Ilaria De Bonis
Come si appresta il continente africano a vivere il Giubileo della speranza inaugurato da Papa Francesco la vigilia di Natale? Lo chiediamo a Martin Nkafu, camerunense, studioso della storia e del pensiero africano, già docente all’Università Lateranense di Roma. “Sapendo che nella Chiesa cattolica questo sarà l’anno della remissione dei peccati, della riconciliazione e della conversione, noi ci auguriamo che in tutte le diocesi e conferenze episcopali africane si celebrino questi momenti come solo noi africani sappiamo fare”, afferma Nkafu.
Ossia?
Ossia con tutta la genialità che ci caratterizza! Detto ciò, essendo noi battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, la Chiesa in Africa celebrerà l’Anno santo 2025 in Sinodo, cioè in cammino con quella universale: un cuore solo e un’anima sola pur nella diversità delle culture e lingue.
Ma a suo avviso si terranno momenti di incontro e preghiera locali, come dei piccoli giubilei in terra d’Africa?
Io spero che ogni cattedrale in Africa dedichi una Porta santa a questo evento memoriale intorno a cui celebrare l’anno della redenzione. Tutto ciò con un’intenzione centrale per la pace nel mondo, affinché tutti possano riconciliarsi. In questo momento storico non c’è intenzione più grande dell’uscita dal conflitto. Mi auguro che il simposio delle conferenze episcopali dell’Africa e Madagascar, oltre a organizzare pellegrinaggi a Roma, organizzi nei luoghi santi del nostro continente, momenti forti d’incontro, celebrazioni e festa. Ricordiamo che per dare inizio alla celebrazione per il 50° anniversario della fine del Concilio Vaticano II, il Papa aveva aperto l’anno giubilare 2015 proprio nella cattedrale di Bangui in Repubblica Centroafricana.
Che effetti avrà secondo lei la conclusione del Sinodo sulle questioni relative alla religione tradizionale in Africa?
Una volta pervenuti alla consapevolezza che quella africana è una religione a tutti gli effetti, considerata come alla pari delle altre, bisogna insegnarla! Religione tradizionale africana: l’Ecclesiae in Africa di san Giovanni Paolo II raccomanda che sia insegnata e studiata in tutti gli istituti, seminari, luoghi di formazione religiosi e università cattoliche in Africa e nelle Pontificie Università. Avendo io insegnato per anni questa cultura e religione africana, posso attestare chela Chiesa nella sua missione evangelizzatrice e nel processo di inculturazione ha dato ampio spazio alle ricche tradizioni africane nella liturgia in tutto il continente.Il Sinodo appena concluso ha offerto “un metodo”, uno “stile” per la Chiesa: quale è stato il contributo africano?
Sappiamo che la Chiesa sinodale è sempre stata una Chiesa-comunione, in cammino, una Chiesa popolo di Dio e corpo mistico: in questa visione non ci sono più bianchi o neri, circoncisi o pagani ma tutti fratelli e sorelle, “figli nel Figlio”, per usare il linguaggio di san Paolo. Perciò il “metodo africano” non è diverso dal metodo degli altri continenti: tutti tendono all’unità! A realizzare il comando di Gesù: “Padre che tutti siano uno come io e te siamo una sola cosa”. I temi sono gli stessi per tutti: dall’Instrumentum Laboris allo svolgimento-celebrazione del Sinodo.In questo concerto tutti sono artisti indispensabili per la produzione di una musica e armonia celeste che porta ciascuno e la collettività alla santità. Tutti apprendono qualcosa di nuovo dagli altri.
A suo avviso si sta procedendo verso un pensiero rinnovato della Chiesa cattolica nei confronti dell’Africa?
Sono finiti i tempi nei quali quella africana era una Chiesa di missione e i missionari erano gli occidentali che evangelizzavano il continente. Basti ricordare i giganti della Chiesa del nord Africa con Alessandria di Egitto. Pensatori, filosofi, teologi e giuristi di quell’epoca come Ireneo, Tertulliano, sant’Agostino di Ippona, san Cipriano. I papi africani berberi come Vittore I, Gelasio e Milziade. Ciò per dire che quella africana non è mai stata solo una Chiesa di missione ma una Chiesa “in missione”. È ora di studiare la vita di questi santi africani della prima era del cristianesimo: mi sembra non sia più necessario parlare di colonizzazione o decolonizzazione ma piuttosto di una cooperazione missionaria tra le Chiese sorelle nel mondo.
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