DIOCESI – Una cascata di fiori bianchi, intrecciati intorno alla croce, fino a formare la sagoma di un’ancora: è questa l’immagine più bella e significativa della solenne celebrazione con la quale Sabato 28 Dicembre 2024, alle ore 21:00, l’arcivescovo Gianpiero Palmieri ha aperto l’Anno Giubilare nella Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto.

È il segno luminoso della croce, nostra àncora di salvezza! Il segno di quella speranza che non delude, di cui parla San Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 5,5) e che è il messaggio centrale del Giubileo 2025. Una speranza che, proprio come nelle intenzioni di papa Francesco, ha abbracciato tutti: sacerdoti e diaconi delle due Diocesi del Piceno, riuniti insieme; il numeroso popolo di Dio, proveniente dai vari Comuni del territorio interdiocesano, composto da bambini, giovani, adulti ed anziani; esponenti dei vari gruppi, associazioni e movimenti diocesani; autorità militari e civili, a partire dai sindaci delle tre città sedi delle concattedrali truentine: Antonio Spazzafumo, Alessandro Lucciarini De Vincenzi e Daniel Matricardi, rispettivamente primi cittadini di San Benedetto del Tronto, Ripatransone e Montalto delle Marche e del Sindaco di Grottammare, Alessandro Rocchi.

Luci di Speranza in cammino

La comunità cristiana della Diocesi Truentina si è ritrovata in prima serata davanti alla chiesa di San Giuseppe, lungo il viale Secondo Moretti in San Benedetto del Tronto, per vivere il primo momento forte della cerimonia: l’accensione delle candele dalla luce di Betlemme e, a seguire, la processione verso la cattedrale.

Le parole:
“Pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi”

Queste le parole con cui il vescovo Gianpiero ha salutato la numerosa folla accorsa: «Fratelli e sorelle, il Mistero dell’Incarnazione del nostro Salvatore Gesù Cristo, custodito nella comunione di amore della Santa Famiglia di Nazareth, è per noi motivo di gioia profonda e di speranza certa. In comunione con la Chiesa universale, mentre celebriamo l’amore del Padre, che si manifesta nella carne del Verbo fatto uomo e nel segno della croce, ancora di salvezza, apriamo solennemente l’Anno Giubilare per la nostra Chiesa Truentina. Questo rito è per noi preludio di una ricca esperienza di grazia e di misericordia, pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi, specialmente in questo tempo di guerre e di disordini. Cristo, nostra pace e nostra speranza, sia nostro compagno di viaggio in questo anno di grazia e di consolazione. Lo Spirito Santo, che oggi inizia questa opera in noi e con noi, lo porti a compimento fino al giorno di Gesù Cristo».
Dopo la proclamazione del Vangelo di Giovanni riguardante il Mistero dell’Incarnazione (Gv 1,1-5. 9-12.18), sono stati letti alcuni passi della Bolla di Induzione del Giubileo Ordinario 2025, riguardanti il tema centrale della Speranza.

Il segno:
Accensione delle candele dalla luce di Betlemme e pellegrinaggio

Al termine della lettura, il vicario generale don Patrizio Spina ha acceso una candela dalla luce di Betlemme e, a sua volta, ha acceso le candele di altri fedeli presenti. Quando tutti sono riusciti ad accendere le proprie candele, è iniziato il pellegrinaggio verso la cattedrale Santa Maria della Marina, durante il quale i fedeli hanno cantato le litanie dei Santi e pregato alcuni Salmi. I numerosi fedeli hanno camminato, composti ed in preghiera, dietro al Vangelo, mettendo i loro piedi dove Gesù ha lasciato le sue orme.
Con questo gesto, guidati dall’arcivescovo Gianpiero, si è dunque aperto il cammino del Giubileo, il cammino verso la Speranza, che aprirà le porte anche del nostro cuore.

Riconciliati con Dio, a servizio della Chiesa

Giunti davanti alla cattedrale Santa Maria della Marina, i fedeli hanno vissuto il secondo momento forte della cerimonia di apertura dell’Anno Giubilare: la memoria del Battesimo.

Le parole:
“Nella tua misericordia, donaci una sorgente di acqua viva che zampilli per la vita eterna”

Queste le parole con cui mons. Palmieri ha introdotto il secondo momento: «Signore Dio onnipotente, fonte e origine della vita, ti ringraziamo per questa acqua benedetta con la quale saremo aspersi, fiduciosi di ottenere il perdono dei peccati, la difesa di ogni malattia e dalle insidie del maligno e la grazia della tua protezione. Nella tua misericordia, donaci, o Signore, una sorgente di acqua viva che zampilli per la vita eterna, perché, liberi da ogni pericolo dell’anima e del corpo, possiamo venire a te con cuore puro».

