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La storia migratoria di Lito Fontana, dall’Argentina alla ricerca della propria strada

 

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Non tutte le storie migratorie hanno una cornice di sofferenza, anche se sono pervase di disagio oppure nate da un impellente bisogno di migliorare la propria vita. Alcune storie, come questa di Lito Fontana, ti portano con la mente in un vortice di sentimenti che parlano di audacia, di adattamento, di saggezza e di umiltà, di lavoro, del valore della famiglia e dell’amicizia infine, di riconoscenza per aver ottenuto tanto dalla vita.

Ma chi è Lito Fontana e qual è effettivamente la sua storia migratoria?
In sintesi si può descrivere Lito Fontana come un musicista affermato, nato in Argentina, cresciuto in Italia e stabilito attualmente in Austria. La sua vita ha radici dunque, in una storia emblematica di immigrazione perché è figlio di due migranti italiani partiti per il sud America dalla Calabria, agli inizi degli anni 50.
Francesco Fontana, che i sanbenedettesi conoscono come loro calzolaio, e Teresa Bianco, dopo la Seconda Guerra Mondiale lasciano la Calabria, entrambi bambini, insieme alle loro famiglie, per emigrare in Argentina. Francesco è nativo di Paola – Cosenza e Teresa di Petronà, località della provincia di Catanzaro. A quei tempi l’Argentina, terra libera e sterminata, rappresenta un’opportunità di lavoro per molti italiani. Le famiglie si fermano a San Miguel, vicino a Buenos Aires. Il padre di Teresa mette su una fabbrica dove confeziona scarpe, insieme ad altri italiani. Francesco conosce lì la bella Teresa, operaia come lui  e presto la sposa. In seguito nascono i tre figli: Lito, Monica e Cacito. Per un periodo la famiglia di Francesco rimane in Argentina, senza intenzione alcuna di tornare in Italia, che nella loro esperienza infantile è l’immagine della povertà e del pericolo. A Teresa vengono in mente i boschi brulicanti di lupi e la paura che ha mentre raccoglie la legna.

Al momento la vita in Argentina è appagante. Lito ed i fratelli crescono in un contesto accogliente e sereno. Hanno una bella casa, spaziosa e due cavalli nella recinzione. Sono circondati da buoni amici e da parenti, ma negli anni settanta in seguito ad un colpo di stato si instaura in Argentina una dittatura militare.

La situazione politica ed economica degenera.

C’è addirittura il rischio della vita, per cui la famiglia si vede costretta ad accettare l’invito di un amico di trasferirsi in Italia, a San Benedetto del Tronto, dove avrebbero potuto trovare lavoro. Francesco svende i beni posseduti, i macchinari del calzaturificio e s’imbarca insieme alla famiglia su una nave, il mezzo di trasporto più economico, verso l’Italia. Lito ricorda i diciassette avventurosi giorni di viaggio, fino all’arrivo. All’epoca Lito ha dodici anni, Monica sette e Cacito sei.
L’amico, Vincenzo Iachini, un ex operaio nella fabbrica argentina ritornato qualche anno prima a San Benedetto, ospita per un po’ di tempo l’intera famiglia con generosità.

Allo scopo di riscattarsi economicamente, Francesco inizia a lavorare per tre calzaturifici. Cuce a mano dei mocassini; modello di scarpa che in Italia non è ancora conosciuto, ma che Francesco produceva già in Argentina.

Anche Lito, nonostante sia solo dodicenne vuole aiutare la famiglia e inizia a lavorare come cameriere. L’impatto con la nuova situazione non giova a Lito. In Argentina ha lasciato una casa spaziosa, amici e parenti tra cui ben 28 cugini, mentre a San Benedetto è costretto a condividere una casa di pochi metri quadrati.

Il disagio iniziale è tale che un giorno, esce di casa e si piazza al porto di San Benedetto, con la speranza di trovare una nave che lo riporti in Argentina.

I genitori lo cercano disperatamente per un po’ di tempo, anche con l’ausilio della polizia lo trovano e lo riportano a casa.

Tuttavia, a Lito non occorre molto tempo per ambientarsi. Servono nuove amicizie e un progetto di vita, che non ritardano ad arrivare. Lito ha molti interessi e voglia di lavorare. Ama molto la musica, compagna immancabile della sua crescita. In Argentina, in famiglia, si cucivano le scarpe e si cantava. Il padre, lui stesso un corista, concede a Lito di prendere lezioni di chitarra. Il nonno gli ha trasmesso la passione per la musica classica perciò, quando all’età delle medie, il Maestro sanbenedettese Vinicio Marini gli offre la possibilità di entrare a far parte della banda musicale è molto contento. Non suona la chitarra ma il trombone, perché è l’unico strumento che manca alla banda e che diventerà pian piano la sua passione.
Il padre nel tempo apre una bottega, tutta sua, di riparazioni di scarpe e vi lavora l’intera famiglia; -l’esercizio è tuttora funzionante ed è gestito dal figlio minore, Cacito.

