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FOTO Diocesi Ascoli, aperto l’Anno Giubilare. Vescovo Palmieri: “La speranza è il segno che siamo sani”

Foto di Lanfranco Norcini Pala e Lindo Nepi, che ringraziamo per la preziosa collaborazione

DIOCESI – Una croce fiorita, seguita dal libro dei Vangeli: è questa l’immagine più bella e significativa della solenne celebrazione con la quale Domenica 29 Dicembre 2024, alle ore 17:00, l’arcivescovo Gianpiero Palmieri ha aperto l’Anno Giubilare nella Diocesi di Ascoli Piceno.
È il segno luminoso della croce, nostra àncora di salvezza, e della Parola, nostro faro nella notte, da cui deriva la nostra speranza certa! Quella speranza che non delude, di cui parla San Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 5,5) e che è il messaggio centrale del Giubileo 2025.
Una speranza che, proprio come nelle intenzioni di papa Francesco, ha abbracciato tutti. Erano presenti, infatti, oltre al vescovo Palmieri, anche il cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo emerito de L’Aquila, mons. Piero Coccia, arcivescovo emerito di Pesaro, i sacerdoti e i diaconi della Diocesi, riuniti insieme; il numeroso popolo di Dio, proveniente dai vari Comuni del territorio interdiocesano, composto da bambini, giovani, adulti ed anziani; esponenti dei vari gruppi, associazioni e movimenti diocesani; autorità militari e civili, a partire dal sindaco di Ascoli Piceno, Marco Fioravanti.

Luci di Speranza in cammino

La comunità cristiana della Diocesi di Ascoli Piceno si è ritrovata nel tardo pomeriggio davanti alla chiesa del Santissimo Crocifisso dell’Icona, a Porta Romana, per vivere il primo momento forte della cerimonia: l’accensione delle candele dalla luce di Betlemme e, a seguire, la processione verso la cattedrale.

Le parole:
“Pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi”

Queste le parole con cui il vescovo Gianpiero ha salutato la numerosa folla accorsa: «Fratelli e sorelle, il Mistero dell’Incarnazione del nostro Salvatore Gesù Cristo, custodito nella comunione di amore della Santa Famiglia di Nazareth, è per noi motivo di gioia profonda e di speranza certa. In comunione con la Chiesa universale, mentre celebriamo l’amore del Padre, che si manifesta nella carne del Verbo fatto uomo e nel segno della croce, ancora di salvezza, apriamo solennemente l’Anno Giubilare per la nostra Chiesa di Ascoli Piceno. Questo rito è per noi preludio di una ricca esperienza di grazia e di misericordia, pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi, specialmente in questo tempo di guerre e di disordini. Cristo, nostra pace e nostra speranza, sia nostro compagno di viaggio in questo anno di grazia e di consolazione. Lo Spirito Santo, che oggi inizia questa opera in noi e con noi, lo porti a compimento fino al giorno di Gesù Cristo».
Dopo la proclamazione del Vangelo di Giovanni riguardante il Mistero dell’Incarnazione (Gv 1,1-5. 9-12.18), sono stati letti alcuni passi della Bolla di Indizione del Giubileo Ordinario 2025, riguardanti il tema centrale della Speranza.

Il segno:
Accensione delle candele dalla luce di Betlemme e pellegrinaggio

Al termine della lettura, è stata accesa una candela dalla luce di Betlemme e, a sua volta, sono state accese le candele di tutti i fedeli presenti. a seguire, è iniziato il pellegrinaggio verso la cattedrale Santa Maria Madre di Dio e Sant’Emidio, durante il quale i fedeli hanno cantato le litanie dei Santi e pregato alcuni Salmi. I numerosi fedeli hanno camminato, composti ed in preghiera, dietro al Vangelo, mettendo i loro piedi dove Gesù ha lasciato le sue orme.
Con questo gesto, guidati dall’arcivescovo Gianpiero, si è dunque aperto il cammino del Giubileo, il cammino verso la Speranza, che aprirà le porte anche del nostro cuore.

