Patrizia Caiffa
Sono 52 gli Stati del mondo che vivono situazioni di conflitto armato (erano 55 nel 2022). Si tratta di guerre sempre più gravi e cruente. Aumenta infatti il numero di guerre ad altissima (da 3 a 4) e alta intensità (da 17 a 20) e il numero dei morti: 170.700, il più alto dal 2019. Tragico è il dato record sul numero di bambini uccisi e menomati: 11.649 nel 2023, con un aumento del 35% rispetto all’anno precedente. È record anche il numero di bambini rapiti: 4.356 nel 2023, in maggioranza maschi. È perciò al massimo storico anche la spesa militare mondiale: 2.443 miliardi di dollari, per la prima volta in crescita in tutti i continenti (+6,8%). Sono i principali dati contenuti nell’ottavo Rapporto sui conflitti dimenticati di Caritas italiana, a cura di Paolo Beccegato e Walter Nanni, intitolato “Il ritorno delle armi. Guerre del nostro tempo”, in collaborazione con CSVnet, la rete nazionale dei centri per il volontariato. Il volume (la prima edizione è stata nel 2002) è stato presentato oggi a Roma. Il focus è sul peso mediatico delle guerre nell’agenda informativa, con particolare attenzione agli aspetti umanitari e al legame tra guerra, ambiente e transizione ecologica.
Guerre con più vittime e più cruente. Secondo i dati del Sipri nel mondo sono 4 le guerre ad altissima intensità, con più di 10mila morti (erano 3 nel 2022): il conflitto tra Israele e Hamas e tra Russia e Ucraina, le guerre civili in Myanmar e in Sudan. Sono invece 20 le guerre ad alta intensità, ossia con un numero di morti che oscilla tra 1.000-9.999. Erano 17 nel 2022.
Tutti i conflitti nel mondo hanno causato 170.700 morti (erano stati 153.100 nel 2022), il numero più alto dal 2019.
Meno operazioni e operatori di pace. Sono state 63 le operazioni multilaterali di pace (64 nel 2022), un terzo coordinate dall’Onu, con 100.568 operatori civili e militari impegnati in operazioni di pace (dicembre 2023). Erano 114.984 nel 2022.
La spesa militare mondiale è salita al massimo storico di 2.443 miliardi di dollari. Per la prima volta dal 2009 si registra
un aumento delle spese militari in tutti i continenti: +6,8%,
ossia il 2,3% del Pil globale, 306 dollari a persona. Negli Stati Uniti è stata di 820 miliardi di dollari (+2,3%), in Cina di 296 miliardi di dollari (+6%), in Russia di 109 miliardi di dollari.
11.649 bambini uccisi o mutilati nel 2023. Secondo i dati diffusi nell’ultimo Rapporto dal Segretario generale Onu per i bambini e i conflitti armati nel mondo sono state registrate
32.990 gravi violazioni contro i bambini in 25 conflitti nazionali e nel conflitto regionale del bacino del Lago Ciad, cifra record dal 2005.
Si tratta di uccisioni e menomazioni (il numero più alto mai registrato, 11.649 nel 2023, con un aumento del 35%); reclutamento e utilizzo dei minori in gruppi e forze armate; violenza sessuale; rapimenti; attacchi a scuole e ospedali; diniego dell’accesso umanitario. È aumentato anche il numero di bambini rapiti nei conflitti armati, raggiungendo per il terzo anno consecutivo un massimo storico: 4.356 bambini rapiti nel 2023, la maggior parte maschi.
La situazione in Ucraina: nel febbraio 2022 sono stati riportati 1.682 attacchi alla salute dei minorenni, a danno di operatori sanitari, forniture, strutture, magazzini e ambulanze e oltre 3.000 attacchi a strutture educative, che hanno lasciato circa 5,3 milioni di bambini ucraini senza un accesso sicuro all’educazione.
