DIOCESI – “Il penitenziere del Papa ci ha aiutato ad entrare nella logica squisitamente giubilare del primato della misericordia di Dio, parlandoci del rapporto tra catechesi, incontro con il Signore e conversione. Chi è operatore pastorale in parrocchia e chi è educatore, animatore o catechista, è chiamato a vivere una profonda conversione: mentre evangelizza, si lascia evangelizzare.
Lasciarsi evangelizzare significa credere al primato della misericordia di Dio sulla propria vita e sulla vita degli altri. Questo significa mettere al centro l’annuncio di un Amore più grande, del tutto gratuito e del tutto immeritato, un Amore che ci tocca il cuore e ci converte, un Amore terribilmente serio da diventare la cosa più importante della nostra vita. Solo allora diventiamo veramente capaci di evangelizzare, proprio perché siamo stati evangelizzati da un Amore più grande. Forse le nostre Chiese non sono ancora entrate pienamente in questa logica. Davvero testimoniare il primato dell’Amore di Dio significa cambiare anche certe forme della Chiesa.
Ad esempio il cardinale ne proponeva una su cui da tempo già si discute, quella sulla successione dell’iniziazione cristiana: prima il Battesimo, poi la Cresima ed infine l’Eucaristia; poi, di fronte a questo primato dell’Amore gratuito, nel momento in cui tu ti sottrai a questo Amore, ti sottoponi al Sacramento della Riconciliazione. Quindi non c’è prima il rendersi presentabili davanti a Dio per ricevere il suo amore; al contrario, c’è prima l’Amore immeritato di Dio e poi il nostro credervi, aderire, lasciandoci convertire il cuore. Sembra una prospettiva molto bella!”.
È con queste parole che l’arcivescovo Gianpiero Palmieri, vicepresidente della CEI e vescovo della Diocesi del Piceno, commenta le parole appassionate ed appassionanti del cardinale Angelo De Donatis, pronunciate ieri, 6 Marzo 2025, durante il terzo incontro dell’Itinerario Formativo Interdiocesano per giovani e adulti, che si è tenuto alle ore 21:00 presso la sala Giovanni Paolo II della parrocchia Sacro Cuore in Centobuchi di Monteprandone.
L’appuntamento, organizzato dalle Diocesi di Ascoli Piceno e di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, ha registrato la presenza di numerosi operatori pastorali, presidenti e componenti di associazioni ecclesiali, sacerdoti e diaconi.
L’intervento del cardinale si è aperto con due citazioni illustri e significative sul tema del rapporto tra catechesi, incontro con il Signore e conversione.
“All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”.
Benedetto XVI, Lettera Enciclica “Deus caritas est”
Ha detto De Donatis: “Ritengo questa frase molto bella! La catechesi, in tutte le sue forme, deve offrire la possibilità di incontrare Gesù Cristo. Questo incontro, il cui esito dipende dalla Grazia divina e dalla libertà umana, trasforma la vita, perché mette l’uomo a contatto con lo Spirito del Risorto. Quando parliamo di conversione, stiamo parlando proprio dell’effetto di questo incontro misterioso che avviene nell’intimo del cuore, ma non senza la mediazione della Chiesa che annuncia la Parola, che celebra il Sacrificio, vive la carità fraterna, prega nella Fede e nella Speranza. Allora l’incontro con Gesù trasforma interiormente l’uomo”.
“Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità, è, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa: «Ecco io faccio nuove tutte le cose». Ma non c’è nuova umanità, se prima non ci sono uomini nuovi, della novità del Battesimo e della vita secondo il Vangelo. Lo scopo dell’evangelizzazione è appunto questo cambiamento interiore”.
