Patrizia Caiffa
Haiti è di nuovo nel caos a causa della violenza delle gang che occupano l’80% della capitale Port-au-Prince e altre zone del centro e nord del Paese, dove la situazione è fuori controllo. L’insicurezza ha dinamiche insolite, con alti e bassi. E’ stato assaltato un aereo, ambulanze di operatori umanitari, l’aeroporto è chiuso e non si esce in nessun modo dal Paese con passaporto haitiano. Medici senza frontiere ha sospeso le attività, e Unicef ha denunciato un picco del 70% di reclutamento di bambini e giovani nelle gang. “Le scuole sono costrette a interrompere le attività a metà giornata. È molto più complicato lavorare così. Iniziamo delle attività poi dobbiamo interromperle e ricominciare. Continuano i rapimenti, perfino di ragazzi. Il periodo prima di Natale c’è una recrudescenza perché le gang hanno bisogno di soldi”. A raccontare al Sir la situazione da Port-au-Prince è Flavia Maurello, rappresentante Paese della Fondazione Avsi, che mette l’accento su una dinamica nuova e molto pericolosa: “Prima le bande trovavano consenso nei quartieri popolari, ora sono contro la popolazione. Stanno provando a prendere il territorio e avanzare verso la parte alta della città. Notiamo sempre di più fenomeni di auto-organizzazione di civili nelle varie comunità, che si frappongono tra l’area delle bande e l’ultima zona espugnabile di Pétionville.
La preoccupazione principale in questo momento è che sia il preludio di una guerra civile”.
Negli ultimi giorni oltre 41mila persone sono state costrette a fuggire a causa dell’intensificarsi della violenza e dell’insicurezza, l’ondata di sfollamenti più alta dal gennaio 2023. Negli ultimi due anni sono sfollate 700mila persone, di cui circa 365mila bambini, con scarso accesso all’acqua potabile, al cibo o all’assistenza sanitaria. I morti e i feriti degli ultimi scontri, iniziati l’11 novembre, sono oltre 4.500 morti e oltre 2.000 feriti. Mancano beni di prima necessità, cibo e carburanti. Lo scorso mese di marzo le bande erano riuscite a far dimettere il primo ministro Ariel Henry e ora il cartello di bande “Vivre ensemble” ha annunciato “di voler prendere in mano i destini del Paese” dopo il fallimento del Consiglio presidenziale di transizione. Ad oggi ad Haiti non c’è un presidente eletto dal 2021, ossia dall’uccisione del presidente Jovenel Moïse. Le elezioni si sono svolte l’ultima volta nel 2016 e non c’è un parlamento funzionante.
Nessuno luogo è sicuro. “A marzo l’obiettivo era non far rientrare il primo ministro per instaurare un nuovo governo stavolta l’obiettivo non è molto chiaro”, osserva Maurello, prima di mettersi in macchina verso la zona di Cité soleil per fare lavoro sul campo. Il tragitto dalla zona bassa di Pétionville– dove hanno la sede – è molto pericoloso, e viene percorso senza guardie armate né blindati. In molte comunità Avsi lavora con ragazzi e ragazze per creare “spazi alternativi di pace”, con attività di animazione “tipo oratorio” e doposcuola. Per i bambini sfollati hanno invece programmi di reinserimento scolastico.
“Non ci sono più luoghi sicuri, nemmeno la Chiesa è più un luogo sicuro. Ci sono tanti campanelli di allarme”.
E la notte a volte non si dorme: “Ieri sera hanno provato ad attaccare una zona qui vicino e hanno sparato tutta la notte, anche con detonazioni e molotov. A marzo non riuscivamo a dormire perché sparavano in tutti i quartieri”.
È confermato l’aumento di ragazzi reclutati dalle gang: “Vediamo in giro sempre più adolescenti armati.
E molti più bambini associati alle bande.
Vengono usati per altri servizi, come fare le vedette, portare il cibo alle persone sequestrate, fare piccole commissioni, perché il bambino attira meno attenzione rispetto ad un adulto”.
Inoltre “ci sono ancora rapimenti, anche di bambini e ragazzi, non c’è più un limite. Soprattutto da parte di alcuni gruppi più estremisti di altri. Il periodo di Natale è sempre stato il mese dei rapimenti perché prima delle feste servono soldi”. Attualmente, ripete,
“sembra che la dinamica sia di scatenare un conflitto civile tra la popolazione e le bande”.
Avsi fonda la sicurezza del suo lavoro sull’accettazione e la fiducia delle comunità, che li conosce da quasi vent’anni. Il team è locale e vive nei quartieri. Ci sono assistenti sociali, psicologi che si occupano di seguire i casi più complicati. “Stiamo facendo tantissime cliniche mobili, soprattutto per le donne incinte e i bambini sotto i 5 anni, che presentano segni di denutrizione”.
Onu e contingente militare keniano. Nel frattempo l’annuncio che l’Onu ha ridotto il proprio personale a causa delle violenze ha alimentato polemiche. In realtà, puntualizza Maurello, “si tratta di una procedura standard delle Nazioni Unite: quando c’è più insicurezza lo staff non essenziale viene rilocalizzato. Noi abbiamo fatto lo stesso a marzo. Ma in questo momento nessuna Ong nel Paese sta pensando a questa direzione”. Ad Haiti è presente anche un contingente di militari inviati dal Kenya, con il mandato di accompagnare la polizia haitiana. “Sono pochi, insufficienti – spiega -, non hanno il mandato di fare azioni sul campo come vorrebbe, ad esempio, la Repubblica dominicana, che continua a tener chiusa la frontiera con Haiti e chiede una missione militare internazionale”.
A qualcuno forse fa comodo che Haiti rimanga nell’instabilità e insicurezza? “Non so a chi – risponde – ma sicuramente a chi approfitta della situazione di instabilità per fare business. Sicuramente le armi non vengono prodotte qui”. Quello che serve ora è “una transizione verso un processo democratico elettorale per dare stabilità al Paese. Finché non si va verso una legittimazione del potere tutti questi governi di transizione continueranno a non tenere”. Anche se
“la pace sembra un obiettivo ancora più lontano, sicuramente ci vorranno almeno un paio d’anni”.
L’auspicio: meno violenza e più canali di approvvigionamento: “Ci auguriamo – conclude Maurello – che la violenza delle bande venga contenuta a Port-au-Prince ma anche che si aprano assi di approvvigionamento verso le aree periferiche del paese, dove mancano beni di prima necessità e carburanti. Abbiamo altre attività nel sud e nel nord ed è abbastanza problematico supportare i team in loco. Speriamo si possa almeno ritornare ad una normalità di funzionamento”.
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