DIOCESI – Si è tenuto ieri, 29 Gennaio 2024, presso la Sala Morgante di Casa Regina Apostolorum, in Ascoli Piceno, un corso di formazione rivolto ai giornalisti dal titolo “Intelligenza Artificiale e prospettive per i giornalisti. Miti e realtà nell’era dell’IA“.
Nell’occasione abbiamo intervistato il prof. Giovanni Tridente, docente presso la Pontificia Università della Santa Croce e autore di “Anima digitale. La Chiesa alla prova dell’intelligenza artificiale“.
Negli ultimi anni ha tenuto, in diversi contesti e in molte regioni italiane, numerosi convegni sulle sfide e sulle opportunità dell’Intelligenza Artificiale. Qual è la situazione in Italia?
Nei vari eventi, organizzati da associazioni, istituzioni e diocesi, ho notato una grande sete di saperne di più di questi argomenti: molti, infatti, sono all’oscuro di quello che c’è dietro all’Intelligenza Artificiale. Spesso noi diamo per scontato di conoscere bene queste nuove tecnologie o comunque di saperne abbastanza oppure crediamo sia sufficiente limitare la conoscenza dell’Intelligenza Artificiale al solo utilizzo ludico dello strumento ChatGPT o simili. È invece necessaria una nuova alfabetizzazione anche in questo contesto, divulgare ad un vasto numero di persone alcune informazioni basilari: quando è nata l’Intelligenza Artificiale; come è evoluta; come incide nella vita di tutti i giorni. Solo partendo da questa consapevolezza, noi saremo capaci di adottare dei sistemi per preservarci dai pericoli, ma soprattutto potremo valorizzare i progressi di queste tecnologie che, in molti ambiti, miglioreranno le nostre abilità, in quanto su alcuni aspetti la macchina fa molto meglio dell’uomo.
Di questo dovremmo preoccuparci? Arriverà un futuro in cui le macchine sostituiranno l’uomo? C’è il rischio che una macchina riesca a pensare come fa un essere umano?
L’Intelligenza Artificiale è una disciplina dell’Informatica che si occupa di algoritmi e software che consentono a delle macchine di compiere attività in grado di imitare l’Intelligenza Umana, non di sostituirla. Per spiegare meglio il concetto, mi viene in aiuto un pensiero di Luciano Floridi, filosofo italiano ormai trasferito a Yale, il quale parla dell’Intelligenza Zero legata alle macchine, perché le macchine fanno delle cose ma non ne capiscono il senso, al contrario dell’uomo, che invece ha entrambe le qualità, quindi agisce e capisce. Partendo da questa consapevolezza, siamo chiamati a comprendere la differenza tra prodotto e processo. Il prodotto è il risultato che ci viene dallo strumento, è il frutto dell’agire, il frutto di un calcolo potente, veloce, ampio, che però manca della capacità intellettiva dell’essere umano, delle sue emozioni, della sua capacità relazionale. Il processo, invece è il frutto del pensare: Da dove viene?; Chi l’ha fatto?; Perché?. Distinguere tra prodotto e processo consente di evitare il rischio di dare alle macchine delle sembianze umane o comunque di attribuire loro qualcosa che abbia a che fare con l’intelligenza. In tal senso, utilizzare il termine “Intelligenza Artificiale” senza comprendere questa distinzione basilare, è fuorviante e può effettivamente fuorviare, perché di intelligente in una macchina c’è veramente ben poco. Le macchine, pertanto, non riusciranno mai a pensare, ad avere cioè la capacità di creare processi, una capacità che appartiene solo all’essere umano.
Quali sono dunque le sfide e le opportunità che l’Intelligenza Artificiale ci pone davanti?
