ROCCAFLUVIONE – Il 2025 è l’Anno Giubilare dedicato alla Speranza e oggi, 8 Marzo, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, non possiamo non sottolineare che la speranza è donna. Così come la fede e la carità, le altre due virtù teologali. Così come anche la Chiesa, che – come ci ha ricordato Papa Francesco in più di un’occasione – è madre accogliente, forte e generosa.
Vogliamo allora celebrare la donna, raccontando il cammino finora compiuto nei diversi ambiti della vita, privata e sociale, rintracciando i semi di speranza già piantati e quelli ancora da seminare, per raggiungere una sempre maggiore ed effettiva parità tra i generi. Lo facciamo attraverso il racconto di tre donne, testimoni di tre epoche e quindi tre generazioni diverse, che a volte si sono scontrate, ma che oggi finalmente hanno fatto la pace.
Si tratta di Annunziata Bastiani (detta Nunzia), che ha 72 anni, Maria Cicconi (detta Mariella), che ha 48 anni, e Anna Petrocchi, che ha 18 anni. Risiedono a Roccafluvione; sono rispettivamente madre, figlia e nipote; tutte e tre sono testimoni di una fede fervente e di una speranza paziente.
L’infanzia e i giochi
Nunzia: Sono le penultima di sette fratelli. Mia madre Loreta e mio padre Pietro erano di bassa estrazione sociale, quindi non avevamo molti mezzi. Durante il giorno, da piccoli, fino a sei anni, restavamo a casa e facevamo tanti giochi con la terra. Mentre i nostri genitori coltivavano i campi, noi facevamo dei giochi inventati: io, ad esempio, prendevo il ciuffo brunastro delle piante di mais e mi divertivo a fare delle trecce e a trasformare le pannocchie in bambole. Giocavamo anche a campana e a nascondino. Giocavamo tutti insieme, maschi e femmine.
Mariella: Giocavo con i vicini di casa che erano soprattutto maschi: con i soldatini, a calcio, a nascondino. Quando sono diventata più grande, quindi da adolescente, andava di moda fare “i ragazzi del muretto”: sceglievamo un angolo del paese, in genere la piazza, e ci appoggiavamo ad un muretto, con il nostro gruppo di amici. Lì trascorrevamo l’intero pomeriggio, chiacchierando e scherzando. Non avevamo il cellulare, quindi ci parlavamo guardandoci negli occhi.
Anna: Mia madre fa l’insegnante e mio padre l’operaio. Entrambi lavorano da sempre. Mia sorella Sara, che oggi ha quasi 14 anni, è nata quattro anni dopo di me, quindi da piccola non potevo fare grandi giochi con lei. La complicità è arrivata dopo. Per tutte queste ragioni, io ho trascorso l’infanzia con mia nonna Nunzia. Mi piaceva tantissimo il fatto che mi leggesse le storie! Poi con lei giocavo a nascondino, a 1-2-3-stella e ovviamente con le bambole, Quando, più tardi, sono nati mia sorella e i miei cugini, ho iniziato a giocare con loro con le costruzioni o con giochi di società.
In casa: confort e faccende
Nunzia: Quando sono nata, la mia famiglia abitava in cima ad una collina chiamata Pizzorullo in cui c’erano, oltre alla nostra, altre tre famiglie. La nostra casa era molto modesta. Abitavamo al primo piano dell’edificio. Non avevamo il riscaldamento: quando soffiava il vento, gli indumenti stesi dentro casa sventolavano; d’inverno la neve cadeva anche in casa, perché il tetto non era completamente ricoperto di tegole e c’erano diverse fessure. Non avevamo il bagno per i servizi igienici come oggi, quindi andavamo fuori, all’aperto, per i bisogni fisiologici, mentre, per quanto riguarda l’igiene, facevamo il bagno dentro casa, in una bagnarola di ferro in cui mia madre versava l’acqua calda scaldata sul fuoco. A proposito di acqua, non avevamo l’acqua corrente, ma andavamo a prenderla in una fonte nelle vicinanze e la trasportavamo nelle conche che caricavamo sulla nostra testa. In casa eravamo in nove, ma c’erano in tutto tre locali molto grandi: la cucina e due camere da letto. In una stanza dormivano i miei genitori, insieme a me e mio fratello, che eravamo i più piccoli; nell’altra camera c’erano due letti matrimoniali, in cui dormivano da una parte le mie tre sorelle e dall’altra i miei due fratelli. I letti avevano la rete, ma non il materasso; per rendere il nostro giaciglio più confortevole, mia madre aveva creato uno strato di brattee, ovvero le foglie delle pannocchie. Al piano terra, sotto alle nostre camere, c’erano le stalle, in cui riposavano un somaro, un maiale, alcune pecore e molte galline. Non avevamo la televisione né altri elettrodomestici. Non c’era il telefono in casa, quindi per comunicare dovevamo andare a piedi a casa della persona con la quale volevamo parlare.
