DIOCESI – «Un grande santo che conosciamo bene, sant’Agostino, diceva: “Signore, c’hai fatto per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. È inquieto perché non è mai pago, non è mai sazio».

Con queste parole si è aperta l’omelia del vescovo Gianpiero Palmieri per la Santa Messa dell’Epifania, ieri, lunedì 6 gennaio, presso la Chiesa Cattedrale Santa Maria della Marina.

Vescovo Palmieri: «È un cuore sempre in cammino, sempre alla ricerca di un ordine. E perché siamo così?
Perché non siamo mai pienamente soddisfatti? Perché sentiamo di non aver raggiunto la meta? Dicevano gli scrittori medievali: “L’uomo ha un desiderio naturale che è quello di vedere Dio. Noi abbiamo una spinta a metterci alla ricerca, abbiamo un’apertura che è infinita. Niente può soddisfare la nostra sete di infinito, la nostra apertura del cuore. Una volta che abbiamo raggiunto il risultato, vogliamo andare oltre, non è una cosa strana, ma appartiene alla nostra natura”.

Siamo uomini inquieti e quindi sempre in cammino. Ci spinge un desiderio. Questa parola, “desiderio”, secondo la spiegazione etimologica: “sideris”, cioè “stella”.

Ci sono alcuni desideri profondi della nostra vita, quelli che ci trainano da dentro e ci mettono in cammino, che vengono dalle stelle, vengono da dentro. È come se la luce delle stelle risplendesse dentro il nostro cuore e ci mettesse in cammino per una sorta di forza di attrazione. Questo è il segno che siamo abitati dallo Spirito Santo, che siamo abitati da Dio. È Dio che ci mette in movimento: ora colmandoci l’inquietudine, ora riempiendoci il cuore di desiderio che viene dalle stelle.

I Magi, sappiamo, rappresentano tutti gli uomini. Sono stranieri, non sono figli d’Israele. Non sappiamo in quale dio credessero, però hanno visto una stella e si sono messi in cammino spinti da un’inquietudine del cuore e da un grande desiderio. Vogliono conoscere il Re Messia, colui che sarà il Salvatore del genere umano.

Certamente, mettersi in movimento per una stella è un po’ da folli. Infatti, i Magi sono un po’ folli, ma soltanto così danno seguito all’inquietudine, al desiderio. Noi siamo pellegrini, dice la Scrittura: “Siamo stranieri in questo mondo”, è scritto nel Nuovo Testamento. Siamo fatti per raggiungere la nostra patria nel cielo e per questo siamo in cammino, pellegrini.
“Signore, vogliamo vedere il tuo volto e solo allora raggiungeremo la pienezza”, ma fino ad allora la nostra vita non è nient’altro che un cammino. Quando non ci mettiamo alla ricerca di Dio, forse significa che si è spento qualcosa dentro di noi. Permettetemi di dire che forse si è spento lo Spirito Santo, che è il motore che ci mette in cammino. Vedete, nella Bibbia, quando Dio dice di mettersi in cammino, vuole dirci di metterci in cammino alla ricerca di una verità fuori di noi, ma anche dentro di noi. Quando noi ci mettiamo in cammino, noi in fondo non cerchiamo soltanto una verità fuori di noi, ma cerchiamo il nostro vero “io”. Allora, questo significa che noi siamo il movimento prima della nostra realizzazione di uomini e donne nuovi. Diceva il Padre della Chiesa, sant’Agostino: “Signore, tu ci hai fatto a immagine tua”, cioè a immagine di Gesù, suo Figlio. Il nostro cammino umano ci deve portare ad assomigliare sempre di più a Cristo Risorto. Persone libere, capaci di fede, speranza, di amore.
Uomini nuovi, donne nuove al seguito di Gesù. Come i Magi, siamo mossi dallo Spirito.
Cerchiamo di capire la realtà intorno a noi, ma nello stesso tempo viaggiamo dentro noi stessi affinché possiamo diventare sempre più simili al Signore Risorto. I Magi si misero in cammino e quello che videro nel bambino fu il Verbo di Dio fatto carne. E sono pieni di gioia perché hanno visto il volto di Dio. Sono pieni di gioia anche perché, nello stesso tempo, hanno trovato loro stessi. “Chi siamo?” si sono chiesti i Magi. Siamo figli di Dio, figli di questo Figlio che è Gesù. Siamo sempre alla ricerca dell’infinito. Come dicevo prima: è brutto quando non cerchiamo più niente, quando non cerchiamo più il nostro “io”, perché vuol dire che siamo già arrivati all’”io” che volevamo e non ci mettiamo in cammino, perché siamo arrivati.

I Magi vanno da Erode e gli dicono che loro sanno che è nato il Re dei Giudei, ma non sanno dove trovarlo, e gli chiedono se lui sa dove si trova. Vanno proprio da Erode, cioè da colui che è convinto di essere il re dei Giudei, e gli dicono che invece il vero re dei Giudei è un altro. Cosa succede quando noi, convinti delle nostre posizioni, delle nostre conquiste, ci sentiamo dire che non è vero niente, che dobbiamo ancora camminare? Ci arrabbiamo. E anche Erode si arrabbia, e cresce in lui una furia distruttiva, feroce, perché qualcuno ha osato mettere in discussione la sua posizione di re dei Giudei. Ecco cosa significa quando noi smettiamo di camminare nella direzione della crescita, che ci fa diventare uomini e donne nuovi. Ci aggrappiamo alle nostre convinzioni e ci dà molto fastidio se qualcuno ci contraddice. Chi non ascolta lo Spirito, chi non ascolta il proprio cuore, non ha più desideri. Finché siamo in cammino fuori e dentro di noi, siamo salvi. Vi dico questo perché noi viviamo in una società che ci vuole riempire il cuore con dei surrogati. Fateci caso alle pubblicità: esse non sono mai banali, non toccano il registro di “guarda quanto è buono questo prodotto”, ma “guarda che diventi se lo compri”. Toccano il registro dell’identità, dei nostri sogni e delle nostre inquietudini. Il nostro cuore è inquieto sempre, finché non riposa nel Signore. Quando il santo vescovo Tonino Bello scoprì che aveva un tumore, si mise a consolare il suo medico, colui che gli aveva comunicato la diagnosi. Erano molto amici. Tonino Bello disse a questo suo amico medico: “Antonio, tu non capisci niente, io adesso affondo gli occhi nel mistero di Dio”.

Il termine del cammino umano, l’unico termine in cui troviamo la patria, è raggiungere il Signore.

Una raccomandazione, soprattutto con i ragazzi: essi non sono superficiali, non sono banali, hanno domande profonde, hanno una spiritualità vera, sono “assetati” di adulti che hanno una risposta da dare alle domande “vere”. Domande come: “Perché sono nato?”, “Perché, mamma e papà, mi avete messo al mondo?”, “Perché sono nel mondo?”. Hanno bisogno di qualcuno che risponda, in maniera credibile, alle loro domande profonde.

I ragazzi sono persone assetate di senso. Per questo dobbiamo stare loro vicino».

Al termine della celebrazione si è tenuto un ricordo di monsignor Gervasio Gestori, nel secondo anniversario della morte.

 

 

 

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