La storia migratoria di Sonila, una vita di riscatto

 

Negli anni turbolenti intorno al 1992, un periodo segnato da profondi cambiamenti socio-politici in Albania, Sonila si trova a un bivio cruciale nella sua vita. Mentre l’onda migratoria si intensifica, alimentata da disordini e dalla speranza di un futuro migliore, la scelta di emigrare in Italia si insinua sempre di più nella sua mente.

Il desiderio di partire non nasce da una ricerca disperata di beni materiali, poiché nella sua casa questi non scarseggiano. A 21 anni, Sonila vuole fuggire da un ambiente oppressivo, dove la mancanza di libertà e di autodeterminazione per le donne è una realtà tangibile. Di fronte a rigide aspettative sociali e a una cultura che limita le sue aspirazioni, la sua decisione di partire rappresenta l’unica possibilità per affermare la propria identità. In questo articolo racconterò la storia migratoria di Sonila e la sua tenacia nel perseguire il sogno di libertà in terre straniere.

L’Albania vive il caos lasciato dalla lunga dittatura comunista, che si traduce in una grave crisi economica, diffusa criminalità. Molti, soprattutto giovani, organizzano la fuga attraversando l’Adriatico verso l’Italia, che rappresenta la porta d’accesso all’Europa.

Sonila vive a Tirana con i genitori e i cinque fratelli: due maschi e tre femmine. Uno dei fratelli è poliziotto, l’orgoglio del padre. Un giorno, nonostante non sia in servizio, viene chiamato d’urgenza per inseguire alcuni malviventi, ma rimane coinvolto in un incidente mortale. La famiglia è sconvolta, e il padre, caduto in una profonda depressione, continua a esercitare un’autorità inflessibile, pur senza più la lucidità di un tempo. La sorella maggiore, nonostante gli eccellenti risultati scolastici, deve sposare un uomo scelto dal padre. La stessa sorte attende Sonila, alla quale è stato destinato un carabiniere. Ma Sonila non accetta intrusioni nella sua vita e, in silenzio, progetta la fuga in Italia con la complicità di un’amica.

Nel giorno stabilito, esce di casa per cercare un passaggio verso Valona, città costiera e porto di partenza per i migranti. Tuttavia, nella mentalità locale e nelle famiglie tradizionali come la sua, le ragazze non possono uscire da sole. Essere avvistata in strada dai cugini fa scattare l’allarme: viene riportata a casa, punita e segregata in una stanza per una settimana. Questo periodo, però, le serve per organizzarsi meglio. Stavolta sottrae denaro dai risparmi del padre, garantendosi i mezzi per un viaggio più sicuro. È un gesto che segna un punto di non ritorno nei rapporti con la famiglia.

Arrivata a Valona, Sonila si imbarca su una nave diretta nei pressi di Brindisi, ma non al porto: lo sbarco avviene su una spiaggia isolata, per evitare la polizia di frontiera. Tuttavia, viene intercettata e respinta in Albania. Riprova con un’altra barca, ma anche stavolta viene arrestata e rimandata indietro. Alla terza traversata, Sonila non deve pagare nuovamente, poiché l’accordo con i trafficanti prevede due o tre tentativi con un unico pagamento. Ma la fatica è immensa. È la prima volta che vede il mare e lo attraversa in condizioni estreme. Dopo una settimana di tentativi, con cibo scarso e stress alle stelle, giunge ancora una volta a Brindisi. Qui viene fermata nuovamente, ma i controlli medici rivelano ustioni da carburante sulla sua pelle. Ricoverata in ospedale, le viene concessa la possibilità di chiedere protezione internazionale.

Successivamente, viene trasferita in una Comunità di prima accoglienza a Foggia. Qui si riprende fisicamente, ma per motivi di ridistribuzione viene mandata nella Comunità di Castel di Lama, in provincia di Ascoli Piceno. Anche lì si trova bene: l’organizzazione è efficiente e vi sono altre giovani donne straniere, alcune madri single. Gli operatori, persone dedite al proprio lavoro, aiutano le ragazze a ricostruire le loro vite e a ottenere un’occupazione.

Dopo essersi ristabilita, Sonila trova lavoro in una cartotecnica a Grottammare, sulla Val Tesino. Dopo alcuni mesi, però, il guadagno si rivela insufficiente e decide di cambiare impiego, iniziando a lavorare in una fabbrica di scarpe nelle vicinanze.

È in questa occasione che scopre Grottammare e se ne innamora. Non ha mai visto un posto più bello e tranquillo, e decide di stabilirsi lì. Gli operatori della Comunità le trovano una stanza in affitto e le consegnano i soldi guadagnati con il lavoro. Sonila è finalmente autonoma. Non sapeva che i suoi stipendi venissero accantonati per lei: ora può pagare l’affitto per alcuni mesi, restituire i soldi sottratti al padre e comprarsi una bicicletta per andare al lavoro.

La sua vita sta prendendo la direzione giusta. Tuttavia, l’interruzione dei rapporti con la famiglia le pesa, soprattutto per la madre. Quando un’altra ospite della Comunità torna in Albania, Sonila le affida una lettera con il suo numero di telefono. Il giorno di Natale riceve la chiamata della madre. Tra le lacrime, le racconta le difficoltà affrontate, ma si sofferma soprattutto sull’esito positivo del suo percorso. Non avrebbe mai potuto rimanere in Albania, succube di un matrimonio imposto e di una vita che non sentiva sua. “Adesso lavoro e sto bene, in una località stupenda!”. La madre, senza bisogno di spiegazioni, la comprende e l’ammira. “Brava! Hai fatto bene a lasciare questo mondo”, le dice. Forse, in gioventù, anche lei avrebbe voluto fare lo stesso.

Con il padre, invece, i rapporti rimangono interrotti. Lui si sente tradito, ma la complicità della madre è sufficiente per Sonila.

Ogni giorno, con la sua bicicletta, percorre il tragitto per andare al lavoro. Durante il percorso, nota spesso un ragazzo che, come lei, pedala verso una fabbrica vicina. Un giorno, la sua bicicletta si rompe. Nel panico, si gira e vede quel ragazzo accorrere in suo aiuto con entusiasmo. Si chiama Marco. Col tempo diventerà suo marito e padre della loro adorata figlia, Giulia.

Oggi Sonila è cittadina italiana, perfettamente integrata nella comunità di Grottammare. Ha riallacciato i rapporti con la famiglia e con la cultura d’origine, che nel frattempo è molto cambiata. Ora le donne in Albania possono “dire la loro” e fare le proprie scelte. La strada per l’uguaglianza di genere è ancora lunga, ma i progressi sono visibili.

A quelle ragazze che lasciano il proprio Paese per cercare libertà altrove, Sonila dice: “Andate avanti con coraggio e senza sensi di colpa”. La famiglia e la cultura di origine resteranno sempre parte di noi, ma quando contrastano con le nostre aspirazioni, bisogna avere la forza di dire di no.

Quel destino, segnato da obblighi ingiusti, non faceva parte del piano di Sonila.

Ana Fron:

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  • Questi sono gli immigrati benvenuti che vengono per lavorare onestamente ed integrarsi rispettando e ringraziando il Paese che li ospita per diventare il loro Paese.

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