Di Daniele Rocchi
Maaloula è un villaggio cristiano a circa 60 chilometri a nord est di Damasco. Qui i suoi abitanti parlano ancora l’aramaico, la lingua di Gesù Cristo.
Nel settembre del 2013 Maaloula fu conquistato, e preso come base militare, dall’allora Jabhat al Nusra, oggi Hay’at Tahrir al-Sham, (Hts), la stessa milizia di opposizione che ha fatto cadere pochi giorni fa il regime del dittatore Bashar Al Assad. La notizia della caduta di Maaloula in mano ai jihadisti, all’epoca, fece il giro del mondo. Maaloula è un villaggio dai colori rossastri come quelli del massiccio al Qalamoun che lo sovrasta. Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, è abitato da poche migliaia di cristiani che vegliano sulle sue chiese e monasteri come quello greco ortodosso di santa Tecla, discepola di san Paolo che tra queste rocce trovò rifugio dai suoi persecutori, e quello melkita del VI secolo Mar Sarkis, dedicato ai santi Sergio e Bacco, militari romani martirizzati per la loro fede sotto l’Imperatore Galerio (250-311 d.C.). Prima della guerra civile Maaloula era una meta di tanti pellegrini che da ogni parte del mondo ogni anno venivano a pregare tra queste montagne, in una delle culle del cristianesimo siriano. Durante i circa nove mesi di occupazione jihadista (settembre 2013 – maggio 2014) il villaggio venne ‘sfregiato’, chiese e arredi sacri danneggiati, libri sacri e icone bruciate, campane rimosse e croci abbattute. Abbattute come la statua della vergine Maria, Signora della pace, che però oggi è tornata a proteggere il villaggio, dalla cima più alta, dove è stata riportata dopo la liberazione del villaggio, dai giovani cristiani, aiutati dai loro amici musulmani.
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