I vantaggi dell’Intelligenza Artificiali sono molteplici: l’automazione, la velocità, la precisione, la correlazione tra dati e la riduzione dei costi. Per quanto riguarda invece le criticità, mi fa piacere che lei abbia usato la parola sfide e non rischi. Parlare di rischi, infatti, può significare anche una sorta di deresponsabilizzazione verso quello che è il nostro compito, ovvero conoscere meglio i sistemi di Intelligenza Artificiale, utilizzarli con creatività e attuare una sorta di responsabilità personale. Dire rischi è un po’ delegare ad un altro la soluzione del problema. Una soluzione che, in questi termini, non arriverà. Dire sfide, invece, ci chiama in causa direttamente e ci stimola ad agire per ottenere la giusta soluzione. Le sfide riguardano dunque la privacy e la sicurezza, la possibilità che si creino gruppi e quindi discriminazioni o emarginazioni, oltre che un possibile uso improprio della tecnologia. Ma, come sempre è accaduto nella storia, siamo chiamati ad abbracciare il cambiamento con fiducia e non con paura. Immagino che, quando è stata introdotta l’energia elettrica, alcune persone avranno detto: “È pericoloso: se tocchi con il dito la presa, può prendere la scossa”; “E adesso che lavoro faranno quelli che hanno il compito di accendere le lanterne ad olio o a petrolio nelle strade la sera?”. Eppure oggi sarebbe inimmaginabile non avere la corrente elettrica in casa o nelle strade!
Mi pare di cogliere nei confronti delle nuove tecnologie un approccio colmo di speranza, proprio come papa Francesco ci chiama a fare in questo Anno Giubilare. Come possiamo tradurre la nostra brama di speranza in questo contesto?
Questa visione cristiana di speranza è qualcosa di concreto e non utopico, quindi trova applicazione in ogni campo della vita. Nel contesto dell’Intelligenza Artificiale, siamo chiamati ad essere né troppo entusiasti né troppo preoccupati, bensì ad avere un approccio equilibrato nei confronti del nuovo che avanza. La speranza, dunque, la traduciamo in un sano realismo, in un atteggiamento che non ci fa cadere nel tranello del facile entusiasmo, ma neppure in quello del pessimismo assoluto. E consiste in tre chiavi d’azione: conoscere, utilizzare con creatività e attuare una sorta di responsabilità. In questa visione di futuro noi vogliamo ottenere da questi strumenti, che sono sempre frutto del nostro ingegno, ciò che ci migliora, ciò che ci qualifica e ciò che ci fa crescere e sviluppare come l’umanità. Ecco perché ciascuno è chiamato a fare la propria parte: per quanto concerne l’educazione, i singoli cittadini si impegnino nella formazione; per ciò che riguarda l’economia, le aziende pensino allo sviluppo; per quanto attiene all’etica, i Governi pensino alla regolamentazione. In tal modo l’Intelligenza Artificiale, come molti strumenti tecnologici del passato, non potrà fare altro che migliorare la vita dell’uomo.
Per quanto attiene al mondo della Comunicazione, qual è la sfida principale a cui l’Intelligenza Artificiale chiama noi giornalisti?
L’Intelligenza Artificiale, nel campo del giornalismo, sta lanciando un campanello d’allarme per dire che bisogna tornare a fare quello che si è sempre fatto: il giornalista racconta dei fatti, perché li mette in un contesto e perché partecipa di quello che accade. Questo può avvenire, ad esempio, quando si fa un resoconto o un reportage di un’iniziativa. Se la sintesi invece viene delegata soltanto alle macchine o soltanto a un racconto asettico, banalissimo che la macchina fa molto meglio, ma senza dargli un’identità, allora il giornalista sta automaticamente danneggiando se stesso e la professione in generale. Si tratta di riconquistare anche il senso ed il tempo della propria professione. Dedicare delle energie a sedimentare la comprensione dei fatti e a poterla raccontare, conoscendo anche quale sia il pubblico di riferimento, è, senza dubbio un’azione che richiede del tempo ulteriore che, però può essere recuperato utilizzando l’Intelligenza Artificiale per automatizzare dei processi ripetitivi, come, ad esempio, la trascrizione o il sunto di un testo. La sintesi di un documento, invece, intesa come elaborazione dei dati in chiave critica, che prevede quindi una capacità di riflessione e di approfondimento, potrà essere affidata sempre e solo ad un essere umano in carne ed ossa.
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