In occasione dell’assemblea costituente “La rete di Trieste. (Perfino) più di un partito”, che si è svolta a Roma, presso la Domus Mariae, venerdì 14 e sabato 15 febbraio, abbiamo incontrato Giuseppe Notarstefano, presidente dell’Azione Cattolica Italiana, ricercatore strutturato in Statistica Economica, docente alla LUMSA di Palermo, esperto di Economia Civile, promotore di numerose attività di formazione, ricerca e animazione culturale con le scuole e le università siciliane, membro della redazione di varie riviste.
Politica, partecipazione, disuguaglianze, pace e fine vita: questi i temi principali affrontati. E un saluto speciale ai lettori delle comunità del Piceno.
Cos’è la Rete di Trieste e quali obiettivi si pone?
È indubbiamente uno dei frutti più interessanti della 50esima Settimana Sociale, uno dei molti processi e percorsi che il Comitato scientifico e organizzatore ha saputo preparare, attivare e che sta accompagnando con lungimiranza. Un lavoro quotidiano di formazione e animazione in stretta collaborazione anche con la Pastorale sociale e del lavoro delle diocesi italiane che in questi anni hanno saputo interpretare un percorso di ripensamento teorico e metodologico, lasciandosi provocare dal magistero di Papa Francesco.
La Rete di Trieste nasce con il desiderio di mettere insieme questa voglia comune di ritrovare la politica come argomento di discussione e di farlo mettendo al centro la capacità di costruire insieme. L’obiettivo, quindi, è quello di ritrovare la strada di un nuovo protagonismo civile e politico dei cattolici che sono in Italia. Un capitale sociale e spirituale messo a disposizione in forme differenti e articolate nello spazio pubblico e nella vita economica e sociale per la promozione di una cultura della cura e della vita, dell’inclusione e dell’accoglienza, della partecipazione e della responsabilità al servizio della Repubblica di tutti i cittadini. Vogliamo ritrovare insieme il cuore della democrazia. E rigenerare la vita democratica vuol dire mettersi in ricerca di modalità partecipative e di esperienze di cittadinanza attiva, di luoghi dove ritrovarsi e potersi parlare con franchezza e rispetto, recuperando la dialettica e il confronto come elemento necessario perché ciascuna persona possa prendere parte alla discussione pubblica. I cristiani impegnati in politica, così, potranno concorrere in maniera significativa a innalzare la qualità della dialettica democratica, un cambiamento di cui si avverte così tanto il bisogno.
Qual è stato il contributo dell’assemblea costituente che si è svolta a Roma pochi giorni fa, in particolare su come evitare le polarizzazioni e lavorare invece per l’unità?
L’incontro di Roma è stato entusiasmante, ricco di argomenti interessanti e segnato da una grande partecipazione. Ha rappresentato, senza dubbio, un tassello importante nel cammino che stiamo percorrendo per portare avanti questo progetto nel migliore dei modi.
Le questioni analizzate sono state tante, tra le quali anche i meccanismi di coordinamento e le modalità operative che dovranno partire dal basso: in questo progetto, infatti, è grande e centrale il desiderio di un’operazione partecipata. Come ho detto nel mio discorso introduttivo all’incontro di Roma, sono convinto personalmente che in ciò siamo incoraggiati dallo stile sinodale a cui tutta la Chiesa oggi si sente chiamata. Ci è vitale una nuova fraternità, necessaria per riprendere con coraggio itinerari di dialogo e di confronto a ogni livello istituzionale e civile. Ai laici cristiani è chiesto un lavoro culturale e artigianale di intreccio e di tessitura in un contesto fortemente polarizzato, attraversando la complessità che c’è e che non può essere ridotta o banalizzata per appagare le esigenze di una comunicazione che tende a semplificare e a mettere continuamente in scena lo scontro. La buona politica, la politica con la P maiuscola, deve ritrovare la sapienza di abitare quello spazio storico che si contende l’immediatezza di risposte concrete e il tormento di soluzioni migliori o impossibili. Siamo chiamati ad assumere una postura generosa e disinteressata, con la gioia spirituale di partecipare a un lavoro di costruzione di un noi più grande. Come suggerito dalla Fratelli Tutti, cominceremo dal basso e, caso per caso, lotteremo per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo (Fratelli Tutti, 78). E, per entrare nella concretezza delle azioni, sarà necessario tradurre il pluralismo che c’è, non già in una spinta a misurare le distanze, ma in un’occasione per riscoprire il valore alto del confronto politico come strumento attraverso cui individuare il perimetro di un’agenda di questioni e sfide comuni, che richiedono una rinnovata capacità non solo di cercare insieme risposte efficaci, ma di maturare insieme nuove visioni di futuro. Per fare questo sarà necessario continuare la riflessione, presentare ordini del giorno su temi comuni, approfondire la formazione, tutti percorsi importanti a cui verrà dato corpo.
