Andrea Masullo
Il 2024 è stato un anno catastrofico sul fronte climatico.
In Italia abbiamo assistito a un sostanziale disimpegno politico in un anno caratterizzato da ogni tipo di eccesso meteorologico: dalle prolungate siccità di questa estate alle continue frane ed esondazioni dell’autunno. Se guardiamo alla Spagna, poco al di fuori dei nostri confini, la situazione è addirittura tragica. La scienza ci dice che il clima globale si regge su un complesso sistema di meccanismi atmosferici ed oceanici e su situazioni localmente più circoscritte, caratterizzate da un andamento in una certa misura prevedibile. La coincidenza della crescita esponenziale delle concentrazioni di gas serra con l’aumento della gravità degli eventi meteorologici al suolo, oltre a confermare la relazione fra le due cose che ormai è una certezza scientifica, ci dice che stiamo entrando in un campo del tutto nuovo ed inesplorato; stiamo pericolosamente perdendo il controllo della situazione. L’enorme numero di vittime, oltre 220 a Valencia, è davvero impressionante.
Sul finanziamento dei piani di riduzione delle emissioni e il supporto ai Paesi poveri, la situazione è estremamente carente da far supporre che anche alla imminente Cop29 di Baku, si voglia rinviare la questione al G7 dove siedono Paesi impegnati in guerre senza vie di uscita e ad accrescere le loro spese militari.
Ma la “guerra” che stiamo perdendo è la più pericolosa: è quella contro il clima, che, se non la fermiamo in tempo, durerà per generazioni.
L’obiettivo firmato a Parigi nel 2016 di restare al di sotto di 1,5-2 °C è ormai una chimera irraggiungibile. Il mondo si muove su un percorso che ci porterà entro a fine del secolo verso i 2,5-3 °C, con conseguenze difficilmente affrontabili da gran parte dell’umanità.
Non c’ è uniformità neppure su come realizzare quegli inventari nazionali delle emissioni che dovrebbero consentire di effettuare bilanci mondiali e monitorare l’avanzamento dei risultati.Non c’è un programma globale che distribuisca equamente gli impegni fra Paesi poveri e Paesi ricchi, fra Paesi con alte emissioni e Paesi con basse emissioni.
Nella assenza di impegni chiari e condivisi ha facile gioco chi fa accordi con i Paesi poveri per l’estrazione massiccia di metano, anziché aiutarli ad effettuare quella transizione verso le energie pulite e rinnovabili, quali eolico, solare, geotermia, moto ondoso, legno da coltivazioni forestali sostenibili, ecc.
Ormai, i danni climatici attribuibili alle fonti fossili sono giunti al punto che in molte regioni di Italia e del mondo le compagnie assicurative non riescono più a coprire le perdite. Questa è la dimostrazione che abbiamo perso di vista l’economia del benessere condiviso e siamo entrati in una economia del danno da ripianare; ma questo è un percorso disseminato di miseria e di sofferenza, che non porta lontano.È interesse di tutti assumere una posizione costruttiva e responsabile e tornare da Baku con risultati concreti e tangibili. Questo è possibile e questo ci aspettiamo avvenga