Testimonianza anonima
Non ci penso spesso, ma quando ci penso sento proprio che è un passaggio della vita che mi è venuto incontro. La sera prima dell’intervento quell’attesa silenziosa è stata piena di pace. Semplicemente era quello che la vita mi metteva in mano. Papà aveva i reni policistici ed è stato per dieci anni in dialisi. Intrecciata con la nostra storia c’è questo che ha modellato le nostre radici. E anche il corpo delle mie sorelle. La decisione di donare un rene me la sono trovata nel cuore quando mia sorella, la più grande, ha dovuto affrontare il trapianto. Per lei però non è stato necessario. A mettersi in gioco in questa moltiplicazione di vita è stato suo marito. Pochi anni dopo è stata la volta dell’altra mia sorella, la più piccola. E in quel caso la generosità del marito non è stata sufficiente. Perché non basta il desiderio. Ci vuole la possibilità. Per chi vuole donare un organo questa possibilità è legata ad avere una salute perfetta. Dunque, un dono.
C’è una circolarità di doni in questa storia, storia semplice e “ordinaria”.
Nei vari passaggi richiesti da questo percorso ho incontrato altri che come me erano in cammino in questa esperienza. In modo semplice. Per la moglie, per un figlio, per il marito… E la cosa straordinaria è che, anche laddove è impossibile la donazione diretta per una incompatibilità, è sempre possibile quello che viene chiamato “cross over“, cioè la donazione incrociata, un modo per far diventare vita tutte le disponibilità e farsi strumento affinché un altro possa vivere in pienezza. In questo incrocio di vita mi sono trovata anche io. Non potevo dare il rene a mia sorella e così ci siamo iscritte alla lista dei cross over. Il trapianto per lei è arrivato giusto un anno fa. E non come avevamo pensato da un donatore vivente, ma da un giovane, la cui morte, i familiari hanno desiderato fosse vita per altri. Tra questi anche mia sorella. Pochi mesi dopo, proprio nei giorni in cui accompagnavamo mamma all’incontro con Dio, mi hanno chiamato perché c’era una persona in attesa di trapianto compatibile con me. Non so dire a parole, ma anche qui ho vissuto la certezza di un intreccio di vita nella Vita.
L’intervento, la convalescenza, il cammino ordinario che riprende. Un dono. Anche non sapere chi da me ha ricevuto il rene la sento una gratuità bella, un modo per imparare a rinunciare al controllo, a lasciare che la vita scorra su sentieri che non è dato a me conoscere.
Quello che so è che, almeno nella prossimità del trapianto, anche per quella persona tutto stava andando bene. E questo mi da speranza che questo bene, questa possibilità di bene nata dall’intreccio misterioso delle nostre vite, continui a manifestarsi in lei. In me certamente ha dato frutti.
È come se sperimentassi una libertà nuova, una consapevolezza seria e gioiosa del dono che è la salute, la certezza che in modo misterioso il bene agisce.
In questi passaggi per me, per noi, è stata fondamentale la compagnia della preghiera di tanti amici. È stato un dono toccare nella carne la forza di questa presenza certa, sentire la fede con cui siamo stati presentati al Signore della Vita, pronti ad accogliere quello che ci avrebbe messo in mano.
Quando mi dicono che ho fatto una cosa grande io dico che non è vero. Ho solo risposto a questo appello scritto nella mia storia. Ognuno nella propria vita e dalla propria vita è chiamato in modo diverso a mettere in circolo i propri doni. Questo, oggi, è quello che è stato possibile a me. Ma ognuno a suo modo può farlo, magari già lo fa. Farsi dono è una possibilità ordinaria e per tutti.
Conservo e custodisco tanto di questo passaggio, ma due tratti in particolare sento preziosi. La cicatrice che mi ha lasciato sulla carne. Mi impedisce di dimenticare le ferite di troppi uomini e donne segnati nel corpo dalla violenza in tante parti del mondo. E la lode a Dio, unica fonte di ogni dono perfetto, per la disponibilità al bene che suscita nei cuori di tanti, che si fanno strumento del suo amore perché la vita fiorisca.
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