Paolo VI, Esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi”
Ha spiegato De Donatis: “Lo scopo dell’evangelizzazione è appunto questo cambiamento interiore, questa trasformazione. Tante volte in questi anni mi sono fermato a riflettere, quando abbiamo parlato di nuova evangelizzazione, di nuovo impegno per portare il Vangelo, e mi sono detto: ‘Forse qui dobbiamo stare attenti, perché rischiamo di voler fare cose nuove con la vita vecchia’. Se non c’è la vita nuova, non riusciamo a fare cose nuove. Quindi non è tanto questione di fare cose nuove, di mettere in campo strategie, di inventare piani , di mettere su chissà che cosa. No. Si tratta di essere trasformati, cioè di avere una vita nuova, perché, senza di essa, non riusciamo ad andare da nessuna parte. Ogni tipo di catechesi, sia essa rivolta agli adulti o ai bambini, in modo sistematico oppure occasionale, ha l’obiettivo di trasformare dal di dentro, cioè fare nuove le persone secondo il Vangelo. Noi desideriamo trasformare il mondo e il nostro non è un delirio di onnipotenza, ma il desiderio del Regno, perché le cose siano come in cielo così in terra. Trasformare dall’interno vuol dire operare un cambiamento che coinvolge tutta la persona, a partire dalla sua interiorità. Noi puntiamo al cuore, non ad altro. Noi non facciamo catechesi o evangelizzazioni, perché le persone acquisiscano buone abitudini, perché imparino a fare gesti cristiani che abbiano certe idee. Non è possibile assemblare cristiani, mettendo insieme i pezzi. Noi offriamo occasioni di incontrare Gesù, sapendo che è l’incontro intimo, cioè l’atto di fede, ciò che cambia l’uomo e lo libera dal male. Il regno è come un seme gettato, una parola viva che si sviluppa e cresce da sola, a patto che riesca ad entrare nel terreno del cuore, perché, se non entra nel terreno del cuore, non attecchisce niente. Come operatori pastorali partiamo dal cuore. E al cuore degli altri arriviamo solo quando partiamo dal nostro cuore. Desideriamo che la trasformazione avvenga prima di tutto in noi. Tra evangelizzazione e conversione, dunque, c’è un rapporto complesso: l’evangelizzazione permette la conversione, che ne è un frutto. L’azione dello Spirito Santo, in una misura che noi non possiamo mai conoscere né calcolare, cambia il cuore. Ma il cuore di chi? Non solo del destinatario, ma anche dell’evangelizzatore. Evangelizzare pertanto offre ad altri l’occasione di convertirsi, ma anzi tutto richiede e permette la conversione personale di chi evangelizza.”
De Donatis ha proseguito approfondendo due episodi biblici riguardanti due evangelizzatori che necessitano di conversione, Giona e Pietro, e, commentando le due figure, ha detto: “La conversione dura tutta la vita. Non c’è un punto di arrivo, perché la conversione è andare oltre il punto in cui siamo arrivati oggi. Allora la domanda che siamo chiamati a far risuonare è: ‘E se a convertirmi sono proprio io?’. Mi sembra fondamentale questo interrogativo, perché chi oggi prova ad evangelizzare, si trova a che fare con un mondo secolarizzato, un mondo post cristiano e spesso si ha la tentazione di pensare che quelli che si possono convertire siano gli altri. Pensiamo a quante volte noi impostiamo le cose in questa maniera! Se però sono solo gli altri a dover cambiare, noi finiamo per restare sempre nelle nostre sicurezze, nel perimetro delle chiese e delle tradizioni religiose, dividendo il mondo in buoni e cattivi, amici e nemici, e rischiando di avere lo sguardo di una minoranza che è nostalgica di quando era una maggioranza. Forse lo stiamo vivendo anche in questi momenti della nostra vita, in cui magari ci troviamo a rimpiangere un tempo che non c’è più. Ora siamo in un’altra situazione e rischiamo di rimanere paralizzati. Invece ricordo le parole che ha detto papa Francesco ai catechisti nel 2013. Non dobbiamo aver paura di uscire dai nostri schemi per seguire Dio, perché Dio va sempre oltre, sempre oltre i nostri schemi. Quanta fatica invece facciamo noi! E sapete perché facciamo fatica? Perché siamo tutti abitudinari. Noi abbiamo sicurezza, quando ripetiamo le stesse cose e pensiamo che stiano andando bene, anche se non è così. Dunque aiutarci ad uscire da una percezione di Chiesa militante in difesa e in attacco, mi sembra oggi fondamentale. Dobbiamo aiutarci tutti ad accorciare le distanze”.
Il cardinale ha quindi ricordato i cinque verbi della Chiesa in uscita, secondo Evangelii Gaudium, ovvero prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare, e ha spiegato: “Essere catechisti o operatori pastorali significa accompagnare gli altri nei lenti e imperfetti processi della crescita umana e spirituale, è festeggiare ogni piccolo bene che appare nelle loro vite. Quanto è importante convertire il nostro sguardo per guadagnare questa prospettiva! Questo è un compito che ci richiede tanto tempo e tanta costanza”. Sulle comunità ha poi aggiunto: “Evangelizzare è un atto di natura ecclesiale, che riguarda tutta la comunità cristiana. Negli ultimi anni stiamo riflettendo sulla conversione delle strutture ecclesiali, perché non siano di ostacolo all’evangelizzazione. Questo significa anche sviluppare uno stile di ascolto e di accompagnamento.
