Miela Fagiolo D’Attilia
La Repubblica Popolare Cinese ha appena compiuto il suo 75° anniversario dalla fondazione, dopo la fine della guerra civile tra nazionalisti e comunisti di Mao, avvenuta il 19 ottobre 1949. In tre quarti di secolo da Paese povero arretrato e rurale, la Cina è diventata la seconda potenza economica mondiale, oggi baricentro della politica internazionale, al punto che il Presidente Sergio Mattarella in visita all’Università di Beida a Pechino (il 9 novembre scorso), l’ha esortata a usare tutta “la sua autorevolezza per mettere fine al conflitto in Ucraina”.
Certo è che l’Impero del Drago resta “un complesso scenario frutto di culture e tradizioni diverse ereditate dal passato e di importanti tessiture geopolitiche in tutto il continente asiatico”, come spiega padre Gianni Criveller, sinologo, esperto di diritti e libertà civili, direttore del Centro Pime di Milano, per 27 anni missionario tra Hong Kong, Cina e Macao.
Gli effetti della crisi. L’influenza della Cina sull’economia planetaria è legata alle strette interconnessioni commerciali con il resto del mondo, rimanendo chiusa alle influenze straniere. Ma la crisi economica che ha cambiato la struttura sociale del Paese, dopo decenni di crescita e di incremento delle fasce del ceto medio, ora è arrivata a una situazione di stallo. “Negli ultimi anni c’è stata una frenata nell’economia che non cresce più al ritmo del 6-8% a cui si era abituati negli ultimi decenni – dice padre Criveller –. I motivi sono diversi, comprese le conseguenze del Covid che ha rappresentato una brusca frenata sia per i rapporti internazionali che per il lockdown interno.Gli effetti si vedono soprattutto nelle nuove generazioni, perché ci sono molti disoccupati anche tra gli universitari che terminati gli studi non trovano più come una volta sbocchi professionali adeguati.La contrazione del mercato del lavoro porta molti giovani a non cercare lavoro, casa, a non sposarsi: sono i cosiddetti ‘sdraiati’, ragazzi che restano a casa con i genitori che pagano loro i servizi che fanno per la famiglia e non spendono per farsi una famiglia propria. È un fenomeno generazionale diffuso anche in Occidente: i genitori hanno più possibilità economiche, con pensioni e i risparmi, dei figli che non hanno nemmeno un lavoro per fare fronte ai costi enormi di una vita indipendente. Senza dimenticare che il crollo dei matrimoni è anche frutto della politica forsennata del figlio unico che ha fatto sì che milioni di maschi non abbiano la controparte femminile”.
Le mani della politica sull’economia. E se è vero che in Cina ci sono sempre meno persone in condizione di povertà grazie al progresso economico degli ultimi 40 anni, è anche vero che le conseguenze di una economia più matura comportano una sistema di welfare e strutture in grado di far fronte a problemi sanitari e ambientali. “Trent’anni fa il 10% della popolazione è diventato molto ricco – continua padre Criveller –; adesso il fenomeno è molto ridimensionato perché la politica ha ripreso il controllo dell’economia. Anche grandi tycoon del web come Jack Ma, fondatore di Albaba, sono stati arrestati, messi da parte e praticamente spariti dal giro. Non ci vuole molto per fare fuori un avversario politico o economico con l’accusa di corruzione”.
Tensioni e conflitti. Con le sue 22 province (la 23esima sui generis è la contesa Taiwan), quattro municipalità, cinque regioni autonome e due amministrative speciali, la Repubblica Popolare Cinese conta ben 20mila chilometri di confini terrestri, 14mila di linea costiera, e un gran numero di Paesi limitrofi con cui interfacciarsi. Ovviamente con i “vicini di casa” la Cina intrattiene rapporti molto diversi, a partire da Hong Kong, Macao e Taiwan ne fanno (territorialmente) parte. “Hong Kong e Macao sicuramente sì, anche se hanno una sorta di autonomia sempre più limitata, hanno ancora lingua, moneta, polizia – dice padre Criveller –. Più problematico è il rapporto con Taiwan che fa parte della Cina ma ha una vita autonoma, ed è comunque al centro dell’attenzione dello scacchiere geopolitico internazionale”. Molto conflittuale è il rapporto con le Filippine (dove pure si è molto ridotta la presenza statunitense nelle basi militari) con tensioni circa la sovranità sulle Isole Spratly e Paracelso nel Mar Cinese meridionale, in un tratto di mare particolarmente ricco di risorse naturali. È una cosa di cui non si parla molto, che innesca nazionalismi contrapposti come la contesa per le Isole Senkaku col Giappone”.Con Corea del Nord e Myanmar rapporti buoni sia con Kim Jong-un, che con la giunta dei militari al potere dal golpe del primo febbraio 2021.L’ex Birmania in particolare è “strategica perché confina con alcune provincie del sud ovest della Cina. Ci sono poi risorse naturali birmane – legno, gas, petrolio – di cui la Cina approfitta col benestare dei militari, che da sempre (tranne la breve parentesi del governo civile di Aun San Suu Kyi) governano il Paese con l’appoggio della Cina e della Russia».
Difficili rapporti con l’India. Con il suo miliardo e 411 milioni di abitanti la Cina è ora al secondo posto nella classifica dei Paesi più popolosi, rispetto all’India che ne conta un miliardo 429 milioni. “Sono i due Paesi più grandi al mondo dal punto di vista della popolazione, due nazioni in concorrenza sul piano strategico e territoriale, con conflitti, anche territoriali. Per i loro nazionalismi, per gli apparati militari (soprattutto quello cinese), e per l’influenza che hanno sui vicini, i rapporti tra queste due nazioni sono e saranno determinanti per il futuro dell’umanità, con rischi di rivalità e perfino di una potenziale guerra fredda futura”.
L’accordo tra Pechino e Santa Sede. Segnali di apertura nella proroga dell’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Cina sulla nomina dei vescovi per altri quattro anni, come commenta padre Criveller: “Dopo il grave incidente del 4 aprile 2023, quando il vescovo Shen Bin era stato trasferito a Shanghai senza il consenso del Papa, la Cina è tornata a un dialogo più regolare con i funzionari della Santa Sede che ha ricominciato ad avere fiducia che questo accordo possa portare qualche frutto. Certamente c’è ancora molto cammino da fare per la libertà dei cattolici cinesi, ma è la via praticabile per Roma di avere in qualche maniera la possibilità di esprimere il suo parere nella scelta dei vescovi. Nove vescovi eletti, in sei anni non sono tanti, rimangono più di 30 diocesi senza vescovo, e dunque questo accordo non si è ancora realizzato”.
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