Di Giovanna Pasqualin Traversa
Educare al bene, al bello, alla speranza. Dal palcoscenico di un teatro. E’ possibile? Sì, secondo Cristina Odasso, a condizione di selezionare i lavori da mettere in scena, pur andando controcorrente, e di essere autentici, vivendo in prima persona quanto si vuole trasmettere. “Illuminare il cuore delle persone” ed “insegnare ad attendere perché bellezza, speranza e attesa sono strettamente collegate,” la mission di Michele La Ginestra. In occasione del Giubileo degli artisti (15-18 febbraio), abbiamo raccolto la loro testimonianza.
“Per me la speranza è un qualcosa che va oltre noi stessi, che prescinde da noi e dalla realtà che ci circonda; ci supera, umanamente, perché viene da Dio. Ma bisogna avere il cuore aperto per accoglierla”.
(Foto Luca Brunetti/SIR)
Non ha dubbi l’attrice Cristina Odasso. “Speranza – afferma – è anche guardare al futuro andando controcorrente. Di fronte al pessimismo e alla rassegnazione imperanti, è impegnarsi e abituarsi a
vivere nella speranza e di speranza, gettando semi di bene e di possibilità che le cose, dentro di noi e intorno a noi, possano cambiare”.
In questo senso, Odasso si dice convinta sia possibile “trasmettere speranza dal palcoscenico ma occorre avere la volontà di farlo. Gli attori, i registi, i cantanti, come tutti gli artisti, grazie alla loro visibilità hanno una grande responsabilità – spiega -. Noi, attraverso l’arte, abbiamo la possibilità di emozionare l’altro, fargli vivere una vita parallela, farlo entrare in una storia da raccontare. L’attore, o meglio l’artista a tutto tondo, ha un megafono davanti a sé, anzi egli stesso diventa megafono. Nel bene e nel male”. Secondo l’attrice, molte opere teatrali, cinematografiche, musicali oggi “prediligono il noir, il morboso, lo splatter, nella convinzione – errata – che una storia lieto fine, o comunque edificante, debba essere per forza banale o scadere nel sentimentalismo mieloso. Sembra preferibile far uscire il pubblico da un teatro o da un cinema con l’angoscia del cuore. E’ come se si avesse paura dei ‘buoni sentimenti’”. Occorre invece
“imparare a parlare del bello e della speranza in modo autentico e incisivo, senza essere retorici o banali”.
Ma “bisogna volerlo, operando scelte precise all’interno delle proposte che si ricevono”. Odasso confessa che le piacerebbe “far parte di progetti ‘belli’ non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello artistico e dei contenuti; progetti in grado di trasmettere messaggi di vita buona, che aiutino a costruire e non a demolire”. Ma, avverte. “la domanda è:
quanto siamo disposti ad investire per costruire opere teatrali, cinematografiche, musicali che abbiano la capacità di educare e spingere al bello, al bene e così, automaticamente, anche alla speranza?
Per me – conclude l’attrice – speranza fa rima con bellezza; è il massimo grado della bellezza, ma ad essa occorre educare fin da piccoli perché la speranza unisce, crea legami e getta ponti verso il futuro”.
“Avverto il mio mestiere come una missione, una necessità di mettere a disposizione degli altri il talento artistico che ho ricevuto”. A parlare è Michele La Ginestra, attore, regista e direttore del Teatro 7 di Roma.
Foto Tv2000
“Noi artisti abbiamo il compito di donare bellezza. Abbiamo la possibilità di comunicare agli altri attraverso la nostra arte un messaggio, dal palcoscenico e non solo; anche attraverso la scultura, la musica, la pittura, il cinema perché ogni forma d’arte serve ad illuminare l’uomo tramite una bellezza che colpisce senza troppi ragionamenti. Abbiamo il privilegio di arrivare con immediatezza al cuore delle persone, ma questa è anche una grossa responsabilità: l’arte può essere un’arma a doppio taglio che dobbiamo saper maneggiare con cura e nel modo giusto”. “Arrivato alla tenera età di sessant’anni – prosegue l’attore – ultimamente sto facendo
spettacoli che possano illuminare il cuore del mio pubblico,
che possano portarlo ad un confronto e ad una riflessione: è questo il compito del teatro”.
Secondo La Ginestra, “il regalo di questo Giubileo, la speranza, non va disgiunto dall’attesa che è un volgere l’animo, un tendere a qualcosa di bello”. Anche dal palcoscenico,
“insegnare a sperare e ad attendere è un compito al quale noi artisti non possiamo sottrarci”.
Come si coniugano insieme speranza e bellezza? “La bellezza sta all’interno di ognuno di noi, anche se spesso non ne siamo consapevoli. Siamo un’opera d’arte, ma ancora in forma grezza, che dobbiamo limare e ripulire da quel superfluo che ci impedisce di esprimerci pienamente e di avere consapevolezza del nostro valore. Un lavoro che richiede pazienza, attesa, come quando si aspetta lo sbocciare di una rosa che stiamo coltivando. Oggi non sappiamo più attendere perché siamo a corto di speranza. Bellezza, attesa, speranza per me sono strettamente collegate. Ed è quello che tento di trasmettere al mio pubblico”.