Atteggiamento non scontato. Non è una cosa da poco! Il cambiamento fondamentale riguarda il modo di pensare. Normalmente il cambiamento parte dai singoli o dai piccoli gruppi e poi viene acquisito dalla comunità”. Ricordando il grande esempio dell’oratorio e dei salesiani, De Donatis ha affermato: “La conversione di una comunità avviene valorizzando le intuizioni dei singoli, dei piccoli gruppi creativi, generativi. La conversione, infatti, non può avere la forma di un piano pastorale, non può essere un percorso già definito, richiede apertura all’azione imprevedibile di Dio che si manifesta attraverso l’ascolto degli altri e si concretizza in un cammino di discernimento comunitario. La Chiesa cambierà perché saremo – credo – costretti ad assumere questa metodologia. La scelta di aprire il Vangelo ai pagani non è stata fatta a tavolino e non è nata dalla riflessione degli apostoli, ma dalla certezza dell’azione dello Spirito che precede gli apostoli. Dopo la predicazione di Filippo in Samaria e il caso di Pietro e Cornelio ad Antiochia di Siria, succede qualcosa di imprevisto: alcuni discepoli giunti per scappare alla persecuzione in Giudea, predicano il Vangelo anche ai non Ebrei e questi credono. Non sappiamo nemmeno chi abbia fatto questo passo di apertura ai pagani. Gli Atti dicono soltanto che erano ‘gente di Cipro e di Cirene’, cioè Ebrei della diaspora, forse già più abituati a relazionarsi con i non Ebrei. Credo che l’esperienza di evangelizzare ci metta davanti ad iniziative dello Spirito che noi non abbiamo previsto e che fatichiamo a comprendere. Allora è fondamentale educarsi all’ascolto dello Spirito, che poi significa aprirsi all’ascolto della realtà e delle persone concrete. I progetti di catechesi e di evangelizzazione, che non nascono dall’ascolto e non crescono nell’ascolto, risultano delle costruzioni teoriche poco feconde. Dobbiamo davvero educarci all’ascolto, convertirci all’ascolto e non cedere alla tentazione della risposta preconfezionata della pianificazione. A volte siamo tutti ansiosi e, quando abbiamo tutto sotto controllo, stiamo bene e andiamo avanti sicuri. Ma questa è ansia, non è ascolto dello Spirito Santo, a cui invece siamo fortemente chiamati in questo momento. Questa vale per qualsiasi operatore pastorale, per qualsiasi parrocchia”.
In merito al rapporto tra catechesi e conversione, l’illustre relatore ha preso ad esempio due figure che compaiono nei Vangeli: l’adultera e Zaccheo. Ha commentato De Donatis: “La conversione avviene per la potenza della Parola, che è l’anima della catechesi. Del resto catechesi deriva dal verbo greco ‘risuonare’. La risonanza della Parola di salvezza permette la trasformazione, il cambiamento. Ricordiamo le parole del Papa, il quale ha detto che la catechesi parte sempre dall’annuncio dell’amore salvifico, prima di presentare l’obbligazione morale e religiosa. La Parola chiama alla conversione e insieme rende possibile la conversione. Sulla bocca del catechista dunque torni sempre a risuonare il kèrigma, il primo annuncio, quello che ha una priorità logica più che cronologica, quello che è il fondamento di ogni conversione. Molti incontri di Gesù, infatti, mostrano la priorità dell’annuncio di grazia sulla conversione morale. Non è la conversione che porta all’incontro con Gesù, ma è l’incontro con l’Amore senza condizioni che produce la conversione. Per noi è importante riflettere sulla priorità dell’annuncio: non è una questione metodologica o tecnica, ma è una questione di sguardo”. Ha concluso il cardinale De Donatis: “È a motivo di un certo sguardo sulla vita propria e degli altri che possiamo preoccuparci sempre di annunciare l’Amore divino senza condizioni. Prima di qualsiasi altro discorso. È un cambiamento forte ed impegnativo perché richiede un mettersi in gioco ogni giorno”.
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