“Sedime” è la nuova raccolta di poesie appena pubblicata di Gianni Marcantoni, poeta marchigiano, edita da FaraEditore. Una selezione di 80 liriche che compongono il nono lavoro del poeta, in cui non si arresta la sua personale ricerca letteraria.
L’autore avverte la costante necessità di esplorare il proprio mondo interiore che, allo stesso tempo si proietta verso la realtà circostante, evidenziandone dubbi, nevrosi, angosce, speranze, affetti, nostalgie, timori, e molto altro, partendo dalla citazione di due frasi inserite all’inizio della raccolta, datate 1995-1996, tratte dai quaderni dei suoi primi anni di scrittura. Non ci si sottrae mai alla potenza della parola, che diviene strumento sempre più necessario per descrivere i tratti principali dell’essere umano, immerso (o forse ormai perduto?) nelle evidenti contraddizioni, paure ed incertezze della vita quotidiana, tra le crescenti complessità e lacerazioni dei rapporti individuali, sempre più difficili da coltivare nel tempo. In tutto questo la poesia non è mai fine a sé stessa, ma torna ad essere, con tutta la sua forza, un linguaggio tra i più significativi ed efficaci.
In un estratto della postfazione di Elisabetta Beneforti si legge: “Via via si animano oggetti e corpi, scomparse e apparizioni dialoganti, distanze spaziali e temporali annullate o richiamate, il tutto percorso dalle luci e le ombre della comprensione. È necessario decifrare ciò che può appartenerci, anche spiritualmente, quello che talvolta sfugge o rimane agganciato al ‘nulla’ ricorrente“.
Con questa nuova silloge l’autore torna dunque con altri testi in cui è sempre più viva e pulsante la propria crescita letteraria, tesa a decifrare, o forse meglio ad analizzare, con massima cura, lo spirito umano, in un momento in cui l’uomo sembra essere tornato con violenza contro il proprio simile, al centro di una confusione destabilizzante, in cui si fa sempre più sottile la linea che separa realtà e immaginazione, dove le telecamere sembrano riprendere non più vite reali, ma quasi personaggi dentro storie parallele, falsando con ciò la percezione del vero, dell’autenticità e sacralità della vita. In questo malessere dentro cui ognuno pare ritrovarsi sempre più isolato, in carenza di dialogo e ascolto, forse la lettura poetica può aprire un varco, uno spiraglio di luce e speranza, per tornare a rivedere sé stessi partendo dal principio, dal fondo, senza avere timore di vedere ciò che realmente vi si trova. Sempre dalla postfazione si legge: Sedime è letteralmente quanto si è depositato, sono le fondamenta irrinunciabili di un complesso lavoro poetico-esistenziale”. La poesia può dunque essere una lente che riesce a mostrare uno spazio dimenticato, ma più che mai identitario, che non può essere ignorato, o peggio ancora soffocato. Scrive così l’autore in un verso: “Siamo entrati nel vetro della lente per essere un’ugual forma/ l’unica incentrata /nel gravoso epilogo:/ la forma piombata, già socchiusa/ si getta in una posa“.
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