Il segno:
Rinnovo delle promesse battesimali e aspersione

Dopo un momento di silenzio, il vescovo Gianpiero ha ricordato ai fedeli che, per la grazia del Mistero Pasquale, siamo stati sepolti insieme con Cristo nel Battesimo, per camminare con lui in una vita nuova. Ha quindi invitato tutti i presenti a rinnovare le promesse battesimali con le quali un giorno abbiamo rinunciato a Satana e alle sue opere e ci siamo impegnati a vivere e a servire Dio nella Santa Chiesa.
Mons. Palmieri ha poi preso dell’acqua dal battistero, che per l’occasione è stato posizionato al centro del sagrato della cattedrale, e poi, aiutato dai diaconi, ha asperso se stesso, i concelebranti, i ministri e tutta la folla dei fedeli presenti.

Chiamati ad essere “pellegrini di Speranza” 

All’ingresso in cattedrale, la Corale Giandomenico Stella, diretta dal maestro Massimo Malavolta ed accompagnata all’organo dal M° Elisa Colonnella, ha intonato il canto “Pellegrini di Speranza“, inno del Giubileo 2025. È seguito il terzo momento forte della cerimonia, la Celebrazione Eucaristica, presieduta dal vescovo Gianpiero Palmieri.

Le parole:
“Impariamo a stare nelle cose del Padre nostro e ad aprirci alla vita!”

Tutta incentrata sul tema della Speranza è stata anche l’omelia del vescovo Palmieri (Per scaricare l’omelia integrale, clicca qui: Omelia Vescovo Gianpiero Palmieri): «Carissima comunità cristiana della Diocesi di San Benedetto del Tronto, Ripatransone e Montalto, che gioia vederti qui radunata! Ci sono i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose, i seminaristi e tutto il popolo di Dio, nella ricchezza dei suoi carismi e ministeri! Diamo oggi inizio ad un tempo straordinario, un tempo giubilare, cioè di gioia, in cui riscoprire la potenza della speranza e disseppellirla dal nostro cuore e dal cuore di tutti!
Allora vorrei dirvi, senza retorica, che il primo segno di speranza siete voi, voi che siete qui radunati stasera, voi che custodite il segreto della speranza, che è il Signore Gesù, il Crocifisso Risorto! È straordinario: ancora oggi, duemilaventicinque anni dalla nascita di Gesù, il suo Nome convoca, riunisce, dona salvezza e speranza a tante persone in ogni luogo della terra. E oggi nel territorio di San Benedetto del Tronto ha convocato voi!
Voi che non rimanete fermi ma vi mettete in cammino: è questo il significato del pellegrinaggio che abbiamo simbolicamente vissuto all’inizio di questa liturgia
Voi che, avendo scoperto il Vangelo di Gesù, avete deciso di camminate dietro al Vangelo, mettendo i vostri piedi dove Gesù ha lasciato le sue orme
Voi che credete in Lui: abbiamo infatti camminato con la luce della fede tra le mani, la luce accesa a Betlemme e poco prima di entrare in cattedrale abbiamo professato la fede nel suo Nome, rinunciando al male.
Voi che date un significato e un’importanza altissimi a quel segno sacramentale che è stato fatto sul nostro corpo quando eravamo bambini, il Battesimo! Voi, cioè, che sapete che nel Figlio siete figli di Dio, che siete stati battezzati in Lui, immersi nello Spirito Santo, che la vita è morire e rinascere con Cristo! È ciò che significa il Battesimo, un segno sacramentale che racchiude tutta la nostra esistenza! La vita è morire e rinascere con Cristo.
Voi che nella Croce di Gesù vedete un’àncora di speranza. Si! Possiamo dire che la Croce di Gesù è il nostro porto sicuro, perché da lei scaturisce il perdono e la salvezza per tutti gli uomini. È stato bello mostrare la Croce all’ingresso della Cattedrale: è il Signore Gesù che, con il suo corpo steso sul legno della Croce verso tutti gli angoli del mondo, apre le sue braccia per ogni uomo, lo attira a sé, per guarirlo dalle sue ferite e dai suoi peccati. In Lui c’è speranza per tutti!». 

