Di Domenico Annibali, Emanuele Pace e Simone Incicco
COMUNANZA – Una scelta inattesa, carica di significato e profondamente apprezzata. Quest’anno, il Vescovo Gianpiero Palmieri ha deciso di presiedere la Santa Messa della notte di Natale nella Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Comunanza, condividendo con la comunità locale la gioia della nascita di Gesù Cristo. Un gesto che ha sorpreso e commosso i fedeli di questo territorio montano e della Vicaria.
La chiesa, gremita di fedeli, ha accolto non solo i parrocchiani, ma anche numerosi dipendenti e famiglie della storica azienda Beko, insieme al Sindaco Domenico Sacconi e a buona parte dell’Amministrazione Comunale. Tutti uniti per celebrare un Natale vissuto in comunione e speranza, nonostante le difficoltà che gravano sulla comunità.
Un gesto di solidarietà in un momento difficile
La decisione del Vescovo Palmieri non è stata casuale. La sua presenza a Comunanza nasce dal desiderio di continuare ad essere vicino a una comunità che sta affrontando momenti di profonda incertezza. L’annunciata chiusura della fabbrica di elettrodomestici Beko, attiva da oltre 50 anni, ha gettato nello sconforto le famiglie del territorio. Intorno a questa realtà industriale ruota infatti un indotto significativo, con molti operai e impiegati provenienti dai paesi limitrofi e dalle città di Ascoli e Fermo.
Già provato da eventi come il terremoto, la pandemia di Covid-19, il calo demografico e la carenza di infrastrutture, il territorio montano si trova ora a dover affrontare l’ennesima sfida. Con la sua rinnovata visita, il Vescovo ha voluto portare un messaggio di speranza, vicinanza e sostegno, dimostrando con i fatti la sua solidarietà.
Una celebrazione partecipata e toccante
La Santa Messa, animata dal coro parrocchiale di Santa Caterina d’Alessandria, è stata concelebrata con il vice parroco Don Pino, mentre il parroco Don Luca era impegnato nella celebrazione della Messa di Natale a Montemonaco. L’atmosfera di raccoglimento e condivisione ha reso la celebrazione particolarmente sentita e partecipata.
Durante l’omelia il Vescovo Palmieri ha affermato: “Saluto con affetto ciascuno di voi, il sindaco Domenico, e ciascuno di voi qui presenti, gli operai della Beko e tutti coloro che vivono a Comunanza e nel territorio. Per me è una gioia essere qui, una gioia dal punto di vista dei sentimenti, perché questa comunità si unisce per celebrare il mistero delle incarnazioni. È importante essere qui perché ci diamo reciprocamente un segno di vicinanza, di solidarietà, di speranza.
Vedete, oggi tutto quello che troviamo nella parola di Dio è la potenza di un segno, un segno caro: la nascita di un bambino. Lo troviamo sia nella Prima Lettura sia nel Vangelo. La Prima Lettura è il racconto di un episodio della storia di Israele che risale all’VIII secolo avanti Cristo.
La città di Gerusalemme è circondata dagli eserciti, sta per essere distrutta e, di fronte a questa situazione, il popolo teme ed ha paura. Al re viene proposto un segno e, in un primo momento, il re lo rifiuta, ma poi lo accetta: la sua giovane sposa avrà un bambino e lui dovrà chiamarlo Emanuele, cioè “Dio con noi”. Perché un segno? Non si mette al mondo un bambino in una città che sta per essere distrutta, non si ha speranza quando la città sta per essere annientata. Allora perché mettere al mondo un figlio? Il re non lo vorrebbe, ma Dio glielo dona, e la sua giovane sposa avrà un bambino.
E allora Isaia, a proposito di questo bambino, scrive cinque capitoli (dal capitolo 7 al capitolo 12), il cosiddetto Libro dell’Emanuele, da cui è tratta la Prima Lettura di oggi. La città assediata, improvvisamente e inaspettatamente, sarà liberata dagli eserciti assedianti. Gerusalemme non sarà distrutta; non sappiamo bene per quale calcolo politico, ma gli eserciti che la stavano per distruggere si ritireranno uno dopo l’altro, e il popolo che camminava nelle tenebre, così dice Isaia, vede una grande luce. Improvvisamente c’è pace: vengono distrutti il giogo che opprimeva il popolo, la sbarra che gravava sulle sue spalle, il bastone dell’aguzzino. Ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. Tutti quegli elementi che dicevano guerra, oppressione, schiavitù vengono annientati, e tutto questo non per il potere delle armi, ma perché c’è stato dato un bambino. Dice Isaia: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio, il suo nome sarà Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace».
Questo bambino diventa così un simbolo per Israele: Dio dona la pace, libera dai nemici, è il segno, è questo bambino nato e donato da Dio. Queste antiche profezie di Isaia, la Chiesa le rivolge, le applica a Gesù.
