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Migranti, Intervista a Gabriela Osorio, moglie, madre e psicologa italo-messicana

SAN BENEDETTO DEL TRONTO“Siamo sempre lo straniero di qualcun altro. Imparare a vivere insieme è lottare contro il razzismo”. Questa celebre frase del filosofo e scrittore francese di origini marocchine, Tahar Ben Jelloun, sembra calzare perfettamente alla storia che stiamo per raccontarvi, in cui scopriremo che i pregiudizi purtroppo non hanno colore, ma neanche l’amore, che vince ogni cosa.
Le testimonianze degli immigrati, che in questi anni vi abbiamo proposto, non sono tutte uguali: c’è chi fugge dalla guerra, chi dalla povertà, chi da situazioni politiche o condizioni sociali in cui manca la libertà; ma c’è anche chi giunge in Italia per una vacanza o per motivi di studio o per questioni d’amore e decide poi di rimanerci. È il caso di Gabriela Osorio, moglie, madre e psicologa italo-messicana da vent’anni in Italia.

Come sono state la sua infanzia e la sua adolescenza?
«Sono l’ultima di cinque figli e ho un fratello gemello. Mi sento benedetta da Dio fin dalla nascita. Sono cresciuta in Leon, una città a vocazione industriale con un territorio molto vasto e quasi due milioni di abitanti, in una famiglia messicana molto tradizionale, benestante e privilegiata: mia madre, infatti, è psicologa e mio padre, che oggi è pensionato, è stato direttore di banca per molti anni. Ciò nonostante, da piccola ho avuto delle prime ferite che mi hanno segnato profondamente e di cui non voglio parlare pubblicamente, ma posso dire che mi hanno condotto a vivere un’adolescenza molto travagliata, da ribelle, con tratti di grande sofferenza.
Dopo gli studi liceali di Scienze Umane ho frequentato la Facoltà di Psicologia a Leon, che, a differenza della mia famiglia profondamente cristiana, mi ha inculcato idee più liberali, atee, laiche. Nello stesso periodo, mio fratello gemello Roel, che oggi è padre Roel, è entrato in seminario e so con certezza che l’inizio della mia conversione è il risultato delle sue preghiere. Ora, ripensandoci, mi rendo conto di come Dio prepari per ciascuno di noi il suo progetto di vita. La Provvidenza ha compiuto miracoli nella mia vita! Da quando sono tornata a credere, grazie a mio fratello, la mia vita è cambiata radicalmente».

Quando e perché è venuta in Italia?
«Dopo gli studi universitari e una prima esperienza professionale in Messico, a 28 anni, il mio gemello Roel mi ha strappato il mio primo sì a Dio. Mi ha chiesto di fare un’attività di volontariato con il Movimento Internazionale del Regnum Christi, all’interno del quale mi è stato proposto di specializzarmi a Roma in “Scienze del Matrimonio e Famiglia” presso l’Istituto Giovanni Paolo II. Era il 2004, esattamente vent’anni fa. L’esperienza formativa è stata così interessante, che ho deciso di prendere altri due master, uno in “Psicologia della Consultazione“, così da divenire una counselor integrata, e uno su “Donna, Cultura e Società“, che proponeva una visione autentica del femminismo e del ruolo della donna nella società».