Riconciliati con Dio, a servizio della Chiesa

Giunti davanti alla cattedrale Santa Maria Madre di Dio e Sant’Emidio, i fedeli hanno vissuto il secondo momento forte della cerimonia di apertura dell’Anno Giubilare: la memoria del Battesimo.

Le parole:
“Nella tua misericordia, donaci una sorgente di acqua viva che zampilli per la vita eterna”

Queste le parole con cui mons. Palmieri ha introdotto il secondo momento: «Signore Dio onnipotente, fonte e origine della vita, ti ringraziamo per questa acqua benedetta con la quale saremo aspersi, fiduciosi di ottenere il perdono dei peccati, la difesa di ogni malattia e dalle insidie del maligno e la grazia della tua protezione. Nella tua misericordia, donaci, o Signore, una sorgente di acqua viva che zampilli per la vita eterna, perché, liberi da ogni pericolo dell’anima e del corpo, possiamo venire a te con cuore puro».

Il segno:
Rinnovo delle promesse battesimali e aspersione

Dopo un momento di silenzio, il vescovo Gianpiero ha ricordato ai fedeli che, per la grazia del Mistero Pasquale, siamo stati sepolti insieme con Cristo nel Battesimo, per camminare con lui in una vita nuova. Ha quindi invitato tutti i presenti a rinnovare le promesse battesimali con le quali un giorno abbiamo rinunciato a Satana e alle sue opere e ci siamo impegnati a vivere e a servire Dio nella Santa Chiesa.
Mons. Palmieri ha poi preso dell’acqua dal battistero, che per l’occasione è stato posizionato al centro del sagrato della cattedrale, e poi, aiutato dai diaconi, ha asperso se stesso, i concelebranti, i ministri e tutta la folla dei fedeli presenti.

Chiamati ad essere “pellegrini di Speranza”

All’ingresso in cattedrale, il Coro Diocesano, diretto dal M° don Francesco Fulvi, ha intonato il canto “Adeste fideles”, accompagnato dall’organista Miriana Mercuri e da un quintetto di ottoni: alla 1ª tromba Mario Bracalente; alla 2ª tromba Mario Biancucci; al corno Giulio Raccichini; al trombone tenore Cristiano Sanguedolce; al trombone basso Roberto Castelli. La voce solista è stata quella di Valentina Corradetti. È seguito il terzo momento forte della cerimonia, la Celebrazione Eucaristica, presieduta dal vescovo Gianpiero Palmieri.

Le parole:
“Impariamo a stare nelle cose del Padre nostro e ad aprirci alla speranza!”

Tutta incentrata sul tema della Speranza è stata anche l’omelia del vescovo Palmieri: «È davvero molto bello stasera dare inizio, insieme, a quest’Anno Giubilare. Anno della Gioia e – come sappiamo bene – per volontà di papa Francesco, anche anno della Speranza. Quello a cui siamo chiamati è fare in modo che dal nostro cuore la gioia e la speranza possano nuovamente uscire fuori, cantare, danzare, spingerci a parlare e a far sperimentare a tutti la gioia e la speranza che vengono dal Vangelo.
Ma guardate che bellezza stasera! Il Signore Gesù ci ha radunati, ci ha convocati, ci ha uniti intorno a sé. E abbiamo vissuto il segno del pellegrinaggio dalla Chiesa del Crocifisso. Ci sentiamo e siamo un popolo in cammino, radunato dal Signore Risorto e che cammina dietro al Signore Risorto. Affascinati dal Vangelo, abbiamo imparato ad ascoltare la sua voce, a riconoscerla, a fidarci di questa voce e a seguire la Parola del Signore. Ecco perché nella nostra processione, nel nostro piccolo pellegrinaggio, il diacono precedeva, portando la parola di Dio. E poi abbiamo imparato ad ancorarci alla croce. La croce, àncora della nostra salvezza, simbolo di speranza. Perché Gesù sulla croce è Dio che stende le sue braccia e il suo corpo per abbracciare ogni essere umano. E allora abbiamo messo la croce, che sarà il simbolo di tutto l’anno a giubilare, solennemente come fiorita, come rinverdita su questo altare. È capace la croce di Gesù di parlarci dell’amore di Dio e quindi far rinascere e ringiovanire la gioia e la speranza. Poi, arrivati davanti alla cattedrale, abbiamo vissuto l’esperienza della memoria del Battesimo, cioè abbiamo voluto ricordare, come ci dice la Seconda Lettura di oggi, che noi siamo figli di Dio, da sempre amati, pensati da Dio, chiamati ad essere nel mondo il segno della Speranza, così da fare in modo che la speranza di Gesù, la Speranza che è Gesù, raggiunga tutti gli uomini.

