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Papa Francesco: “Preghiamo perché il Signore ci faccia arrivare alla pace”

(Foto Vatican Media/SIR)

M.Michela Nicolais

“Per favore, continuiamo a pregare per la pace”.

E’ l’ennesimo appello, a braccio, di Papa Francesco, al termine dell’udienza di ieri in piazza San Pietro, la prima con la sintesi in cinese della catechesi, dedicata a ruolo dello Spirito Santo nella predicazione della Chiesa. “La guerra è una sconfitta umana”, ha ribadito Francesco salutando i pellegrini di lingua italiana: “La guerra non risolve i problemi, la guerra è cattiva, la guerra distrugge”. “Preghiamo per i paesi in guerra”, l’esortazione papale: “Non dimentichiamo la martoriata Ucraina, non dimentichiamo la Palestina, Israele, il Myanmar. Tanti bambini morti, tanti innocenti morti! Preghiamo perché il Signore ci faccia arrivare alla pace. Preghiamo sempre per la pace”. Salutando poco prima i fedeli polacchi, il Papa ha ricordato che domenica prossima in Polonia si celebrerà la XXV Giornata della preghiera e dell’aiuto materiale per la Chiesa dell’Est, ringraziando “tutti coloro che sostengono con la preghiera e le offerte la Chiesa in quei territori, specialmente in Ucraina, martoriata dalla guerra”.

 “Ripartire sempre di nuovo dall’annuncio di ciò che Cristo ha fatto per noi”,

l’esordio della catechesi. E’ dal kerigma, cioè dalla predicazione, che “dipende ogni applicazione morale”, ha spiegato Francesco, secondo il quale “nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o kerygma, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale”. “Quando diciamo che questo annuncio è il primo, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano”, ha precisato il Papa: “È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti”. “Non si deve pensare che nella catechesi il kerygma venga abbandonato a favore di una formazione che si presupporrebbe essere più solida”, il monito: “Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio, cioè il kerigma”.

“Il Vangelo dev’essere predicato mediante lo Spirito Santo”.

Per il Papa, la catechesi “deve fare proprio ciò che Gesù disse all’inizio del suo ministero pubblico: ‘Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio’”. “Predicare con l’unzione dello Spirito Santo significa trasmettere, insieme con le idee e la dottrina, la vita e la convinzione della nostra fede”, ha spiegato Francesco: “Significa fare affidamento non su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, come scrisse San Paolo”.

“Guai a predicare senza pregare! Si diventa quelli che l’postolo definisce bronzi che rimbombano e cimbali che tintinnano”,

il monito sulla scorta di San Paolo. “La prima cosa che dipende da noi è pregare perché venga lo Spirito Santo”, ha spiegato Francesco: ” La seconda è non volere predicare noi stessi, ma predicare Gesù Signore”. “E questo nella predicazione”, ha proseguito a braccio mettendo in guardia dalle omelie troppo lunghe:

“Tante volte ci sono queste prediche lunghe, venti minuti, trenta minuti: per favore, i predicatori devono predicare un’idea, un affetto e un invito a fare. Più di otto minuti la predica svanisce, non si capisce.

E questo lo dico ai predicatori”. “Vedo che vi piace sentire questo!”, ha scherzato il Papa rivolgendosi ai fedeli: “Tante volte – ha spiegato ancora a braccio – vediamo gli uomini che quando incomincia la predica vanno fuori a fumarsi una sigaretta e poi entrano di nuovo”. “Per favore, un’idea, un affetto e una proposta di fare, e non andare oltre i dieci minuti, no, mai!”, l’appello di Francesco: “Questo è molto importante”. “Non volere predicare sé stessi implica anche non dare sempre la precedenza a iniziative pastorali promosse da noi e legate al proprio nome, ma collaborare volentieri, se richiesto, a iniziative comunitarie, o affidateci dall’obbedienza”, l’altra raccomandazione del Papa.

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