Christian de Chergé, il priore di Tibhirine ucciso nel 1996 insieme ad altri sei monaci trappisti nelle montagne dell’Atlante algerino da un gruppo islamista armato, usava l’espressione “e il Verbo si è fatto fratello” per indicare il cammino percorribile al cristianesimo nel Nord Africa, testimoniando una fede professata senza proselitismi e aperta al dialogo con i musulmani. Fra Christian, capace di perdonare in anticipo il suo aguzzino in quel meraviglioso testamento spirituale scritto durante la prigionia, l’aveva percorsa durante tutta la sua vita, aprendo nuovi orizzonti alle relazioni fra le due religioni. “Noi cristiani non siamo una percentuale significativa in Algeria, siamo meno di una percentuale, ma siamo un segno importante – spiega Anna Medeossi, laica consacrata, nel Paese africano dal 2016 –. Siamo segno di un’amicizia e una fraternità possibili, al di là delle differenze religiose. Siamo segno di un popolo capace di accoglienza, al di là delle ferite della storia, delle idee ricevute e di una politica di chiusura”.
Una Chiesa universale. Comunità religiose e preti fidei donum dal mondo intero, studenti universitari da diversi Paesi africani, algerini e migranti sono il volto bello e fragile della Chiesa locale, una Chiesa veramente universale. Quattro le diocesi del Paese – Algeri, Orano, Costantine-Hippone e Ghardaia-Laghouat, e l’immensa diocesi del Sahara – e qualche decina di comunità cristiane che, ad eccezione della capitale, vivono disperse a chilometri di distanza sul territorio, a volte composte solo da tre o quattro persone.
Collaborazione con i musulmani. “Come cristiani siamo tutti impegnati, in un modo o nell’altro, nella società algerina e tutte le attività promosse dalla Chiesa sono non solo aperte ai musulmani ma pensate e realizzate in collaborazione con i musulmani.Vita parrocchiale e sociale, intesa come presenza ai bisogni e alle attese della società algerina, si confondono.Scuole, ospedali e tutte le grandi opere sociali della Chiesa sono state nazionalizzate, ma tutti i luoghi di presenza cristiana sono diventati piccoli centri di attività caritatevoli e culturali, vere piattaforme di incontro”
Nella buona e nella cattiva sorte. Al momento dell’indipendenza del Paese, la Chiesa – e in primis l’arcivescovo di Algeri, il cardinale Duval, soprannominato “Mohammed Duval” – ha saputo stare con la popolazione algerina, e negli anni Novanta, gli anni bui della guerra fratricida, la Chiesa, come testimoniano i 19 beati martiri d’Algeria, ha scelto una seconda volta di rimanere accanto alla gente. “E la gente comune – prosegue Medeossi – così come le autorità, non è rimasta indifferente a questo gesto. Oggi ancora, il problema della Chiesa e la sua missione è saper accompagnare ‘nella buona e nella cattiva sorte’ questo popolo, senza lasciarsi confondere con l’Europa o le politiche estere ed economiche degli uni o degli altri. Continuare ad essere un segno dell’amore di Dio per ciascuno nel rispetto di tutti e nell’attenzione ai più fragili”.
La passione per la corsa. Architetto di formazione, Anna segue diversi progetti e cantieri della diocesi di Orano. “Mi occupo anche del Jardin des Femmes, uno spazio di accoglienza, ascolto e orientamento per donne in situazione di vulnerabilità sociale e psicologica, spesso legata alla precarietà economica e a situazioni di violenza e sfruttamento. Situato in un quartiere popolare di Orano, e inizialmente pensato per fornire l’assistenza necessaria alle donne migranti, il Jardin des Femmes si è progressivamente aperto a una popolazione diversa ed oggi accoglie soprattutto donne algerine.Ci sono poi gli impegni più “pastorali” come l’animazione del parcours Zachée, per imparare a conciliare vita ecclesiale e vita sociale a partire dalla Dottrina sociale della Chiesa, o l’animazione della preghiera di Taizé con i giovani,suonando il flauto o la chitarra o la kora, o la partecipazione alla formazione ‘Monica’, un percorso di teologia su misura”. “Ma ciò che mi appassiona di più – confessa – è l’attività sportiva. Mezzofondista da giovane, qui in Algeria ho cominciato ad allungare le distanze e a correre su strada e poi ‘fuori strada’, trail e triathlon, spinta dagli amici. Alla passione per la corsa, si aggiunge il piacere di aver trovato un modo di ‘stare nel mondo’ e tessere relazioni nuove ed amicali. Gomito a gomito, il problema non è più la religione, ma solo arrivare tutti insieme fino in fondo”.
*Popoli e Missione
Gas, democrazia
e disillusione popolare