Guerra in Ucraina: quando la diplomazia è in crisi, De Gasperi torna a essere un faro

A tre anni dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il mondo assiste a un cambiamento radicale nelle relazioni internazionali. Se all’inizio del conflitto la diplomazia sembrava ancora uno strumento utile per contenere l’escalation, oggi emerge sempre più chiaramente una tendenza alla contrapposizione frontale e alla tracotanza nelle relazioni tra Stati. Un episodio emblematico di questo mutamento è stato il confronto  tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky nella Sala Ovale, un incontro che ha segnato un punto di rottura nel metodo diplomatico tradizionale.

Il presidente Trump, nel corso dell’incontro, ha adottato un atteggiamento assertivo e metodi inusuali, mettendo in difficoltà il presidente ucraino e inserendo il confronto in una logica politica interna agli Stati Uniti. Invece di favorire un dialogo costruttivo o di rafforzare il sostegno all’Ucraina in un momento cruciale, ha condotto la conversazione in modo da ridurre le opportunità di una cooperazione diplomatica efficace, lasciando in secondo piano il principio del rispetto reciproco e la ricerca di soluzioni condivise.

L’episodio è la dimostrazione di come, negli ultimi anni, la diplomazia sia diventata sempre più una questione di potere e imposizione, piuttosto che un’arte di mediazione e costruzione di relazioni durature. Si è passati da un mondo in cui gli accordi venivano tessuti con pazienza e strategia a un contesto in cui prevalgono le dimostrazioni di forza e gli scontri retorici.

Zelenskyy – Trump – Vance

Di fronte a questo scenario, diventa urgente riscoprire il valore della prudenza, una virtù spesso sottovalutata ma essenziale per la politica e la diplomazia. Tra le virtù morali —giustizia, fortezza, temperanza— si tende a considerare la giustizia come la più importante, soprattutto nella società odierna. Eppure, è proprio la prudenza a rappresentare la qualità più necessaria per chi governa e per chi media tra nazioni.

Già i filosofi antichi la consideravano una virtù sociale, necessaria ai “custodi” della polis affermava Platone e guida dell’uomo nella ricerca del suo fine ultimo asseriva Aristotele. Cicerone la definiva la conoscenza del bene e del male, capace di ricordare il passato, esaminare il presente e anticipare il futuro. I Padri della Chiesa la elevarono a ragione applicata alla vita, e San Tommaso d’Aquino la descriveva come “la virtù più necessaria per la vita umana”, perché permette di agire non per impulso o passione, ma secondo una scelta razionale e retta.

La prudenza è la razionalità dell’agire, la capacità di ponderare le conseguenze delle proprie azioni, ed è inseparabile dalle altre virtù: regola la giustizia nei rapporti sociali, modera la temperanza nel dominio degli impulsi e sostiene la fortezza nelle difficoltà. È proprio ciò che manca nella diplomazia attuale, dominata dall’impulsività e dall’egoismo dei leader più che dalla lungimiranza strategica.

Se c’è una figura che incarnò la prudenza politica, quella fu Alcide De Gasperi. Dopo la Seconda guerra mondiale, dovette affrontare un’Italia devastata, isolata e diffidente agli occhi delle potenze occidentali. Eppure, con intelligenza politica e rigore morale, riuscì a ricostruire la credibilità del Paese, ponendo le basi per l’integrazione europea.

Nel suo celebre discorso a Parigi del 1946, parlando di fronte alle potenze vincitrici, De Gasperi non chiese pietà né trattamenti di favore, ma presentò con dignità e pragmatismo la necessità di reintegrare l’Italia nella comunità internazionale. La sua visione era chiara: la pace non si costruisce con imposizioni e arroganza, ma con la volontà di dialogare e di creare spazi comuni di crescita e cooperazione.

La politica, come la diplomazia, non può ridursi a una mera questione di interessi e potere. È un impegno etico, una responsabilità che richiede dedizione, competenza e coerenza. I cattolici, in questo contesto, hanno un ruolo fondamentale da svolgere, ma senza pretese di superiorità rispetto agli altri.

Non esistono privilegi né scorciatoie per una politica di ispirazione cristiana. Anzi, il vero impegno politico per i credenti è quello che si nutre della spiritualità della croce: un cammino che spesso incontra difficoltà e sconfitte, ma che si fonda sulla testimonianza, sulla coerenza con i propri principi e sull’ascolto delle esigenze della comunità.

Solo attraverso il confronto e il dialogo all’interno di una democrazia solida si possono rifondare le ragioni etiche della politica. Nessuno può imporsi con la sola forza della fede, ma è attraverso l’esempio concreto e l’impegno quotidiano che si può dare un contributo significativo. I cattolici non possono restare spettatori passivi: devono camminare insieme alla comunità cristiana, sentirsi parte attiva di essa e mettere al centro il bene comune.

Oggi, in un’epoca in cui i leader sembrano più preoccupati di affermare la propria supremazia che di costruire ponti tra i popoli, l’esempio di De Gasperi dovrebbe essere riscoperto e seguito. Il suo metodo, fatto di prudenza, lungimiranza e capacità di mediazione, è ciò di cui l’Europa ha bisogno per rimanere unita e per affrontare le sfide globali.

L’auspicio è che l’avvio del percorso per la sua beatificazione possa diventare anche un simbolo politico: un richiamo alla necessità di una diplomazia che non si riduca a teatrini mediatici o a scontri ideologici, ma che torni ad essere strumento di pace e progresso. Perché solo con una leadership capace di guardare oltre il proprio immediato tornaconto si potrà garantire un futuro stabile all’Europa e al mondo.

È proprio questo il messaggio da raccogliere: camminare insieme, costruire comunità e ritrovare nell’unità la vera forza per affrontare le difficoltà del presente.

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Marco Sprecacè:
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