Caritas diocesana San Benedetto: è preoccupante il fatto che tanti giovani sembrano non innamorarsi più!

Lettera della Caritas diocesana

DIOCESI – Abbiamo appena vissuto la Festa di San Valentino. Il 14 febbraio infatti, mentre la chiesa celebra i santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa, la gente festeggia San Valentino, il santo degli innamorati. Chissà se tutto questo sta a dire che la vocazione della Chiesa è quella di evangelizzare, però tale missione può metterla in atto solo chi sa innamorarsi. Forse per questo papa Francesco ci ha regalato la lettera enciclica “Dilexit nos” in cui invita la Chiesa e la stessa società a riscoprire la “dimensione del cuore”. Egli scrive: “In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte. Ma ci muoviamo in società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede. Nella società di oggi, l’essere umano «rischia di smarrire il centro, il centro di se stesso». [6] «L’uomo contemporaneo, infatti, si trova spesso frastornato, diviso, quasi privo di un principio interiore che crei unità e armonia nel suo essere e nel suo agire. Modelli di comportamento purtroppo assai diffusi ne esasperano la dimensione razionale-tecnologica o, all’opposto, quella istintuale». [7] Manca il cuore” (n.9).

Probabilmente è questa “mancanza di cuore” che sta dietro alla crescente violenza, spesso e volentieri per futili motivi, che tocca la vita di gruppi di giovanissimi, frutto e conseguenza anche di quella conflittualità, troppo spettacolarizzata, che il mondo degli adulti vive da tempo. Il metodo della “repressione”, invocato da più parti, certamente non basterà per una inversione di rotta. Più fruttuoso sarà un investimento, da parte di tutte le componenti delle realtà ecclesiale e sociale, “sull’educazione”. L’installazione di telecamere per le vie delle città e dei paesi, la maggiore presenza delle forze dell’ordine, l’imporre limiti alla consumazione di alcool e stupefacenti, sono iniziative importanti, non sono sufficienti né risolutive.

Tornando alla festa di S. Valentino, è preoccupante il fatto che tanti nostri ragazzi e giovani sembrano non innamorarsi più. Da dove nasce questa “atrofizzazione del cuore”? Dall’esperienza del disastrato mondo affettivo di tante nostre famiglie? Dalla dilagante mentalità del “tutto e subito” che porta a rifiutare percorsi impegnativi che richiedono il sacrificio, il donarsi, il morire per l’altro, prima ancora che sperimentare forti emozioni? Dall’essere continuamente chini sui propri cellulari, intenti ad interagire con il virtuale, ma incapaci di guardare negli occhi una persona e costruire, con gioiosa fatica, una relazione reale investendo sul “tutto e il per sempre”?

Certamente è importante ripatire dal cuore, “affermare” che abbiamo un cuore, “che il nostro cuore coesiste con gli altri cuori che lo aiutano ad essere un “tu””. A tal proposito, sempre nella lettera enciclica “Dilexit nos”, il papa cita Romano Guardini quando descrive Stavroghin, un personaggio senza cuore di un romanzo di Dostoevskij: “Stavròghin non ha cuore; perciò il suo spirito è freddo e vuoto e il suo corpo s’intossica nella pigrizia e nella sensualità “bestiale”. Perciò egli non può incontrare intimamente nessuno e nessuno incontra veramente lui. Poiché solo il cuore crea l’intimità, la vera vicinanza tra due esseri. Solo il cuore sa accogliere e dare una patria. L’intimità è l’atto, la sfera del cuore. Ma Stavròghin è distante. […] Infinitamente lontano anche da sé stesso, poiché interiore a sé l’uomo può esserlo soltanto col cuore, non con lo spirito. Essere interiore a sé con lo spirito non è in potere dell’uomo. Ora, se il cuore non vive, l’uomo rimane estraneo a sé stesso” (n. 12).

Tornerà a farsi spazio la speranza che non delude, nella Chiesa, nelle nostre Caritas e in questa nostra società, se sapremo “mettere il cuore” nelle cose che diciamo, nelle azioni che compiamo, negli sguardi che doniamo. Per questo motivo, nell’anno giubilare che stiamo vivendo, come suggerito dal vescovo Gianpiero, desideriamo aprire una ‘porta di speranza’, coinvolgendo le nostre comunità, il mondo del volontariato, ma anche le diverse componenti della società civile, per riflettere sul bene comune e proporre ‘buone prassi’ riguardanti la solidarietà, la condivisione, la gratuità.

Siamo certi che nel cuore di Cristo troveremo la forza per costruire, insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, una “società altra”, capace di non scartare nessuno e di rispettare la dignità di ogni essere umano.  Cosi infatti conclude il papa la sua enciclica: “Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini. L’amore di Cristo è fuori da questo ingranaggio perverso e Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito. Egli è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre. Ne ha bisogno anche la Chiesa, per non sostituire l’amore di Cristo con strutture caduche, ossessioni di altri tempi, adorazione della propria mentalità, fanatismi di ogni genere che finiscono per prendere il posto dell’amore gratuito di Dio che libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità. Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità”. (DN 218/219)

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