Ha poi proseguito Palmieri: «La speranza è il segno che siamo sani. La speranza è il segno non del fatto che ci illudiamo, perché la speranza che si illude non è una speranza. È invece la speranza, quella vera, quella fondata sul cuore, sulla mente, sulle mani, fatta di sensibilità, razionalità e volontà. La speranza è il segno che siamo sani, che il nostro cuore non si è ammalato. Perché quando ci ammaliamo, finiamo nella disperazione, perdiamo la speranza. Ed è quello che sta succedendo. Intorno a noi c’è un deficit di speranza che fa un po’ impressione. Lo possiamo ritrovare in tanti modi, in tante forme intorno a noi, ma c’è. C’è un atteggiamento che è legato, in fondo, all’individualismo e al benessere personale. Una sorta di egoismo che ci fa diffidare degli altri. Già da tempo riflettiamo le narrazioni di fede e, in fondo in fondo, mettiamo il nostro io al centro di tutto. Ma guardate che il frutto di un cammino umano del genere è la disperazione. Perché in realtà, se io non ho gli altri di cui fidarmi e a cui affidarmi, dove aggrappo la mia speranza? Se non c’è nessun Dio nel cielo che mi ha amato da sempre, ma sono solo un frammento che naviga nel nulla, dove si appoggia la mia speranza? Se io sono profondamente convinto di questo, dove si aggrappa la mia speranza? Da nessuna parte. Ed è quello che sta succedendo. Molta gente, non spera più.
Quest’Anno Giubilare, allora, serve per aiutarci a riscoprire la Speranza, che nasce dalla Fede, che è Gesù. La Speranza che fiorisce dentro di noi per la potenza dello Spirito. E serve a darci da fare per diffonderla ovunque davanti a noi.
Voi sapete che oggi è la giornata della famiglia di Nazareth? E allora noi possiamo chiederci: da dove nasce la speranza? È provvidenziale che oggi ci sia questa festa perché la speranza nasce lì. Dentro la nostra vita di famiglia. La speranza, intesa come desiderio di andare avanti, promessa di futuro come bello e desiderabile, ha un motore invisibile dentro di noi, che è lo Spirito Santo, che è Dio. Spirito Santo che è presente nel cuore di ogni uomo. Per questo ogni uomo sente la spinta a sperare. Ma come si risveglia umanamente in noi, questa speranza? In famiglia. Noi nasciamo. Viviamo il trauma più duro della nostra esistenza, oltre quello della morte: il parto. E ci ritroviamo tra le braccia. di una donna e di un uomo e ci sentiamo accolti, protetti, amati. Se improvvisamente un dolore ci prende e piangiamo, due braccia ci raccolgono. Gradualmente i nostri occhi si aprono e si aprono sul volto sorridente di una mamma e di un papà che ci tengono tra le braccia. Quando cresciamo un pochino di qualche mese e vogliamo camminare, due braccia ci permettono di camminare, senza cadere, e ci rialzano, quando cadiamo. La speranza, dal punto di vista antropologico, nasce da questa esperienza. Viviamo i primi mesi, anni di vita con la convinzione che la vita è bella e carica di promesse e che ci sarà sempre qualcuno che ci aiuterà nei momenti difficili, negli ostacoli e nelle paure. È così che si risveglia la speranza dentro di noi, una specie di fiducia elementare nella vita e nel Dio della vita. Sì, è Dio che ha fatto così la realtà, perché nascessimo dentro una famiglia e vivessimo all’inizio quelle esperienza, senza le quali non si sopravvive, e che plasmano dentro di noi la speranza. Incominciare a sperare. Ve lo ricordate il film “La vita è bella” di Benigni? Anche in mezzo all’orrore, custodisco la speranza di un bambino. La speranza funziona in questa maniera, ma a un certo punto cresciamo e la speranza viene fuori dal crocevia di tre componenti interiori: da una parte la sensibilità, dove c’è questa spinta che ci ritroviamo da dentro; poi c’è la razionalità, per cui distinguiamo le speranze reali da quelle illusorie; poi c’è la volontà, cioè vogliamo davvero quello che è il bene. Ed ecco che allora la speranza diventa una sorta di passione, una spinta interiore, un motore che ha come anima lo Spirito Santo, per cui lottiamo per il futuro, ci diamo da fare per il bene, non ci facciamo ingannare dal male, non cadiamo nelle illusioni. É una spinta che rinasce concretamente dentro e che viene dentro di noi e che ha a che fare con le profondità più recondite della nostra vita. La famiglia plasma tutto questo. Guardate Gesù: anche Gesù cresce e a un certo punto arriva a 12 anni. A quell’età, come era nella tradizione ebraica, diventi adulto e in sinagoga leggi la Torah e la commenti davanti a tutti. Gesù a 12 anni fa così e fa lo strappo. Dice: “Ma io devo stare nelle cose del Padre mio”. La famiglia di Gesù, composta da Maria e Giuseppe, ha svolto il suo compito. Gli ha dato la speranza, lo ha fatto diventare adulto, gli ha dato la convinzione che c’è un Padre più grande, che è Dio, e che bisogna “stare nelle cose del Padre mio”».