Ha poi proseguito Palmieri: «A noi, comunità cristiana, è affidato il compito – ci ha detto Papa Francesco nella liturgia dell’apertura della Porta Santa – di declinare la speranza cristiana in tutte le situazioni umane, di testimoniare la speranza ad ogni uomo, in qualunque situazione egli si trovi: in un carcere o in letto di ospedale, nel posto di lavoro o nelle agenzie di collocamento, nei banchi di scuola o nei ghetti dello sfruttamento minorile, nelle case ben riscaldate o nelle strade del sesso a pagamento, che sono anche nella nostra Diocesi, nelle residenze protette per anziani o nei reparti di neonatologia. A tutti la speranza, a tutti. Poiché il Signore ci ha fatto dono della speranza, siamo in debito di speranza verso tutti.
Siamo tutti consapevoli che oggi c’è un “deficit di speranza”. Il mondo occidentale sta raccogliendo il frutto amaro di un individualismo e di un egoismo diventati convinzione profonda del cuore, diventati stile delle relazioni e motivo di fondo delle scelte personali: è l’assenza di speranza, a tutti i livelli! C’è in giro una nostalgia di relazioni vere, di calore umano, di desiderio di “esistere per qualcuno”. Il Natale esaspera questa nostalgia e produce o infinite tristezze o infiniti risentimenti. Tanta gente sta male a Natale! Ve ne siete accorti?
E tu, comunità cristiana, stai ancora a discutere di beghe interne? Stai ancora a chiederti perché siamo diventati pochi, perché abbiamo perso prestigio o – peggio – potere, perché c’è tanta disaffezione alla Messa, perché le tensioni tra laici e preti, tra preti e preti, tra preti e vescovi tra associazioni e movimenti? Vogliamo passare il tempo a fare analisi? Vogliamo implodere, mentre ti ci guardiamo l’ombelico? Oppure vogliamo gettarci nella mischia, ascoltare la disperazione delle persone e offrire la speranza che ci è stata donata? Vogliamo farla questa conversione missionaria, si o no? Ma non per recuperare il terreno perduto, bensì per offrire speranza a chi non ne ha!
Chiesa, tu devi fare come Gesù nel Vangelo di oggi: devi stare “nelle cose del Padre tuo”! E allora giri in mezzo al popolo della città, nella carovana, nelle strade e in mezzo al tempio, a discutere di Parola di Dio e di vita, di vita e di Parola di Dio! Si fanno gli “strappi”, se necessario, e si parte, come Gesù ha fatto con Maria e Giuseppe. Per avere “l’impagabile onore” di donare il Vangelo dell’amore di Dio e della speranza, possiamo, come Chiesa “cambiare pelle” mille volte! Ma che ci importa? Purché il Vangelo sia annunziato! La Chiesa evangelizza con tutto ciò che essa è, dice e fa (San Paolo VI, Evangelii nuntiandi)
Chiesa di Dio, non devi far altro che andare incontro agli altri, accoglierli, far star bene le persone nella rete delle tue relazioni, offrire quindi la tua vita, condividere la narrazione piena di speranza e di fede delle meraviglie compiute dal Signore. Chiesa di Dio, nella misura in cui sarai libera, generosa, disinteressata, il Vangelo farà breccia nel cuore degli uomini!».

«Guardiamo a come nasce la speranza nel cuore dell’uomo – ha spiegato mons. Palmieri -. Oggi è la festa della Famiglia di Nazareth. Si, certo! La speranza nasce in famiglia. Nasce quando, dopo il trauma del parto, vengo raccolto dalle braccia di una madre e di un padre. Vengo raccolto dal loro amore e portato al viso! E i miei occhi si aprono e la prima cosa che gradualmente vedono è il volto sorridente di una mamma e di un papà. E così mi sento accolto, protetto, amato. E quando, crescendo, c’è qualcosa che non va, queste braccia mi accolgono e, quando devo imparare a camminare da solo, queste braccia mi sostengono. Nell’amore di cui vengo fatto oggetto, mi apro alla vita. La vita mi appare bella, desiderabile e il futuro pieno di promesse. Pensiamo  al bambino del film “La vita è bella!”: la vita gli appare meravigliosa. Imparo la fiducia elementare, vitale, nella vita e nel Dio della vita. Così nasce la speranza. E quando poi, incontrerò ostacoli, resistenze, paure, non mi fermerò: la speranza ce l’ho dentro, non sono solo. Qualcuno mi ha messo al mondo perché mi ama! Posso affrontare tutti gli ostacoli senza paura, contando anche sugli altri. In famiglia ho imparato anche a vivere con gli altri, miei fratelli. So che con i fratelli posso anche litigare, fare a botte, ma posso anche imparare a comporre i conflitti e ad aiutarci reciprocamente.
Ora, questa esperienza primordiale, familiare, della speranza viene compromessa tante volte. Quando sperimento la chiusura e il menefreghismo. Quando mi rinchiudo nell’individualismo e, invece di fare corpo insieme agli altri, pretendo di andare avanti da solo. Quando sperimento il fallimento e nessuno mi aiuta a rialzarmi in piedi. Quando nessuno mi offre “narrazioni di fede” per continuare a lottare e sperare.
Ecco allora ciò che vuole fare in me l’Anno Giubilare! Permettere alla potenza dello Spirito Santo di ricostruire dentro di me la fiducia e la speranza che ho perduto!».

