Lettera della Caritas diocesana
DIOCESI – Il grande teologo Teilhard de Chardin diceva: “Il futuro appartiene a coloro che danno alla generazione successiva una ragione per sperare”. Viviamo in un periodo attraversato da grandi crisi: prima quella sanitaria e poi quella geopolitica, da quella climatica a quella economica, mentre si avverte sempre di più una profonda “crisi dell’umano”, basta pensare ai tantissimi femminicidi, agli omicidi per motivi futili tra i giovanissimi, alla facile criminalizzazione dei migranti! Tutto questo genera più paura che speranza! E dice il Vangelo che di paura si può morire, non solo, quando è troppa, appesantisce il cuore, paralizza le membra, fa stramazzare a terra.
Scriveva Cesare Pavese: “Ricorda sempre che i mostri non muoiono. Muore la paura che t’incutono”. A vincere la paura ci aiuterà il prossimo Giubileo, quando ci metteremo in cammino, come ‘pellegrini di speranza”, per varcare la Porta Santa. Gesù infatti ha detto: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato” (Gv 10,9). In lui si fonda la speranza che non delude (Rom 5,5). A proposito della porta è interessante un episodio narrato negli Atti degli Apostoli. Si racconta infatti che, dopo la risurrezione di Gesù, Pietro e Giovanni, salgono al tempio per la preghiera e all’ingresso “di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita; lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta Bella, per chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio” (Atti 3,2). Da sempre il mondo fa così: lascia fuori la gente che vive elemosinando! Eppure proprio nei luoghi di apparente disperazione si incontrano persone che danno speranza! Importante è l’incrocio di sguardi che viene registrato. Pietro insieme a Giovanni, fissano l’uomo paralitico e lo invitano a guardarli. Papa Francesco spesso afferma che è bene porci un interrogativo: “io guardo da un’altra parte quando vedo la povertà, le necessità, il dolore degli altri? – e aggiunge – Un teologo del Novecento diceva che la fede cristiana deve generare in noi “una mistica dagli occhi aperti”, non una spiritualità che fugge dal mondo ma – al contrario – una fede che apre gli occhi sulle sofferenze del mondo e sulle infelicità dei poveri per esercitare la stessa compassione di Cristo” (Omelia 17.11.2024). Straordinaria è la risposta di Pietro: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!”. Spesso anche in Caritas si pensa che risolutivo è l’aiuto economico, in realtà a volte è necessario, quando si ha disponibilità, ma non basta perché l’uomo non vive di solo pane. Molto conta la parola della fede e il gesto che genera: “Lo prese per la mano destra e lo sollevò”. Con la forza che viene da Cristo risorto possiamo prenderci cura dell’altro e rialzarlo. Forse ci diranno che facciamo cose che possono sembrare poco importanti, viste le grandi sfide che dobbiamo affrontare, ma la grazia di Dio opera attraverso le piccole azioni.
Alla fine la cosa bella è che per la porta non entrano solo gli apostoli ma, con loro, anche lo storpio. Che giubileo sarebbe se lasciassimo fuori dalla porta chi fa fatica a camminare? Anzi dovremmo stare al passo dei poveri che, dopo aver ritrovato la speranza grazie a Gesù, diventa un passo di danza: “entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio”. Lo storpio non solo entra, ma lo fa cantando ballando e pregando Dio! La vita è fatta non solo di dolore ma anche di gioia: pensiamo a San Francesco d’Assisi, che portava le stimmate della croce, eppure rideva molto, a San Domenico che piangeva di notte per i peccatori, ma di giorno gioiva con i suoi fratelli per l’amore e la misericordia di Dio. Se vogliamo essere una Chiesa che cammina insieme ed evangelizza, dobbiamo tornare a cantare e danzare. Non perché tutto va bene ma semplicemente perché ci sentiamo amati da Dio. “La gioia è un segno infallibile della presenza di Dio” (Karl Rahner).
Il pellegrinaggio e la celebrazione dell’indulgenza giubilare, quindi, non possano essere relegati a una forma di rito magico, ma vanno accompagnati da gesti di carità. Un’occasione per riflettere su tutto questo sarà la terza domenica di avvento, il prossimo 15 dicembre, dedicata alla carità.
Le nostre caritas parrocchiali potranno proporre alla comunità di portare, durante la celebrazione Eucaristica, un dono, non solo consistente in un’offerta ma anche materiale utile da distribuire alle persone in difficoltà (olio, detersivi, prodotti per l’igiene personale ecc.), ma anche qualcosa che solitamente si reputa ‘superfluo’, eppure importante, come può essere un libro, un profumo, un gioco ecc. per i piccoli, gli anziani o a tutta quella gente che a Natale non riceverà regali da nessuno. Possiamo così coinvolgere tutta la comunità. Papa Francesco nell’omelia dell’ultima giornata mondiale dei poveri ha detto: “mi piace ricordare un monito del Cardinale Martini. Egli disse che dobbiamo stare attenti a pensare che c’è prima la Chiesa, già solida in sé stessa, e poi i poveri di cui scegliamo di occuparci. In realtà, si diventa Chiesa di Gesù nella misura in cui serviamo i poveri, perché solo così «la Chiesa “diventa” sé stessa, cioè la Chiesa diventa casa aperta a tutti, luogo della compassione di Dio per la vita di ogni uomo» (C.M. Martini, Città senza mura. Lettere e discorsi alla diocesi 1984, Bologna 1985, 350). Ci sostenga in questo cammino la Santa Madre di Dio Maria Santissima, che apparendo a Banneux ci ha lasciato il messaggio da non dimenticare: «Sono la Vergine dei poveri» (Messaggio VIII giornata dei poveri 13.06.2024).