncia il Vangelo, annuncia l’opera di Dio non la nostra. Viviamo in un’epoca pelagiana e abbiamo perso la dimensione della grazia. La nostra potenza è mediocre, piccola, banale – prosegue don Fabio che proprio ieri sera ha parlato di santità a oltre 500 giovani -. Il nostro compito è solo quello di affidarci a Dio e dare a lui la possibilità di operare in noi”.

Crediamo che la santità sia appannaggio di grandi imprese, di azioni eclatanti, senza fermarci a riflettere, spiega don Rosini, che la santità più grande è stata quella di Gesù Cristo il cui gesto più santo è stato un atto di completa sottomissione alla volontà del Padre: la crocifissione.

“Non possiamo fermarci e decidere di essere santi, noi al massimo possiamo assecondare l’opera di Dio nel presente nel luogo in cui egli ci pone” dichiara il sacerdote romano. È questa illusione di onnipotenza coltivata dagli adulti che impedisce di essere esempio e testimonianza di santità nel quotidiano e quindi di attrarre i giovani. “I ragazzi non percepiscono in noi la presenza di Dio, vedono solo le nostre azioni, i nostri buonismi, moralismi, vuoti e inconsistenti – chiosa Rosini -. Come cristiani ci siamo omologati anche nel linguaggio” prosegue facendo riferimento alla dilagante cultura del politicamente corretto, “il mainstream buonista globale”. Dobbiamo partire dal fatto che “Dio è buono e ci vuole bene e se ci troviamo in un determinato luogo è perché quello è il posto giusto per noi in quel determinato momento – le parole del direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale universitaria -. Spesso i genitori si comportano in modo goffo con i propri figli perché non credono al dono che è stato fatto loro, ossia l’essere genitori che è un carisma”. La chiave, per Rosini, sta nel trasformare una proposizione in una preposizione. “Pensiamo che per essere santi dobbiamo essere “come” Dio – aggiunge – ma è sbagliato perché c’è l’elemento competitivo. Come? Più di Dio? Meno, uguale? Avventurandosi verso un’iperbole irrealizzabile. Nostro compito è essere “con” Dio, uscire dall’autoreferenzialità ed entrare nella sinergia, affidarsi completamente alla Provvidenza”.

Ai genitori rammaricati perché i figli hanno perso la fede, don Fabio chiede sempre di riflettere quando è stata l’ultima volta che hanno mostrato loro un atto di vera fiducia nel Padre, quando hanno messo Dio al primo posto senza farsi distrarre da questioni secondarie perdendo di vista le priorità, rimanendo ostaggi delle proprie ansie.

“Bisogna stimare i ragazzi, sono splendidi – dichiara don Rosini -. Bisogna credere nelle loro capacità, aiutarli a far emergere la bellezza che hanno nel loro cuore. Il problema non è la santità che gli adulti devono testimoniare affinché i giovani abbiano voglia di essere santi. Noi dobbiamo smettere di essere i tarocchi di noi stessi ed essere l’opera che Dio compie in noi, vivere da figli di Dio, vivere come Gesù sulla croce cioè nei momenti bui affidarsi al Signore e lasciarlo agire. Questo ci porta a mostrare l’opera di Dio in noi il che – specifica don Fabio -, non significa non avere limiti ma nei nostri limiti fidarci del Padre”. In una società così individualista, è quindi raro trovare esempi di santità come Carlo Acutis e Chiara Corbella? “Il male fa notizia, il bene no – risponde don Fabio -. Eppure il bene è molto più diffuso di quanto si creda. Sono testimone di tanti giovani che si aprono alla fiducia in Dio. Non è questione di rinomanza, anche perché spesso certe storie di vita fanno notizia quando hanno risvolti tragici e drammatici”. Richiamandosi al noto proverbio “fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce” don Rosini rimarca che la santità “è una foresta che cresce, non si sente ma c’è. La capacità di vivere con quella pace interiore che viene dall’amore del Padre è sufficiente per mostrare di vivere come figli di Dio”.

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