«Carissima comunità cristiana – ha concluso mons. Palmieri – noi siamo chiamati in quest’anno a riscoprire le ragioni della speranza e – come avete capito – la speranza nasce dall’amore. Se sono molto amato, posso sperare. È quello che dice Paolo nella Lettera ai Romani: la Speranza non delude, perché l’amore è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito. Proprio perché siamo stati amati, sentiamo che dentro di noi c’è una grande speranza. Amati da Dio, amati dai nostri genitori umani, se non hanno poi tradito questo amore. Una speranza profonda dentro di noi. Ed è questa speranza che siamo, nella sua radice di Fede, invitati a riscoprire. L’invito di oggi è quello di essere a servizio di questa Speranza.
Chiesa di Ascoli Piceno, che oggi sei adunata, ci sei tutta! Ci sono i tanti volti delle varie parrocchie, dei vari paesi, della città, delle associazioni, dei movimenti, dei diaconi, dei presbiteri, delle religiose e dei religiosi, dei seminaristi, don Piero e don Giuseppe, che hanno seguito delle Chiese , che sono però cresciti nella nostra Chiesa. Che splendore! Chiesa di Dio, per favore, smetti di guardarti l’ombelico. Smetti di pensare alle tue beghe. Smetti di pensare a te stessa. Smetti di coltivare il tuo orto e ripiegarti sul tuo orto. Esisti per la missione. Esisti per diffondere la gioia e la speranza. Sei al servizio della gioia e della speranza di tutti, perché tutti possano riscoprire nel loro cuore, oggi, i motivi nella speranza. Posso contare su Dio? Posso contare sugli altri? Posso costruire insieme a tutti un futuro più bello, più vivibile? Chiesa, sei chiamata a questo. Ci credi o no alla conversione missionaria di cui hanno parlato gli ultimi papi? A te, che trovi te stessa fuori di te stessa, a te che vivi la missione e ti butti nella mischia come Gesù, che è in mezzo alla strada, che è nella carovana, che rimane nella città, che va nel tempio, che parla coi dottori della legge e, quando Maria e Giuseppe gli dicono che doveva stare vicino a loro, lui risponde: “Io devo stare nelle cose del Padre mio”. E vive così lo slancio, Gesù, del suo essere al servizio del Regno. Così anche noi, comunità cristiana, nelle mille forme che il Signore Dio suggerirà».

