Foto Calvarese/SIR

 

Di Silvia Guzzetti

“Una nuova legge dovrebbe sempre prendere in considerazione l’impatto che questa avrà sul bene comune della popolazione e non semplicemente essere circoscritta ai casi particolari che si presentano. Nel caso della legislazione sul suicidio assistito, presentata dalla parlamentare laburista Kim Leadbeater, che verrà votata dal parlamento di Westminster, per la prima volta, il prossimo 29 novembre, sappiamo già che potrebbe avere un impatto su come saranno distribuite le risorse dal servizio sanitario nazionale. Siamo sicuri inoltre che andrà a incidere sui rapporti all’interno delle famiglie, in quelli tra dottore e paziente e cambierà le modalità di trattamento nei confronti dei più vulnerabili”. Con queste parole il primate cattolico di Inghilterra e Galles Vincent Nichols ha aperto la conferenza stampa con i giornalisti britannici dedicata alle conclusioni della plenaria dei vescovi inglesi svoltasi alla Hinsley hall di Leeds dall’11 al 14 novembre scorso. Un’assise in larga parte dedicata proprio alla nuova normativa che, una volta approvata, concederebbe ad adulti con patologie terminali, capaci di intendere e di volere, il diritto di porre fine alla propria vita. Il provvedimento rischia di essere approvato in quanto, stavolta, i deputati i Westminster, saranno liberi di votare secondo coscienza. Tra i sostenitori della legge il premier britannico Keir Starmer. Contrari invece, due ministri chiave dell’attuale legislazione: il ministro della sanità Wes Streeting e la ministra della giustizia Shabana Mahmood. Al suicidio assistito argomento i vescovi inglesi avevano già dedicato e pubblicato un documento realizzato insieme alla Conferenza episcopale cattolica scozzese.
“Nel cuore della nostra discussione sul suicidio assistito – ha detto ancora il card. Nichols – dovrebbe esservi la consapevolezza che

ogni essere umano ha una dignità che va oltre l’autonomia personale.

Non siamo atomi isolati ma tutti siamo uniti dal dono della vita”.
È poi toccato a mons. John Sherrington, vescovo della diocesi di Westminster, riprendere quanto detto nei giorni scorsi dal ministro della sanità Wes Streeting. Il capo del dicastero della salute, da tutti considerato un cristiano impegnato, ha dichiarato infatti che la nuova legge potrebbe mettere a rischio le risorse destinate alle cure palliative che, a suo avviso, restano la vera risposta al problema di malattie e dolore alla fine della vita.

“Chiediamo che le cure palliative vengano aumentate e finanziate in modo più adeguato – ha quindi ribadito il vescovo Sherrington – perché alleviano il dolore fisico e psicologico e sono indirizzate ad accompagnare l’intera persona. Inoltre garantiscono sostegno emotivo e spirituale ai pazienti. In questo momento – ha proseguito Sherrington – questo tipo di cure non sono sempre disponibili nel Regno Unito.

Lanciamo allora un appello a tutti i cittadini britannici, cristiani e non e di altre fedi, affinché si uniscano a noi nel difendere i più deboli e vulnerabili della nostra società, come gli infermi e gli anziani, la cui vita sarebbe a rischio se questa legge venisse approvata”. Il vescovo Sherrington ha quindi affermato che “il periodo di tempo dedicato alla discussione di questa normativa non è sufficiente”, ma soprattutto non ha mancato di ribadire che

“la legge mette seriamente a rischio la possibilità, per il personale medico, di fare obiezione di coscienza”.

Il presule ha poi invitato tutti ad allargare lo sguardo a quei paesi, europei e non, nei quali il suicidio assistito è stato legalizzato. “Guardando a quei paesi come Belgio, Olanda, Canada e parti degli Stati Uniti, abbiamo notato – ha sottolineato Sherrington – che le misure previste dalla legge a tutela dei più deboli vengono presto dimenticate. Il risultato è che il suicidio assistito viene consentito anche nei confronti di chi soffre di malattie mentali oppure ha ancora una buona possibilità di sopravvivere pur essendo molto malato”.
A concludere la conferenza stampa dedicata alla plenaria dei vescovi inglesi è stato il vescovo ausiliario della diocesi di Westminster Nicholas Hudson, che ha partecipato, come delegato inglese, alla seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi di ottobre a Roma e ha parlato dell’impatto del sinodo sulla chiesa cattolica inglese.
“In attesa della traduzione, in lingua inglese, del documento finale del Sinodo discusso durante la plenaria – ha spiegato il Hudson –, ci siamo concentrati su tre frutti del sinodo di Roma: il concetto di carisma, il discernimento e la formazione cercando di capire in che modo, questi tre doni, possano essere incanalati in alcuni ministeri, in particolare in quello degli accoliti e dei catechisti. Abbiamo anche parlato di come i fedeli debbano essere incoraggiati, a livello parrocchiale, a sfruttare questi doni per la missione della Chiesa. Infine – ha concluso Hudson – abbiamo ascoltato una relazione di monsignor John Armitage, a nome della ‘Guild of our lady of ransom’, una charity che sarà impegnata, per otto anni, in forme diverse, tra il 2025 e il 2033, in un festival nazionale dell’evangelizzazione”.

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