Questa volta, però, le proporzioni non sono soltanto quelle del popolo di Israele, ma del mondo intero. Vedete, mentre colui che pensava di avere il potere sul mondo intero, cioè l’imperatore di Roma, organizza un censimento (per lui non contano gli uomini, contano i numeri; vuole sapere quanti abitanti ha, così tutti possono con sicurezza pagare le tasse), nella Bibbia il censimento è fortemente penalizzato. Quando Davide prova a fare il censimento del popolo, Dio si rifiuta, è contrario, perché gli dice: «Il popolo è mio, tu non hai nessun diritto di trasformarlo in numeri». E così avviene al tempo di Gesù. Durante il censimento deciso dall’imperatore, il mondo è diviso in numeri e proprio in quel momento nasce un bambino. Dio dona un bambino, e questo bambino nasce nell’estrema periferia dell’Impero, in una città piccolissima, in una famiglia piccolissima, in una condizione di totale povertà.
È un segno dei tempi: un bambino posto in una mangiatoia, in un luogo dove mangiano gli animali. Un bambino che, apparentemente, è identico a tutti gli altri bambini del mondo, ma che è Dio fatto bambino. Nessuno lo comprende, nessuno lo riconosce, se non Maria, Giuseppe e un gruppo di pastori.
Il pastore, all’epoca di Gesù, era il mestiere di chi cercava un riscatto, spesso dopo aver rovinato la propria vita con le sue stesse mani. E sono proprio i pastori coloro a cui viene affidato per primi il segno. È a loro che viene annunciato il grande mistero: un bambino come tanti, ma che contiene il mistero stesso di Dio. È Dio fatto uomo. E, di fronte a questa prospettiva grandiosa, la conclusione è molto chiara: ogni bambino che nasce in questo mondo è fratello di questo bambino, è figlio di Dio, non è un numero, è una persona, unico, irripetibile, libero, re. Figlio di Dio.
Vedete, il mistero del Natale ci permette di comprendere che non c’è situazione umana tanto disperata (come nella Prima Lettura) o alienante (come quella del Vangelo) da cui non sia possibile ripartire. Dal Natale traiamo un impegno importante: essere coesi, uniti, custodirci a vicenda, fare in modo che ogni vita umana possa essere considerata unica e libera. Dobbiamo darci una mano, garantire a tutti di poter vivere con dignità. Se dobbiamo reinventarci, ci reinventiamo; se dobbiamo ripartire, ripartiamo; se dobbiamo aiutarci a correggerci, lo facciamo insieme.
Lo so che avete notato quanta fatica oggi si può sperimentare e com’è “facile” soluzione, quella della violenza e della sopraffazione. Quanto è triste quando l’isolamento e l’individualismo ci spingono lontano gli uni dagli altri, e quanto è devastante quando ci rifugiamo in ciò che ci stordisce per sfuggire alle difficoltà, con risultati spesso drammatici.
Dobbiamo davvero ricostruire, con pazienza e amore, le relazioni tra di noi. Dobbiamo farlo a partire dal Bambino Geù: è lui che ci insegna ad appoggiare la nostra vita sulla fede in Dio, a considerare ogni uomo unico e irripetibile. È lui che ci insegna che, se stiamo ognuno per conto nostro, diventiamo più deboli. Oggi l’uomo “forte” è spesso colui che pensa solo a sé stesso, credendo che l’egoismo lo salverà. E invece, quando siamo divisi, siamo debolissimi, molto più di quanto immaginiamo.
Il bambino nato a Betlemme ci insegna un’altra logica, un altro modo di vivere, un’altra prospettiva. È questo che impariamo oggi, davanti alla mangiatoia: intorno a quella mangiatoia non ci sono differenze. Maria, Giuseppe, i pastori e, più in là, i Magi, sono tutti accomunati dall’unico desiderio di incontrare il volto di Dio e di riscoprirsi fratelli.
Ed è proprio questo che chiediamo al Signore questa notte: per noi, per la città di Comunanza, per i paesi vicini, per la nostra comunità diocesana e per tutto il nostro territorio. Chiediamo al Signore questa forte ripartenza. Sono qui anche per farvi sentire l’abbraccio della solidarietà di tutta la Diocesi, di tutta la Chiesa locale.
Camminiamo insieme, con coraggio e amore.”
Al termine della funzione, un momento simbolico ha suggellato la serata. Un dipendente della Beko, accompagnato dalla moglie e dal figlio, ha consegnato un mazzo di fiori al Vescovo come segno di ringraziamento.
Circondato dai parrocchiani per i saluti finali, il Vescovo ha ricambiato con parole di affetto e con un augurio di Buon Natale, sottolineando il valore della comunità e l’importanza di restare uniti.
Un segnale di speranza per il futuro
Questa celebrazione non è stata solo un momento di preghiera e riflessione, ma anche un messaggio forte di vicinanza da parte della Chiesa. In un territorio che vive con preoccupazione il proprio futuro, la presenza del Vescovo Gianpiero Palmieri ha rappresentato un segnale di speranza e un invito a non arrendersi.
La comunità di Comunanza ha saputo cogliere questo messaggio, ritrovandosi insieme per celebrare il Natale con un rinnovato senso di solidarietà e condivisione.