Quando ha deciso di rimanere?
«Dopo due anni che ero a Roma, è successo un imprevisto! Mentre stavo raggiungendo degli amici a Civitanova Marche, sul pullman, ho conosciuto un ragazzo di San Benedetto del Tronto, Stefano Cipolloni, l’uomo che oggi è mio marito e il padre dei nostri due figli, Leonardo e Maya. Nonostante sia stato un colpo di fulmine improvviso, inaspettato e travolgente, avevo molte perplessità, perché io all’epoca, già da due anni, avevo ritrovato la fede e avevo un progetto di vita che prevedeva una famiglia cattolica ed impegnata, mentre lui era ateo e anticlericale. E poi non gli piacevano i fagioli, un alimento essenziale per i Messicani! Scherzi a parte, c’era anche il problema della distanza: lui lavorava a Roma come ricercatore del CNR, mentre io avevo terminato gli studi e quindi di lì a poco sarei rientrata in Messico. E così è stato. Nella mia patria ho iniziato il lavoro dei miei sogni, esercitando la professione privata e lavorando come responsabile regionale dell’Area di Prevenzione alla Violenza dell’Istituto della Donna Guanajuatense. Tuttavia il sentimento con la lontananza non scemava, anzi diveniva sempre più forte. Sono così iniziati interminabili videochiamate tramite Skype e costanti viaggi, all’incirca uno ogni tre mesi, per vederci, a volte in Italia, a volte in Messico, una volta anche a metà strada, a New York».

Quando c’è stata la svolta?
«Il 12 Dicembre 2007, il giorno dell’arrivo di Stefano da me, a Leon, la mia nonna materna, da me chiamata “Mila”, che viveva con noi e alla quale ero molto affezionata, è volata in Cielo. Prima di morire, le sue ultime parole sono state: “Domani arriva il tuo ‘guapo’ “, che in spagnolo significa ‘ragazzo molto bello’. Questa data, quindi, è per me molto significativa. Pochi giorni dopo, Dio ci ha benedetto con il nostro primo figlio, Leonardo. A quel punto era impensabile continuare a fare avanti e indietro e ho preso la decisione di lasciare tutto e trasferirmi definitivamente in Italia per amore. A Giugno del 2008 ci siamo sposati civilmente presso la Palazzina Azzurra a San Benedetto del Tronto, senza avere accanto nessuno della mia famiglia d’origine, visto che erano tutti in Messico. Nonostante le preoccupazioni della gravidanza e i timori giustificati, sono stata accolta benissimo dai familiari di mio marito e mi sono resa subito conto che non stavo perdendo la mia famiglia, bensì il Signore me ne stava donando un’altra. Nel frattempo sono tornata in Messico per concludere il mio impegno professionale, partorire e preparare sia il Matrimonio religioso che il Battesimo di nostro figlio, avvenuti l’8 Novembre del 2008. Pochi giorni dopo, precisamente il 17 Novembre, è iniziata la mia nuova vita in Italia, un’avventura che prosegue ancora oggi. Il mio cuore desiderava tanto avere subito una figlia, così da farla crescere insieme al fratello, come era accaduto per me con il mio gemello. E così, sette mesi dopo, nel giorno del mio compleanno, ho ricevuto questo ulteriore dono e il 27 Novembre del 2009 è arrivata Maya, la nostra seconda benedizione».