Il segno:
I Luoghi del Perdono e le Porte della Speranza

Il vescovo Gianpiero ha infine spiegato in che modo ricostruire la fiducia e la speranza perdute. Due saranno i due segni presenti nelle Diocesi del Piceno: i Luoghi del perdono e le Porte della Speranza. Queste le sue parole: «Durante il Giubileo ci saranno nella nostra Diocesi cinque Luoghi del Perdono, uno per Vicaria, (altri quattro ad Ascoli), oltre ai luoghi del perdono degli ospedali, delle case di cura, delle residenze protette, del carcere. Ci saranno per permettere a tutti di sperimentare il perdono di Dio, il suo amore. Per ricominciare, ripartire. E ci farà bene – tanto bene – sperimentare anche il perdono degli altri, la riconciliazione tra fratelli. Questo genera la speranza, perché la speranza nasce dall’amore: “La speranza non delude perché l’amore ci è stato riversato nel cuore dallo Spirito (Rm 5,5).
La speranza va poi condivisa con gli altri, con tutti. Ecco perché l’altra iniziativa: le Porte della Speranza! Ogni comunità cristiana cercherà di capire qual è il più importante “deficit di speranza” nel proprio territorio. Gli anziani soli? Le dipendenze dei ragazzi e degli adulti? La povertà? E cercherà di annunciare la speranza, diffondendo “buone pratiche”, cioè “opere e parole” – le persone sono stanche di sole parole! -, segni che sono vere “esperienze” in cui posso ritrovare me stesso e la speranza.
Sono stato di recente in una parrocchia dove ho partecipato ad una “classica” festa di Natale, dove ho visto la recita piena di buoni sentimenti dei bambini, i canti di Natale degli adulti, un clima di serenità. Una persona lì presente ha detto – e lo pensavo anche io! -: “Stiamo vivendo un’esperienza controcorrente rispetto all’individualismo e all’egoismo imperante! Stiamo parlando di fraternità, di sacrificio, cioè l’amore che sa donare, che sa pagare di persona, che fa una cosa sacra. E questo richiede l’audacia di andare controcorrente!”. Pensate: una recita di Natale diventa audace e controcorrente!
“Se sono egoista e non perdono, allora sono forte”: così pensa tanta gente. Ma che forte?! Sei debolissimo! Non c’è nessuna speranza, se sei solo!
Ecco allora che la nostra comunità cristiana, piccola, un po’ ammaccata, talvolta litigiosa, è chiamata a sperimentare e a diffondere la speranza».

I fedeli hanno quindi vissuto l’Eucaristia con questa consapevolezza: la Speranza per noi cristiani non è un’illusione, bensì una certezza, perché affonda le sue radici nella morte e resurrezione di Gesù, di cui ogni volta facciamo memoria durante la Messa. Durante i riti di Comunione, infatti, diciamo: “Con l’aiuto della tua misericordia, vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza“.
È dunque questa la Speranza che siamo chiamati a diffondere. Una Speranza che è consapevolezza di redenzione, che discende dalla comunione con Gesù e, attraverso Lui, con tutti i fratelli.
Quella Speranza che, come ha spiegato il vescovo Palmieri durante la Messa di Natale, «diventa una virtù, perché nasce dal crocevia di tre dimensioni umane: la passione, la ragionevolezza e la volontà. Quella Speranza che è il frutto dell’azione dello Spirito Santo e del Logos, della Parola di Dio dentro. Quella Speranza che ci salva». Che salva tutti. Tutti”.

Foto di Simone Incicco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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