Tra le tante sfide per il futuro, quella del superamento delle disuguaglianze e del perseguimento della pace occupa un posto speciale anche nell’agenda dell’Azione Cattolica. Come si è concluso il mese della pace a livello associativo?
Durante l’incontro di Roma, in molti hanno sottolineato la necessità di ricostruire istituzioni giuste, capaci di custodire e garantire la pace tra i popoli, riducendo le disuguaglianze economiche e sociali, attraverso politiche pubbliche che focalizzino di più la centralità della persona e il primato delle relazioni. Come associazioni ecclesiali, abbiamo sentito il bisogno di ritrovarci ed esprimere un giudizio comune su tali grandi questioni, elaborando due documenti sulla urgenza della pace e sulla necessità di riforme costituzionali condivise, documenti che abbiamo voluto offrire come nostro contributo a questo lavoro corale che sono le Settimane Sociali.
Come ci ricorda spesso Papa Francesco, siamo chiamati a costruire la pace come piccoli artigiani, con un paziente lavoro quotidiano, fatto di comportamenti corretti e improntati al dialogo, di gesti concreti di accoglienza e solidarietà, di azioni e parole che sappiano di prossimità. In questo momento la nostra trepidazione è per i numerosi conflitti in corso nel mondo, situazioni complesse in cui a pagare sono sempre i bambini, i fragili. Quindi è importante unirci in questa azione del Santo Padre e del cardinale Zuppi, affinché si ritrovi la via diplomatica. In questo momento sentiamo debole la voce degli organismi internazionali: ci sono iniziative, ma sono unilaterali; manca la capacità di una risposta più corale, istituzionale. Sarebbe bene, invece, che si ritrovasse questa via più istituzionale. Ci auguriamo che la politica riesca a porre questioni così importanti con una rinnovata energia e soprattutto riesca a lavorare per costruire una solida architettura di pace. A noi, al mondo delle associazioni, delle realtà associative, spetta il compito formativo: non possiamo rassegnarci ad una cultura della guerra; dobbiamo quindi lavorare per una cultura della pace e lo possiamo – anzi lo dobbiamo – fare anche prendendoci cura della nostra democrazia.
Come valuta la legge approvata di recente dalla Regione Toscana sul fine vita?
Ci sono alcune questioni importanti che riguardano l’inizio e la fine della vita, questioni anche antropologiche, che non riescono ad essere sostenute da una logica bipolare a cui spesso la politica si riduce. Argomenti di tale portata, infatti, finiscono per riaccendere una contrapposizione ideologica che poi si scontra con la realtà della vita. Onestamente credo che l’iniziativa in Toscana sia quantomeno intempestiva: è vero che va a colmare un vuoto legislativo, ma argomenti del genere non andrebbero affrontati in questo modo. La questione su cui porre attenzione, quindi, è anche di carattere formale e riguarda le modalità procedurali. Il tema poi ci sta tutto e c’è bisogno di ulteriori approfondimenti. In tal senso il recente magistero sta facendo molto. C’è stata anche una bella riflessione dell’Accademia della Vita che offerto delle coordinate per rimettere al centro le questioni vere che riguardano la persona. Il centro della discussione è come custodire e tutelare la vita, anche quando questa si fa fragile, anche quando questa si fa difficile da sostenere. La questione è delicata, ma da parte nostra c’è la volontà di continuare a confrontarci con chi la pensa diversamente, per trovare una regolazione che sia davvero capace di partire dalla tutela delle posizioni più deboli, che poi, in definitiva, è il fine della politica.
Che messaggio vuole inviare ai lettori delle Diocesi del Piceno?
Alle comunità delle Diocesi del Piceno mando un saluto davvero affettuoso. Non so quando capiterà l’occasione di tornare nuovamente nelle vostre belle città, ma certamente troveremo o creeremo un’opportunità per venire nuovamente a trovarvi.