GROTTAMMARE – Domenica 19 gennaio, alle ore 11, presso il Parco “della Madonnina” su Via Sant’Agostino, davanti a Villa Azzolino, in occasione della festa in onore di Sant’Antonio Abate, come in tante parrocchie delle diocesi del Piceno, si è tenuto un momento di incontro e preghiera con Don Joseph Bahane, collaboratore parrocchiale dell’Unità Pastorale di San Pio V e San Giovanni Battista a Grottammare. Hanno partecipato numerose persone, tra cui bambini e ragazzi accompagnati dai loro amici a quattro zampe: cani di varie taglie, gatti e persino uccellini. Don Joseph ha ricordato la figura di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali. Una statua del Santo e un cesto di panini benedetti hanno fatto da cornice a questo momento di condivisione. L’evento è stato animato anche da qualche simpatica “baruffa” tra i cagnolini più vivaci!

La Tradizione
La devozione per Sant’Antonio Abate è profondamente radicata nelle zone agro-pastorali del Piceno, in particolare in Abruzzo e nell’Ascolano. Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio, le colline si illuminavano di falò, simbolo di festa e protezione. Il Santo, noto come “nemico del demonio” e affettuosamente chiamato “Lu vecchiò” (L’anziano) dagli antichi contadini, era considerato il custode degli animali, risorsa fondamentale per le famiglie rurali.

In ogni stalla si trovava un suo santino, spesso decorato con un fiocchetto rosso, una fiammella o una campanella, simbolo della sua protezione. Anticamente, i conventi allevavano suini comunitari, destinati alla carità e al sostentamento dei più poveri. I maiali di Sant’Antonio, riconoscibili dal suono delle loro campanelle, potevano girare liberamente nei paesi: era dovere di tutti nutrirli, ma nessuno poteva appropriarsene.

La festa era anche un’occasione per distribuire piccole bontà come mele, dolcetti, fichi secchi e uvetta. Un momento di gioia per grandi e piccoli, con le nonne che preparavano i “Pani di Sant’Antonio”, pupazzi di pane decorati con pepe e chiodi di garofano, che venivano donati ai bambini, entusiasti di questa tradizione.

La Canzone “Sand’Andonie a lu deserto”
In Abruzzo e nelle Marche, durante questa ricorrenza, i giovani percorrevano le vie dei paesi cantando la “Canzone di Questua”: “Sand’Andonie a lu deserte”. Con strofe buffe e ritmate, chiedevano offerte di cibo o altri doni per solidarietà e carità.

Il ritornello narrava le tentazioni subite da Sant’Antonio nel deserto:
“Sand’Andonie a lu deserte, se diceva l’orazione,
satanasse pe dispiette, ji ‘mbizava cou forcone,
Sand’Andonio nun se smaga e condinua l’orazione!
Sand’Andonio, Sand’Andonio, lu nimiche de lu dimonie!”

(Traduzione: “Sant’Antonio, mentre pregava nel deserto, veniva tentato e distratto dal diavolo con un forcone, ma lui, integerrimo, continuava a pregare senza lasciarsi scoraggiare”).

Per chi volesse immergersi nella melodia di questa antica ballata, ecco il link per ascoltarla: [inserire il link].

Il significato vero della devozione. Qualche studioso di tradizioni ha voluto dire che Sant’Antonio, questo serissimo anacoreta egiziano, venne interpretato nel nostro mondo agro-pastorale , il più delle volte poverissimo ed analfabeta, come una sorta di “superman” che difendeva dalle ingiustizie e vinceva l’eterna lotta tra il Bene e  il male. Impersonificato nel demonio forse era l’idea di sopruso del potente sull’umile. Ma non bisogna sottovalutare la fede sincera anche se semplice dei nostri progenitori, la devozione, il raccomandarsi a Dio attraverso i “gradini” della scala che conduce al Signore, o della tradizione della Benedizione degli animali, che si traduce in un momento festoso in cui anziani e bambini si incontrano, per il tramite dell’affetto nei confronti degli animali domestici e chiedono a Dio la protezione pregando Sant’Antonio Abate.

 

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