La famiglia si riprende economicamente e si ambienta bene a San Benedetto, percepita come città accogliente.

Crescendo, Lito termina la scuola media Gabrielli, poi prosegue gli studi di musica al Conservatorio; prima allo Spontini in Ascoli poi a Fermo, dove nel 1984 si diploma in trombone.
In seguito al diploma, Lito inizia a insegnare il trombone allo Spontini di Ascoli. Oltre le docenze fa esperienze lavorative nel mondo dello spettacolo. Suona con le band un genere musicale chiamato Rockabilly, partecipando a volte, agli spettacoli di Renzo Arbore e ai concerti di Massimo Ranieri. Esperienze interessanti e ben remunerate anche se a termine. Tuttavia, Lito non sente ancora di aver imboccato la propria strada che si delinea grazie ad un incontro inaspettato e provvidenziale, quello con Mona ad Ibiza nel 1987. Mona è una bella austriaca di padre egiziano che diventa a breve sua moglie e che poi condiziona in positivo la sua carriera professionale.
Nel 1989 Lito sposa Mona e la porta con sé a San Benedetto, dove compra un appartamentino. Continua a lavorare, sia come docente, sia nello spettacolo. Ad un certo punto però la situazione nel settore musicale in Italia peggiora. Lito non ha quasi più occasioni per esibirsi e, laddove riesce la paga è misera. Scoraggiato dalla condizione lavorativa, nel 1991, Lito si trasferisce insieme a Mona a Innsbruck, in Austria. In Austria vince un concorso come docente in una scuola di musica, a 100 km da Innsbruck. Per un po’ di tempo fa avanti indietro sulle strade nevose, di montagna, molto scomode per chi come lui non è avvezzo alla neve ed al ghiaccio. Un’opportunità di riavvicinamento a Innsbruck tuttavia arriva quando il rinomato Conservatorio di Hall -Tirol, mette a concorso un posto di docente che Lito occupa brillantemente. La scuola è prestigiosa e Lito si dimostra all’altezza del suo compito. Dalle sue classi “vengono fuori” strumentisti di livello che vanno a suonare in orchestre prestigiose e nel quintetto Armonika brass.

Lito inizia a ricevere riconoscimenti. Suona in tanti teatri eccellenti, come il Musikverein, e inizia ad assaporare la soddisfazione di aver concretizzato una bella carriera professionale che lui stesso definisce “da favola”. Riceve inviti di collaborazione con Conservatori italiani: insegna a Perugia per due anni e a Bolzano per cinque.

Al Conservatorio di Bolzano, Lito, istruisce lo studente che oggi viene considerato il miglior trombonista al mondo, Peter Steiner.

Lito diventa anche il Presidente dell’Associazione italiana delle orchestre di ottoni – brass band.

Ma la carriera professionale non è tutto e le soddisfazioni arrivano anche a livello familiare: nel 1994 nasce Marisol e nel 1995 Daniele. Oggi Marisol è manager di una catena austriaca di alberghi, mentre Daniele si cimenta nel campo della produzione musicale. Lito è felice per loro anche più della personale realizzazione.

Finalmente, vive in questo periodo un successo professionale sudato e sognato fin da ragazzo, quando si trovava a cucire a mano mocassini nella bottega del padre.

La sua felicità però non può essere circoscritta alla professione.

Lito ha costruito un nucleo famigliare amorevole, dove tutti i componenti si sostengono a vicenda. Un nucleo famigliare multietnico che non ha impedito la comprensione, al contrario ha apportato ricchezza linguistica culturale e capacità di adattamento.
I componenti della famiglia di Lito non si sono fermati su una o su un’altra cultura; hanno assimilato qualcosa da tutte loro, per scelta e per trasmissione da parte dei genitori, dei nonni e del prossimo.

Loro sono “prodotti” delle culture: italiana, egiziana, austriaca, bosniaca (per il fidanzato di Marisol), ma anche argentina perché è lì che Lito ha vissuto i suoi più formativi e significativi anni di vita; e sulla pampa che ha fatto le sue scorribande con gli amichetti, per rincorrere i cavalli in libertà, tanto che, se oggi gli viene chiesto cosa si sente di essere? risponde argentino.

È questo il patrimonio che la vita ha donato a Lito e alla sua famiglia. Forse è questo contesto di vita che fa di lui un uomo felice, che oggi gli permette di parlare del suo intrecciato percorso migratorio con il sorriso sulle labbra.

La sua storia può rassicurare sull’incontro vantaggioso con l'”altro”.

Può anche essere di ispirazione per tutti i migranti che hanno un sogno da realizzare altrove. Non fermarsi a piangere, davanti alle difficoltà, ma rimboccarsi le maniche per superarle. Perché con la giusta determinazione ci si può costruire una buona vita ovunque.   
A San Benedetto del Tronto Lito ha una parte del suo cuore.

Qui ci sono tanti suoi amici, il fratello, la sorella (ad Ancona) e soprattutto la adorata mamma, ottantaquattrenne.