Le faccende domestiche non riguardavamo molto la pulizia della casa: del resto avevamo pochi mobili e poche stanze, quindi non c’era molto da pulire! Tuttavia, fin da piccole, noi bambine avevamo il compito di aiutare nostra madre a cucinare. Nella casa in cui poi sono andata a vivere con mio marito, i lavori domestici erano molto più impegnativi, perché la casa era più grande e aveva maggiori arredi. Tenere la casa pulita e in ordine è una delle mie priorità.
Mariella: Sono cresciuta a Roccafluvione, in una casa molto più confortevole di quella di mia madre, ma non come quella in cui vivo attualmente. Oltre al riscaldamento a gas, alla corrente elettrica e all’acqua, la nostra casa era fornita di molti elettrodomestici. Ad esempio, avevamo un televisore in cucina ed uno in salotto. Durante l’infanzia, ho condiviso la stanza con mio fratello: infatti, pur avendo solo un fratello, in casa eravamo in tanti perché, oltre a noi due, c’erano anche i miei nonni parteni, uno zio non sposato e i miei genitori. In tutto, quindi, eravamo sette persone. In casa avevamo il telefono fisso, quindi potevamo chiamare chiunque in qualsiasi ora del giorno, non la sera. A volte discutevo con mio fratello perché lui mi rimproverava di occupare il telefono con lunghe chiamate, mentre io mi lamentavo di non poter avere la riservatezza desiderata. Altre volte discutevamo per il bagno: ce lo contendevamo.
Oggi, nella casa attuale, per quanto riguarda le faccende domestiche sono molto easy. La mia casa non è mai sporca, ma spesso è disordinata e di questo non mi vergogno. Nella mia casa ho deciso di dare un ordine alle priorità: prima viene la famiglia, poi il lavoro, infine la casa. Non sono quindi una maniaca dell’ordine e non mi stressa vedere qualcosa fuori posto.
Anna: Vivo in una casa accogliente e molto confortevole, in cui ci siamo io, mia sorella e i miei genitori, quindi quattro persone in tutto. Rispetto a mia nonna e mia madre, ho più spazio a disposizione e tanti strumenti tecnologici in più: ad esempio abbiamo un televisore in ogni stanza, poi ho il computer, il tablet e il mio cellulare personale. Non ho il problema di fare la fila per il bagno o per il telefono. Per quanto riguarda il bagno, in casa ne abbiamo due. Per quanto riguarda il telefono, invece, ognuno ha il suo. Io ho ricevuto il cellulare durante l’estate a cavallo tra la Scuola Primaria e la Scuola Secondaria di Primo grado, come premio per la bella pagella riportata a casa. Si trattava, però, di un cellulare di seconda mano, che era appartenuto a mio padre. Da allora posso chiamare i miei amici a qualsiasi ora e, se ho bisogno di privacy, posso andare in camera senza problemi e chiamare da lì.
Per quanto riguarda le faccende domestiche, non ho ricevuto particolari pressioni da mia madre e mio padre. Quando occorre una mano, mi viene chiesto e io in genere aiuto. Tuttavia non ho mai ricevuto una disciplina rigida e severa in merito ai lavori da fare in casa. Ritengo che comunque, quando andrò all’università e sarò quindi obbligata a darmi da fare, imparerò in fretta e sarò in grado di fare tutto.
