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Maddalena Maltese
Era in piena festa di Capodanno, Bourbon Street, la storica arteria del quartiere francese di New Orleans. I locali traboccavano di clienti e ogni centimetro d’asfalto era zeppo di gente euforica e allegra, anche se erano le 3.15 del mattino. Conosceva bene l’area Shamsud-Din Jabbar quando, con un furgone bianco preso in affitto tramite un’app e su cui aveva issato la bandiera dello Stato Islamico, ha scatenato una carneficina, uccidendo 15 persone e ferendone altre 30.
Non era uno straniero Jabbar, come inizialmente ventilato dal presidente eletto Donald Trump, ma un cittadino americano, nato e cresciuto in Texas, arruolato nell’esercito degli Stati Uniti dal 2007 fino al 2020, quando si era ritirato con il titolo di sergente maggiore per avviarsi alla professione di agente immobiliare. Jabbar ha aggirato i posti di blocco e approfittato dell’assenza di barriere protettive per investire alla cieca i passanti, facendo volare i loro corpi prima che si schiantassero a terra. A quasi tre isolati dall’inizio della sua furia, l’uomo si è schiantato contro la gru di un cantiere edile e ha aperto il fuoco sulla polizia, ferendo due agenti, prima di essere ucciso a colpi di arma da fuoco dagli altri poliziotti. Dove pochi minuti prima la musica e la festa riempivano le strade del quartiere, ora solo il silenzio, interrotto dalle sirene di pattuglie e ambulanze, dominava la zona.
Mentre l’FBI sta ancora indagando su quello che è stato definito un atto terroristico domestico, un filmato ha mostrato che l’attentatore non potrebbe essere stato solo: alcune immagini di sorveglianza hanno mostrato tre uomini e una donna che piazzavano un ordigno esplosivo rudimentale, simile a quello ritrovato nel furgone di Jabbar.
Il pick-up della morte conteneva diversi di questi ordigni, assieme a due bombe nascoste in un frigorifero pronte per essere detonate a distanza.
La sovrintendente della polizia di New Orleans, Anne Kirkpatrick, ha dichiarato durante una conferenza stampa che l’autista del furgone era “deciso a creare la carneficina e i danni che ne sono seguiti”, con i corpi che cadevano come birilli e i passanti che urlavano, stesi a terra o in fuga.
“Non c’è giustificazione per la violenza di alcun tipo e non tollereremo alcun attacco a nessuna delle comunità della nostra nazione”, ha detto il presidente americano Joe Biden, intervenendo a poche ore dalla tragedia. Non c’è giustificazione alla violenza, eppure la violenza è stata l’unica azione di cui Jabbar è stato capace, nel mezzo della sua stessa tragedia personale, segnata da problemi finanziari, un recente divorzio e la conversione all’Islam.
Secondo Bruce Hoffman, ricercatore su antiterrorismo e sicurezza interna presso il Council on Foreign Relations e consulente della CIA, “tutte queste cose potrebbero aver giocato un ruolo nella sua mente, spingendolo a fare qualcosa di audace, drammatico e violento che lo avrebbe catapultato all’improvviso in una sorta di infame notorietà, in aperto contrasto con il fallimento che stava provando”. Hoffman ha dichiarato alla rete PBS che nel processo di reclutamento e radicalizzazione degli individui, “i membri delle organizzazioni terroristiche, i loro manipolatori, fanno leva sulle debolezze personali o sui traumi degli individui, spingendoli a compiere atti di violenza che, in circostanze normali, non avrebbero mai preso in considerazione”.
L’arcivescovo di New Orleans, Gregory Aymond, assieme a circa 600 fedeli radunati nella cattedrale di St. Louis, a pochi isolati da Bourbon Street, ha cercato di dare un senso alla morte e alla carneficina perpetrate da Jabbar in un giorno e in un momento totalmente inaspettati.
Questa incertezza che accompagna l’inizio del nuovo anno è stata al centro dell’omelia dell’arcivescovo, che ha ricordato come nessuno è stato in grado di “creare un’app per dirci esattamente cosa accadrà di giorno in giorno nelle nostre vite” e nessuno avrebbe mai pensato che il primo giorno dell’anno si sarebbe aperto con una tragedia. “Cosa accadrà durante quest’anno è la domanda che tutti noi ci porremo. Cosa accadrà? La risposta facile è che non lo sappiamo”, ha detto Aymond, invitando a non dimenticare “coloro che si sentono senza speranza”, come le famiglie delle vittime e i feriti che in ospedale lottano per la vita, senza tralasciare di offrire il conforto della speranza. “Dio ci dà sempre speranza, anche in mezzo a situazioni tragiche”, ha detto l’arcivescovo Aymond, consapevole che “c’è ancora speranza che questo mondo possa diventare un mondo di pace. Ma, in giorni come questo, è molto difficile vederlo”.