Una storia bellissima e a lieto fine! Dunque non ci sono stati problemi di inclusione?
«Purtroppo non posso dire così, perché di pregiudizi ce ne sono stati molti, sia nei miei confronti in Italia, sia nei confronti di mio marito in Messico.
Quando ho detto ai miei familiari e agli amici messicani che aspettavo un figlio da Stefano, hanno pensato subito che fosse il classico rubacuori italiano e che non avesse intenzioni serie con me. La realtà era molto diversa: avevamo quasi trent’anni, quindi entrambi eravamo adulti e sapevamo quello che stavamo facendo. Del resto non ci saremmo messi a viaggiare su e giù per il mondo, se non ci fosse stato un sentimento autentico e profondo.
Lo stesso è avvenuto per me in Italia. In generale il mio inserimento è stato molto naturale attraverso il gruppo delle mamme nella scuola dei nostri figli, attraverso la vita di parrocchia presso la comunità della Sacra Famiglia e anche nel mondo del lavoro, prima come insegnante di inglese e di spagnolo madrelingua, poi come psicologa. Ciò nonostante, ho dovuto combattere anche io con problemi di natura burocratica e culturale, oltre che con qualche pregiudizio. Prima di tutto per far riconoscere i miei titoli di studio ed avere la possibilità di lavorare come psicoterapeuta, ho dovuto affrontare un lunghissimo iter burocratico che ancora oggi ritengo essere una procedura pensata appositamente per scoraggiare gli stranieri a richiedere tali riconoscimenti. Poi ho sofferto nel provare a portare parte della mia cultura e delle mie tradizioni qui in Italia. Il modo messicano di festeggiare, ad esempio, è molto più coinvolgente, direi quasi travolgente; in Italia, invece, è più contenuto, c’è più misura. Anche il mio approccio al tema della morte è libero da molti tabù che invece parecchi Italiani hanno: i Messicani vivono la morte con molta più naturalezza e gioia, non nella disperazione, come avviene in Italia. Infine ho dovuto sopportare anche qualche pregiudizio. Le persone spesso hanno in mente uno stereotipo ben preciso di straniera: povera, culturalmente poco preparata, in generale inferiore. In tanti mi hanno giudicata senza conoscermi, hanno pensato che fossi venuta in Italia per uscire dalla mia condizione di povertà e, in modo premeditato, per salire nella scala sociale e avere una migliore qualità della vita. “Ora ti sei sistemata!” – mi dicevano -, senza sapere che io in realtà provenissi da una famiglia benestante, senza problemi economici e con un livello alto di cultura, come del resto quella di mio marito. Forse ci siamo scelti anche per questo, perché in fondo avevamo la stessa formazione valoriale».

Lei è molto devota alla Madonna. Come è nata questa sua devozione mariana?
«Me l’ha trasmessa soprattutto mia nonna, ma con il tempo Maria è stata davvero il faro della mia vita, non solo perché ha ispirato me, ma anche perché è stata motivo di conversione per mio marito».

Proprio oggi, 12 Dicembre, ricorre la festività della Vergine di Guadalupe, patrona del Messico. Cosa ha organizzato insieme alla Comunità Latino-Americana della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto?
«La devozione a Maria mi ha condotta ad entrare in contatto con la Comunità diocesana Latino-Americana, dove ho avuto modo di conoscere altri migranti che, come me, parlano spagnolo e che, con l’aiuto della fede e della vita comunitaria, sono riusciti ad inserirsi più facilmente rispetto ad altri contesti. Da pochi mesi siamo stati accolti nella parrocchia di Sant’Antonio di Padova a San Benedetto del Tronto e qui avverranno i festeggiamenti in onore della Vergine di Guadalupe. Domenica 15 Dicembre, dopo il Rosario, per la prima volta, la Celebrazione Eucaristica sarà presieduta dal vescovo Gianpiero Palmieri. Oltre al momento di preghiera, ci sarà spazio anche per la condivisione e la festa: tutti i partecipanti sono infatti invitati a portare anche un piatto tipico del loro Paese di provenienza. Purtroppo la diversità spaventa molte persone; invece chi lo ha sperimentato, come me, può affermare che è una grande ricchezza. Consapevole di questa ricchezza, padre Massimo Massimi, parroco della comunità di Sant’Antonio di Padova, accoglie tutti».

C’è un messaggio che vuole dare ai lettori?
«Vorrei dire a tutti, Italiani e non, che, a seconda dei luoghi e delle circostanze, tutti siamo stranieri rispetto a qualcun altro. Perciò siate aperti all’altro, da qualsiasi Paese provenga, senza pregiudizi e con amore,  perché siamo tutti figli di Dio e quindi fratelli tra noi.
Inoltre sento nel mio cuore di annunciare che tutto concorre al Bene. Oggi più che mai posso affermare che è vero! Perciò a tutti dico che il Signore paga il centuplo a chi si affida a Lui. Affidiamoci, dunque, a Lui, senza riserve e con fiducia, attraverso le mani di Maria!».

 

Carletta Di Blasio:

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