COMUNANZA – Venerdì 24 Gennaio 2025, alle ore 18:00, il vescovo Gianpiero Palmieri ha visitato, per la prima volta, la nuova sede vicariale della Caritas della Vicaria Beata Assunta Pallotta, ubicata presso i locali parrocchiali della comunità di Santa Caterina di Alessandria in Comunanza.
A seguire il prelato ha presieduto la Santa Messa, che è stata concelebrata anche da don Luca Rammella, vicario foraneo e parroco delle comunità di Force, Comunanza e Montemonaco, dal diacono Natalino Marinozzi, coordinatore vicariale di Caritas, dai numerosi volontari, che dedicano con costanza il loro tempo alla Caritas locale, e dall’assemblea dei fedeli riunita appositamente per l’occasione. Presente anche don Pino Raio, vicario parrocchiale delle comunità di Force, Comunanza e Montemonaco, che ha raggiunto la sede dopo aver celebrato la Messa a Force.
Queste le parole del vescovo Gianpiero Palmieri durante l’omelia: «È molto bello il Vangelo che capita in questa giornata in cui siamo qui a celebrare l’Eucaristia in questo luogo che è fatto di carità, solidarietà, prossimità gli uni agli altri, di discrezione, gentilezza, un luogo dove si viene perché si ha bisogno di qualcosa, che si tratti di oggetti materiali o che si tratti di ascolto. In fondo, in fondo, qualunque cosa chiediamo è sempre l’ascolto quello che cerchiamo. Questo è un luogo dove le persone contano, non perché sono dei numeri, ma perché sono persone. Quando Gesù nasce, l’imperatore del mondo, che era l’imperatore di Roma, decide di fare il censimento, cioè calcolare con il numero quanti fossero i suoi sudditi. Gesù invece non ragiona così. Per Gesù, ognuno ha un nome. E allora Gesù, tra il gruppo dei suoi discepoli, ne sceglie 12. È un gesto importante quello, perché Israele è nato dai 12 figli di Giacobbe. Se Gesù sceglie 12, è perché vuole dire che c’è un nuovo Israele che Lui è venuto a fondare, un nuovo popolo, un popolo di Dio, un nuovo Israele. Ed ecco che questi 12 uomini rappresentano i 12 figli di Giacobbe, i dodici capo tribù. Di ciascuno di loro, noi sappiamo vizi e pregi. Hanno tanti vizi, ma sono tutti Santi: San Pietro, San Giovanni, San Giacomo, tranne l’ultimo, Giuda Iscariota. Santi significa che hanno vissuto il loro cammino con il Signore a partire non da un io ideale, ma dalla concretezza della loro vita, fatta di pregi e di limiti, fatta di vizi e di virtù. Ma, nonostante questo, si sono messi in cammino dietro a Gesù, per Gesù e con Gesù. Questi non sono numeri: 12 Apostoli. No, sono persone, ognuna con le sue caratteristiche uniche. E il Vangelo si mette a raccontare qualcosa di ciascuno di loro. Di Simone, ad esempio, sappiamo che Gesù gli ha dato il soprannome di Pietro. La cosa di per sé fa ridere, perché Simone è molto fragile: è quello che rinnega, è quello che ha paura, è quello che vive di slanci e poi se ne pente immediatamente. È tutt’altro che una pietra. Eppure Gesù lo chiama Pietro e, se ci fate caso, con l’acutezza Gesù lo chiama Simone, quando sta per sottolineare la sua fragilità, e lo chiama Pietro, quando si tratta di sottolineare quello che Simone è chiamato a diventare: la pietra, la pietra d’angolo, il punto d’appoggio per la sua comunità. Giacomo e Giovanni sono definiti all’inizio “i figli del tuono”, proprio perché sono personaggi impetuosi. Forse vi ricorderete che a un certo punto, quando un villaggio di Samaritani rifiuta Gesù, questi due si avvicinano a Gesù, dicendogli: “Signore, permettici di far scendere su di loro un fuoco che distrugga tutti!”. Gesù li guarda e li rimprovera. Figli del tuono significa questo: impulsivi, vendicativi, gente che, finché non impara una modalità nuova di vivere e di vivere la fraternità, non è adatta; ma appunto Gesù li renderà adatti. Giacomo scriverà una lettera bellissima che, per tutti quelli che lavorano come volontari nella carità, è il pane quotidiano, è proprio la lettera sulla concretezza della Carità, insieme al vangelo di Giovanni, che è il Vangelo dell’Amore. Giacomo e Giovanni, però, non ci sono arrivati da soli. Si sono messi in cammino con la loro vita, con la concretezza della loro esistenza, e si sono lasciati plasmare il cuore dal Signore. E così tutti gli altri: Tommaso, l’incredulo; Matteo, attaccato ai soldi; Simone, lo zelota, cioè il rivoluzionario guerrigliero, quello che non vedeva l’ora di fare strage di soldati romani; … E così via fino a Giuda, che Gesù cercherà fino all’ultimo di convertire, fino al momento del bacio nel getsemani, quando gli dirà “Amico”, fino alla fine, anche nel momento del tradimento. Ecco allora la terapia di Gesù: vuole fare di loro delle persone nuove. E Gesù oggi vuole fare lo stesso con noi, vuole fare anche di noi delle persone nuove. La vita di tutti i giorni, vestita con Gesù, è un ottimo modo con cui il Signore ci fa nuovi».
