M.Michela Nicolais
“Lo dico alla Chiesa, lo dico ai governi degli Stati e alle organizzazioni internazionali, lo dico a ciascuno e a tutti: per favore, non dimentichiamoci dei poveri”. Si è conclusa con questo appello l’omelia della messa per la Giornata mondiale dei poveri, presieduta da Papa Francesco nella basilica di San Pietro, prima del pranzo in Aula Paolo VI con 1.300 poveri.
“In questa Giornata Mondiale dei Poveri mi piace ricordare un monito del cardinale Martini”, il tributo del Papa: “Egli disse che dobbiamo stare attenti a pensare che c’è prima la Chiesa, già solida in sé stessa, e poi i poveri di cui scegliamo di occuparci. In realtà,
si diventa Chiesa di Gesù nella misura in cui serviamo i poveri,
perché solo così la Chiesa diventa sé stessa, cioè casa aperta a tutti, luogo della compassione di Dio per la vita di ogni uomo”.
“Proprio nell’ora dell’oscurità e della desolazione, proprio quando tutto sembra crollare, Dio viene, Dio si fa vicino, Dio ci raduna per salvarci”, ha assicurato il Santo Padre, soffermandosi su due atteggiamenti opposti: l’angoscia e la speranza. “Gesù ci invita ad avere uno sguardo più acuto, ad avere occhi capaci di leggere dentro gli avvenimenti della storia, per scoprire che, anche nelle angosce del nostro cuore e del nostro tempo, c’è un’incrollabile speranza che brilla”, la tesi di Francesco, che riconosce come l’angoscia sia “un sentimento diffuso nella nostra epoca, dove la comunicazione sociale amplifica problemi e ferite rendendo il mondo più insicuro e il futuro più incerto.
Se il nostro sguardo si ferma soltanto alla cronaca dei fatti, dentro di noi l’angoscia ha il sopravvento”.
“Anche oggi – ha attualizzato il Papa – vediamo il sole oscurarsi e la luna spegnersi,
vediamo la fame e la carestia che opprimono tanti fratelli e sorelle, vediamo gli orrori della guerra e le morti innocenti; e, davanti a questo scenario, corriamo il rischio di sprofondare nello scoraggiamento e di non accorgerci della presenza di Dio dentro il dramma della storia.
Così, ci condanniamo all’impotenza; vediamo crescere attorno a noi l’ingiustizia che provoca il dolore dei poveri, ma ci accodiamo alla corrente rassegnata di coloro che, per comodità o per pigrizia, pensano che ‘il mondo va cosi’ e ‘io non posso farci niente’. Allora anche la stessa fede cristiana si riduce a una devozione innocua, che non disturba le potenze di questo mondo e non genera un impegno concreto nella carità”.
“Mentre una parte del mondo è condannata a vivere nei bassifondi della storia, mentre le disuguaglianze crescono e l’economia penalizza i più deboli, mentre la società si consacra all’idolatria del denaro e del consumo, succede che i poveri e gli esclusi non possono fare altro che continuare ad aspettare”,
la denuncia di Francesco. “Ma ecco che Gesù, in mezzo a quel quadro apocalittico, accende la speranza”, ha assicurato Francesco sulla scorta del Vangelo: “Spalanca l’orizzonte, allarga il nostro sguardo perché impariamo a cogliere, anche nella precarietà e nel dolore del mondo, la presenza dell’amore di Dio che si fa vicino, non ci abbandona, agisce per la nostra salvezza”. “Sul Calvario, il sole si oscurerà e le tenebre scenderanno sul mondo”, le parole sulla morte di Gesù: “ma proprio in quel momento il Figlio dell’uomo verrà sulle nubi, perché la potenza della sua risurrezione spezzerà le catene della morte, la vita eterna di Dio sorgerà dal buio del sepolcro e un mondo nuovo nascerà dalle macerie di una storia ferita dal male. Questa è la speranza che Gesù ci vuole consegnare”. “Anche noi siamo chiamati a leggere le situazioni della nostra storia terrena”, l’invito del Papa: “laddove sembra esserci soltanto ingiustizia, dolore e povertà, proprio in quel momento drammatico, il Signore si fa vicino per liberarci dalla schiavitù e far risplendere la vita. E siamo noi, noi suoi discepoli, che grazie allo Spirito Santo possiamo seminare questa speranza nel mondo”.
“La speranza cristiana, che si è compiuta in Gesù e si realizza nel suo Regno, ha bisogno di noi e del nostro impegno, di una fede operosa nella carità, di cristiani che non si girano dall’altra parte”,
l’esortazione ai credenti. “Io sento la stessa compassione di Gesù davanti ai poveri, davanti a quelli che non hanno lavoro, che non hanno da mangiare, che sono emarginati dalla società?”, ha chiesto il Papa a braccio: “Io guardo dall’altra parte quando vedo la necessità, il dolore degli altri?”. “Siamo noi che possiamo e dobbiamo
accendere luci di giustizia e di solidarietà mentre si addensano le ombre di un mondo chiuso”,
l’invito: “Siamo noi che la sua grazia fa brillare, è la nostra vita impastata di compassione e di carità a diventare segno della presenza del Signore, sempre vicino alla sofferenza dei poveri, per lenire le loro ferite e cambiare la loro sorte”. Per Francesco, c’è bisogno di una “mistica dagli occhi aperti”: “non una spiritualità che fugge dal mondo ma, al contrario, una fede che apre gli occhi sulle sofferenze del mondo e sulle infelicità dei poveri, per esercitare la stessa compassione di Cristo. E non dobbiamo guardare solo ai grandi problemi della povertà mondiale, ma al poco che tutti possiamo fare ogni giorno: con i nostri stili di vita, con l’attenzione e la cura per l’ambiente in cui viviamo, con la ricerca tenace della giustizia, con la condivisione dei nostri beni con chi è più povero, con l’impegno sociale e politico per migliorare la realtà che ci circonda. Potrà sembrarci poca cosa, ma il nostro poco sarà come le prime foglie che spuntano sull’albero di fico: un anticipo dell’estate ormai vicina”.