Gianni Borsa
Concreti segni di speranza. Se si cercano traduzioni pratiche della “Spes non confundit”, bolla di indizione del Giubileo 2025, un viaggio in Burundi può aiutare a “porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza”, come vi scrive Papa Francesco.
Tra le pieghe della vita. Certo, non tutto funziona nel Paese africano. Anzi, la povertà segna l’esistenza di milioni di persone e si presenta, visivamente, ogni giorno e sotto differenti aspetti (qui la prima parte del reportage). E proprio qui, tra le pieghe della vita quotidiana, si misurano innumerevoli iniziative che portano aiuto, sostegno, conforto a famiglie, nei villaggi, nelle realtà cittadine. Il tessuto religioso è una caratteristica del Burundi, Paese a maggioranza cattolica, con significative presenze di altre confessioni cristiane e una minoritaria comunità musulmana.
Cattolici, ma non solo. Otto le diocesi cattoliche con parrocchie urbane e rurali; diverse le presenze delle congregazioni e degli istituti missionari.Sacerdoti, suore, laici sono attivamente presenti in scuole, ospedali, orfanotrofi, nella pastorale familiare, nella cura delle persone povere o anziane.La carità è il volto più evidente del cristianesimo nel Paese. Ma, come accade quasi ovunque nei Paesi africani, è attorno all’altare che la comunità si ritrova numerosa per celebrare con gioia il proprio credo.
Presenza capillare. Un viaggio tra le diocesi di Bujumbura, Ngozi, Gitega e Bururi, avendo come guida le suore del Cuore Immacolato di Maria – qui conosciute semplicemente come suore Bene Mariya –, porta a toccare con mano la capillarità di una Congregazione fondata dal missionario belga Joseph Martin (1903-1982), dei Padri Bianchi, una vita dedicata al Burundi, dove fu vescovo prima a Ngozi poi a Bururi. Le suore Bene Mariya sono oltre 400 nel solo Burundi; un centinaio in Tanzania; contano anche diverse presenze missionarie all’estero (in Italia vi sono cinque comunità). Ogni anno la Congregazione si arricchisce di numerose novizie.
Messe affollate e animate. Annamaria, Jeanne, Gemma, Elena, Maria Teresa: sono alcune delle suore che incontriamo in un “tour” tra spiritualità, liturgie, solidarietà. Ci accompagnano a vivere le messe, sempre partecipatissime: siano quelle delle 6.30 del mattino in un qualunque giorno della settimana, oppure le liturgie del pomeriggio riservate ai bambini (mille bambini a messa!), o quelle della domenica, che durano oltre due ore, con chiese piene all’inverosimile.Si canta in ogni momento, si applaude dopo la lettura del Vangelo; omelie infinite, poi ancora canti e balli.Lunghissimi i momenti della Comunione: fino a 10-15 preti, religiose o laici a distribuire l’Eucarestia.
Una Chiesa giovane. A Busiga facciamo conoscenza dell’associazione Abunganirango, che si occupa di pastorale familiare. Ci sono le donne “vulnerabili” (con figli ma senza marito), gli anziani del villaggio, tantissimi bambini: il Burundi è un Paese giovane, con una Chiesa giovane. Qui, come altrove, incontriamo l’Agi, abbreviazione del nome, in kirundi, Agisio Gatolika y’Ingo, ovvero l’Azione cattolica delle famiglie, formata soprattutto da coppie di sposi che si impegnano nella testimonianza cristiana nella vita familiare, rifacendosi ai tre verbi “vedere, giudicare, agire”.
Pastorale ordinaria e… straordinaria. Incontriamo in diverse località le novizie delle Bene Mariya: ti accolgono con canti tradizionali e balli, ti fanno sentire atteso e importante, sono cariche di curiosità sulla fede in Europa e in Italia; ci sono le suore medico e le infermiere, che operano negli ospedali delle città, oppure seguono le donne in gravidanza o curano persone psicologicamente fragili; quelle che si occupano di pastorale ordinaria nelle parrocchie, con un’attenzione speciale per la catechesi dei ragazzi, la preparazione ai sacramenti, l’ascolto delle famiglie. Facciamo conoscenza con vescovi, diversi sacerdoti, giovani dei cori (l’animazione musicale delle messe è sempre molto curata).Ciò che colpisce maggiormente è constatare la stima di cui godono le figure religiose nel Paese, specie tra le persone più umili.
“Spes non confundit”. Naturalmente anche qui la Chiesa fa i conti con quella “modernità” che segna da tempo la società in Africa. L’indifferenza religiosa si va diffondendo in una parte della popolazione; tra le fasce sociali più agiate prende le forme della secolarizzazione. Ma la presenza cristiana rimane vivace. Anima una fede popolare, semplice, diretta, che può caricarsi di attese miracolistiche. Soprattutto c’è gratitudine verso chi si fa interprete dei bisogni più elementari, si erge a tutela dei diritti essenziali, tende una mano caritatevole di fronte alla fame o alla carenza di cure sanitarie; di chi in qualche modo si spende in una condizione di lavoro precario, di scarsa offerta formativa. Così “spes non confundit” prende le sembianze di una chiesa, di un catechista, di una suora, di un’associazione caritatevole, di un vescovo che si immerge tra la sua gente. La speranza (tante volte) non delude.
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