Il vescovo Gianpiero poi, commentando la Prima Lettura, la Lettera agli Ebrei, ha parlato dell’alleanza nuova tra Dio e il popolo, «un’alleanza – ha detto – in cui la legge, Dio non ce la dice solo da fuori, ma ce la scrive nel cuore, affinché possiamo viverla non come un’imposizione esterna a cui obbedire, ma come un desiderio che viene da dentro. Ecco perché Gesù fa un itinerario di guarigione del cuore: Pietro, Giacomo, Giovanni, Matteo, Tommaso, proprio perché si sono sentiti molto amati, hanno sperimentato il cuore di pietra che si spacca e hanno sperimentato un cuore nuovo, dove la Parola di Dio non era scritta fuori, ma dentro, dove fare il bene non nasceva dall’obbedienza a un comandamento, ma nasceva da un impulso che viene da dentro: lo Spirito Santo, Colui che scrive la Parola di Dio nel nostro cuore».
Di questo itinerario di guarigione del cuore parlava anche San Francesco di Sales, dottore della Chiesa e vescovo di Ginevra, in Svizzera, di cui mons. Palmieri ha ricordato i tratti salienti: «Il Santo, che oggi la Chiesa ricorda, parlava spessissimo dell’Amore di Dio, del suo insegnamento e dei poveri. In un periodo di grandi tensioni tra cristiani cattolici e cristiani calvinisti, Francesco cerca di andare al di là degli schieramenti e delle fazioni per poter ritornare ad una Chiesa unita, una, unica. E lo faceva senza avere alcun potere, ma solo parlando della dolcezza dell’amore di Dio e di questo itinerario di guarigione del cuore che Gesù ha voluto far fare i suoi discepoli e vuol far fare anche a noi»
Ha poi concluso il vescovo Gianpiero: «Carissimi, questo è un luogo, non solo di carità, ma anche di guarigione del cuore. Qui si viene magari con l’idea di fare del bene a qualcuno o perché si ha bisogno di aiuto e qui si dovrebbe uscire con il cuore un po’ più guarito. Chi aiuta gli altri, perché non si sente superiore, bensì sente la prossimità e la vicinanza con tutti. Chi si sente aiutato, perché non è umiliato, non è offeso, bensì trattato con dolcezza, delicatezza e rispetto.
La Caritas di tutta Italia in questi ultimi anni ha registrato un grande cambiamento: si è passati da tante persone che chiedevano un aiuto materiale a tante persone che chiedono di essere ascoltate. Condividere la vita è diventata la prima richiesta. In quella stanza che voi avete da poco inaugurato non c’è chi ascolta e chi parla, ma tutte e due le persone ascoltano e parlano. Ognuno di noi, infatti, ha qualcosa da condividere: un momento difficile o un’esperienza di vita positiva. Ricordo che una volta, mentre ero fermo ad un semaforo, è venuto un ragazzo bengalese che mi voleva lavare il vetro. Una volta che ha finito, ho abbassato il finestrino e gli ho chiesto: “Come ti chiami?”. Mi sembrava bello fare questa domanda. Non sono numeri gli altri, sono persone, hanno un nome, posso guardarli negli occhi. Il giovane molto gentilmente mi ha risposto e l’ho visto contento. Stavo per andare via, ma lui mi ha fermato e mi ha chiesto: “Scusami, ma tu come ti chiami?”. Vedete come è importante guardarci negli occhi e chiamarci per nome? Gesù faceva così. Lui non aveva 12 Apostoli. Aveva Pietro, Giacomo, Matteo, Giovanni, ognuno con la sua storia, ognuno unico. E così impariamo a trattarci tra di noi in questo luogo. Grazie a tutti per quello che si fa qui, sia a chi dà sia a chi ha l’umiltà di chiedere. Grazie, grazie davvero a tutti!».
Al termine della celebrazione, il parroco don Luca Rammella ha ringraziato tutti coloro che hanno permesso la realizzazione del nuovo centro di ascolto: il Consorzio BIM Tronto, attraverso il suo presidente Luigi Contisciani; la Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, attraverso l’allora vescovo Carlo Bresciani; tutte le persone che hanno contribuito economicamente alla realizzazione di questo spazio di ascolto, dialogo e confronto, che rende la comunità cristiana più prossima a tutti coloro che sono in difficoltà e si sentono segnati dalla vita.
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