Quasi 300 milioni di persone nel mondo dipendono dagli aiuti umanitari, secondo i dati dell’agenzia Onu per gli affari umanitari Ocha. Tra questi 74,1 milioni si trovano in Africa orientale e meridionale. La guerra in Sudan ha generato nel 2023 bisogni umanitari per 15,8 milioni di persone, stimate a 30 milioni di persone per il 2024. Ben 3,5 milioni di loro sono bambini. Il Sudan è il Paese con il più alto numero di bambini sfollati in tutto il mondo.
L’80% degli italiani considera le guerre “evitabili”. Il rapporto indaga, tramite un sondaggio di Demopolis, anche la percezione degli italiani rispetto alle guerre. L’80% le considera “avvenimenti evitabili” (75% nel 2021). Il 71% è in grado di citare almeno una guerra degli ultimi cinque anni (53%). Il 65% si interessa di cronaca locale, non di grandi eventi internazionali (82%). Il 72% vorrebbe potenziare il ruolo dell’Onu (74%).
Il 74% non vuole interventi armati ma il ricorso alla mediazione politica (62%).
Conflitti ancora più dimenticati dai Tg italiani. L’Osservatorio di Pavia monitora invece quanto e come si parla di conflitti sui Tg italiani. Nel 2022, le notizie sulle guerre sono state 4.695, pari all’11,7% di tutte le notizie (42.271). Il 96,5% delle notizie di guerra parlano dell’Ucraina, il 3,5% parla di Afghanistan e Siria. Nel 2023, le notizie sulle guerre sono state 3.808, pari all’8,9% di tutte le notizie (42.976). Il 50,1% è concentrato sul conflitto israelo-palestinese, il 46,5% sulla guerra in Ucraina, il restante 3,4% è distribuito su 15 Paesi in guerra.
In un anno 6 Paesi in guerra (Bangladesh, Etiopia, Guatemala, Honduras, Iraq e Kenya) non hanno avuto nessuna copertura mediatica.
8 per mille Cei, il 58,2% dei finanziamenti va a Paesi in guerra. A fronte di questa situazione il Servizio Cei per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli ha finanziato 1.351 progetti in 28 Paesi interessati da conflitti a estrema o alta gravità dal novembre 2018 al 31 ottobre 2024. Sul totale dei 2.321 progetti complessivi finanziati dalla Cei tra il 2018 e il 2014, oltre la metà (58,2%) ha riguardato Paesi in guerra (57,6% dei fondi erogati).
Beccegato: “Situazione internazionale molto grave”. “Tutti i dati raccolti da altre ricerche e da agenzie ufficiali delineano un quadro gravissimo, sia per il crescere delle guerre ad alta e altissima intensità, sia per la crescita del numero dei morti e delle persone che dipendono dagli aiuti umanitari, sia del numero di rifugiati nel mondo, più che raddoppiati”, commenta al Sir Paolo Beccegato, curatore del volume insieme a Walter Nanni. Un altro aspetto preoccupante è che oggi i conflitti “in Ucraina, a Gaza e in parte del Medio Oriente sono tra Stati e tra blocchi e rispettivi alleati”. “Questi indicatori dimostrano che la situazione geopolitica internazionale è molto grave”, sottolinea. Da qui
un triplice appello per “per una pace basata sulla tutela dei diritti e non sulla logica del più forte”:
rilanciare “il dialogo”, entrando “in logiche win-win in cui tutti possono vincere”. Inoltre, prosegue, “in questi 25 anni di ricerche abbiamo individuato che la povertà, il degrado ambientale, la speculazione finanziaria e il mercato delle armi sono fattori interconnessi con l’insorgere della violenza armata organizzata. Lottare contro questi fattori è minare il terreno fertile dove attecchiscono le guerre”. Infine bisogna “ragionare sulle strutture, sui valori, sull’educazione e la cultura su cui costruire un ordine internazionale in cui la pace non è solo assenza di guerra ma armonia tra società”.