Il segno:
I Luoghi del Perdono e le Porte della Speranza

Il vescovo Gianpiero ha infine spiegato in che modo ricostruire la fiducia e la speranza perdute. Due saranno i due segni presenti nelle Diocesi del Piceno: i Luoghi del perdono e le Porte della Speranza. Queste le sue parole: «Durante il Giubileo ci saranno nella nostra Diocesi quattro Luoghi del Perdono, uno per Vicaria, (altri cinque a San Benedetto), oltre ai luoghi del perdono degli ospedali, delle case di cura, delle residenze protette, del carcere. Ci saranno per permettere a tutti di sperimentare il perdono di Dio, il suo amore. Per ricominciare, ripartire. E ci farà bene – tanto bene – sperimentare anche il perdono degli altri, la riconciliazione tra fratelli. Nella vita, infatti, anche se abbiamo sperimentato il fallimento, il peccato, la tristezza, possiamo sentire ancora una volta che sulla mia vita c’è lo sguardo di amore di Dio e che posso riconciliarmi con i fratelli in nome dell’amore di Dio.
E poi c’è l’altra iniziativa: le Porte della Speranza! Ogni Consiglio Pastorale, ogni comunità parrocchiale, si fermerà a riflette sul proprio territorio e cercherà di capire qual è il più importante “deficit di speranza”. Forse c’è troppa solitudine? Forse i giovani si sentono un po’ abbandonati o forse si sentono abbandonati gli anziani? Oppure gli ammalati sentono il bisogno di essere accompagnati? Oppure i lavoratori hanno bisogno di essere sostenuti nell’impegno lavorativo? E ogni comunità cercherà di annunciare la speranza, diffondendo “buone pratiche”, cioè “opere e parole” – le persone sono stanche di sole parole! -, segni che sono vere “esperienze” in cui posso ritrovare me stesso e la speranza.
Questo sei chiamato a fare comunità cristiana! Questo sei chiamato a realizzare! Ed è davvero grandioso quest’anno che ci aspetta! Nùtriti di Parola di Dio! Nelle nostre parrocchie si possono realizzare tanti gruppi che meditano il Vangelo sotto l’àncora della speranza. E vedrai che straordinaria ricchezza c’è!
Questo è il cammino che siamo chiamati a fare e che può essere una grande occasione di conversione e di servizio alla speranza di tutti! Allora, Chiesa di Ascoli, viviamo insieme questo Anno Giubilare con tutti i suoi appuntamenti!».

I fedeli hanno quindi vissuto l’Eucaristia con questa consapevolezza: la Speranza per noi cristiani non è un’illusione, bensì una certezza, perché affonda le sue radici nella morte e resurrezione di Gesù, di cui ogni volta facciamo memoria durante la Messa. Durante i riti di Comunione, infatti, diciamo: “Con l’aiuto della tua misericordia, vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza“. È dunque questa la Speranza che siamo chiamati a diffondere. Una Speranza che è consapevolezza di redenzione, che discende dalla comunione con Gesù e, attraverso Lui, con tutti i fratelli. Quella Speranza che, come ha spiegato il vescovo Palmieri durante la Messa di Natale, «salva tutti». Tutti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Carletta Di Blasio: