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Sorelle Clarisse: “Io sono re”

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse, del Monastero Santa Speranza.

Quali sono le caratteristiche del Regno di Dio che oggi, solennità di Cristo Re, la liturgia ci presenta?

Innanzitutto, leggiamo nel libro di Daniele, è un regno che «non sarà mai distrutto», un potere eterno che non finirà mai. Il salmista prosegue cantando di un trono «stabile», che è «da sempre», un regno a cui si addice la santità, la forza, la maestà. Gesù poi, nel Vangelo, rispondendo a Pilato ribadisce più di una volta che il suo «regno non è di questo mondo […] non è di quaggiù».

Ma, a questo punto, potrebbe insorgere una domanda: come mettere insieme tutta questa descrizione di grandezza con un Gesù che se ne sta inerme davanti a Pilato? Un Gesù che si consegna a chi rappresenta il potere umano su questa terra, un Gesù che non ha la possibilità di liberarsi e fuggire o, meglio, che non vuole liberarsi, non vuole scappare?

L’indizio fondamentale per rispondere a queste domande ce lo fornisce proprio Gesù quando dice «il mio regno non è di questo mondo».

Partiamo da qui…Gesù non vuole dirci che il suo potere non ha niente a che vedere con il mondo e la storia in cui viviamo (anche perché, che Buona Notizia sarebbe, questa, per noi?) ma piuttosto che il suo è un potere altro, diverso da quello che siamo abituati a conoscere, un potere che non si modella sullo schema di valori del mondo.

Difficile credere, soprattutto in tempi come quelli che stiamo vivendo, che ci sia un altro potere rispetto a quelli che siamo soliti vedere: poteri sorretti dall’egoismo, dalla ricchezza, dall’ingiustizia, dallo sfruttamento, dalla violenza, dalla sopraffazione.

Difficile crederlo anche per Pilato, esponente del potere dell’Impero Romano, tutto immerso in una logica dalla quale non era in grado di liberarsi.

Ma Gesù ci fa fare un altro passo in avanti per capire meglio: «…se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Nessuna carneficina, nessuna lotta, nessuna rivolta o sommossa per liberare Gesù.

Cosa vuole dirci il Signore con queste parole? Che il suo e solo modo per vivere in maniera regale è servire e il solo modo per essere potenti è fare del bene; che l’unico modo di possedere è donare ed è solo accendendo una luce nella tenebra che la si può dissolvere.

Gesù è re perché ha chiaro che l’unico trono su cui è necessario salire è il trono della croce, del vivere, cioè, l’amore che va fino alla fine, che si spende fino alla fine.

La seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, ce lo conferma, là dove parla di Gesù come di «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue», donando la sua vita, mostrandoci, cioè, che l’amore è capace di sconfiggere la morte.

Chi riconosce questa regalità, chi sa che da questo Gesù è stato liberato e messo in condizione di vivere, sceglie di vivere come lui e così la nostra vita diventa il regno stesso del Signore, il luogo concreto dove Lui, oggi, può amare e liberare, convertendo la storia in cui viviamo in offerta viva, gradita a Dio.

Conclude Gesù: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Gesù non fa qui una questione di bugie ma rimarca un atteggiamento di fondo, una scelta di valori. Da una parte c’è lui che si consegna pienamente nelle mani della verità e non si sottrae ad essa neppure per salvarsi la vita. Dall’altra c’è Pilato, rappresentante di un potere politico che serve la verità ma non oltre un certo prezzo. Per tre volte Pilato riconoscerà l’innocenza di Gesù dichiarandola pubblicamente, e per tre volte cercherà di salvarlo. Tuttavia, alla fine, lo condanna alla croce: di fronte all’esigenza di salvare se stesso il suo amore alla giustizia e alla verità viene meno.

Davvero allora tocchiamo con mano come la regalità di Gesù sia proprio di un altro mondo; eppure, niente c’è di più forte e proprio il Risorto ce lo mostra chiaramente. Pilato non poteva capire, ma Gesù ha dato lo stesso la sua testimonianza per noi e ce la ripete oggi aprendoci alla speranza: «io sono re»!