DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse, del Monastero Santa Speranza.
«…solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio…»: è quanto rimasto ad una donna di Sarepta, città vicina a Tiro e Sidone, vedova, con un figlio, in un tempo di dura carestia.
Il profeta Elia, incontrandola alle porte della città, le chiede accoglienza. Questa povera donna, senza sufficienti mezzi di sussistenza, accetta di ospitare questo straniero, condividendo l’ultima porzione di cibo che possiede.
Un’altra vedova, a Gerusalemme, getta due monetine nel tesoro del tempio. Sottolinea l’evangelista Marco che questa donna è povera e nel tesoro «ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Non è saggia, ad una prima considerazione, la vedova di Sarepta, perché si è privata del poco che le è rimasto, quel poco che avrebbe sfamato lei e suo figlio per un’ultima volta prima di morire di fame e stenti; quel poco lo ha condiviso con uno straniero.
Neanche la vedova di Gerusalemme oggettivamente ha compiuto un’azione saggia: non ha arricchito di nulla il tesoro del tempio, quello che ha versato è davvero insignificante e, per di più, così facendo, è rimasta senza nulla.
Ma Gesù, in queste due donne e nel loro comportamento, vede altro, vede oltre.
Nel cortile del tempio Gesù scorge la vedova povera e richiama l’attenzione dei discepoli con parole che il Vangelo riserva per gli insegnamenti più importanti: «In verità io vi dico…».
Questa donna, dice Gesù, non dà qualcosa del suo superfluo, ma tutto ciò che ha. Dona tutto al punto da mettere in pericolo la sua vita, è questa è fede. Dona tutto senza ostentazione, a differenza di quanti l’hanno preceduta, scribi e ricchi, che Gesù ha ben osservato e sui quali desta l’attenzione dei discepoli: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere».
Questi uomini e i «tanti ricchi» che nel tesoro gettano molte monete, non hanno di sicuro in considerazione Dio. Per loro conta solo il loro offrire molto e, come conseguenza, l’ammirazione di chi pubblicamente riscontra questo valore. L’autorità morale di cui godono, la dottrina che possiedono, le pratiche religiose che compiono, tutto deve servire a metterli in luce, tutto deve tornare a loro vantaggio.
È la logica dei piccoli che il Signore predilige, la logica di chi non accumula per garantirsi la vita, ma di chi “getta”, dona la propria vita amando Dio, le sorelle e i fratelli. È la logica di chi non considera alcun tornaconto e non misura il guadagno del proprio offrire. Il salmista ci conferma questa predilezione di Dio per i piccoli: ci parla, infatti, di un Dio che «rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. [Il Signore] libera i prigionieri. [Il Signore] ridona la vista ai ciechi, [Il Signore] rialza chi è caduto, [Il Signore] ama i giusti, [Il Signore] protegge i forestieri. [Egli] sostiene l’orfano e la vedova».
La donna di Sarepta l’ha sperimentato: dopo aver cotto il pane per Elia, «…mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì».
Condividere il poco/tutto che si possiede per vivere, porta a veder moltiplicati i propri poveri beni, poveri beni che finiscono per nutrire in abbondanza.
Questa bellezza Gesù ha offerto ai suoi e offre, oggi a noi, come il tesoro più prezioso del tempio.