L’istruzione, tra desiderio e possibilità
Nunzia: Sono andata a scuola a sei anni. Per arrivarci facevo circa 2 km a piedi insieme ai miei fratelli, quindi ci alzavamo alle 6:00 per arrivare puntuali a scuola alle 8:00. Io ho frequentato la scuola fino alla 5° elementare: facevo molta fatica ad apprendere e non mi piaceva studiare, facevo difficoltà a concentrarmi, preferivo viaggiare con la fantasia: in italiano, infatti, ero molto brava, tanto che i miei temi venivano letti anche agli studenti degli anni successivi. Noi venivamo da una famiglia povera, quindi ci siamo dovuti fermare lì con gli studi. I figli delle famiglie più facoltose, invece, proseguivano e, nella maggior parte dei casi, erano maschi, perché si preferiva che le femmine iniziassero subito a prendersi cura della famiglia. Mio marito, ad esempio, ha continuato a studiare, frequentando le classi dell’avviamento. Quelli che proseguivano il percorso di studi anche ai Licei e poi all’Università erano veramente pochi: uno ogni morte di papa! Della mia annata e dei miei amici, ad esempio, non ne ricordo proprio nessuno.
Mariella: Durante l’adolescenza, ho avuto un rapporto molto conflittuale con i miei genitori, soprattutto con mia madre. Non eravamo d’accordo mai su nulla e lei contestava ogni mia scelta. Tuttavia, nonostante le sue numerose ingerenze ed imposizioni, per quanto riguarda l’istruzione, mia madre mi ha permesso sempre di fare quello che volevo. Ho scelto io la Scuola Superiore da frequentare, così come l’Università. Mi sono laureata in Scienze della Formazione a Perugia e mia madre mi ha sempre incoraggiato. Anche dopo la laurea, quando per alcuni anni ho lavorato a Bologna, i miei genitori mi hanno sostenuto economicamente e moralmente.
Anna: Fortunatamente non ho ricevuto alcuna pressione da parte dei miei genitori, i quali mi hanno sempre lasciata libera di decidere da sola. Attualmente frequento il 4 ° anno del Liceo Scientifico ad Ascoli Piceno e dedico molte ore allo studio. Per quanto riguarda il futuro, non ho ancora deciso cosa fare: ho molti dubbi e paure, ma sicuramente andrò all’università.
L’amore, lo stare insieme e il matrimonio: cosa è cambiato nei decenni
Nunzia: Non c’erano molti luoghi in cui incontrare i ragazzi: infatti, non ci si vedeva spesso con altre persone, se non con quelle che abitavano nei dintorni. In alcune occasioni, però, come per esempio durante la mietitura del grano oppure durante la vendemmia, ci riunivamo tutti insieme, aiutandoci gli uni gli altri. In quelle circostanze venivano giovanotti di tanti luoghi limitrofi, anche da Comunanza, Montegallo, Propezzano. Queste erano le occasioni buone per conoscersi: finito il lavoro, infatti, quando iniziava a fare buio, ci si fermava per mangiare insieme qualcosa, ad esempio pane con le noci o le crispelle o la cacciannanz, e poi qualcuno si metteva a suonare l’organetto e gli altri ballavano. Se a noi ragazze piaceva qualcuno, assolutamente non potevamo farlo capire. Anzi! Ci era assolutamente proibito, perché farsi avanti era considerato un comportamento non adatto ad una brava ragazza. Quindi erano i ragazzi che, se volevano, potevano accostarsi a noi e chiederci di ballare. Il primo approccio era questo: ballo e basta. Anche perché stavamo in casa o nell’aia insieme agli adulti, i quali osservavano attentamente i nostri movimenti. Per fortuna i ragazzi erano molto svegli, quindi trovavano sempre un modo per dichiararsi. Prima di tutto tornavano a chiedere più di un ballo, quindi, se tornavano più volte, era già un segnale di gradimento. Se una si rifiuta, anche quello era un segnale! Nel mio caso, siccome eravamo più maschi che femmine, i miei fratelli mi obbligavano a ballare con tutti coloro che me lo chiedevano; se però, qualcuno tornava più volte e ai miei fratelli non piaceva, uno di loro, a turno, si avvicinava a me e mi diceva: “A questo digli di no!”.
Nonostante le mie uscite fossero limitate solo ed esclusivamente ai balli, io mio marito non l’ho conosciuto ad un ballo. Un giorno, mentre pascolavo le pecore lungo la Salaria, lui si è fermato ed è sceso dall’auto per venire a conoscermi. Lui mi aveva vista precedentemente, ma io non l’avevo notato. A me non piaceva molto fisicamente, ma soprattutto non mi piaceva il suo nome perché era uguale a quello di mio padre e a quello di un altro conoscente, entrambi con problemi di alcolismo. Invece, un po’ alla volta, si è fatto conoscere e ho capito che non aveva nulla di simile a loro. Quindi ho cambiato idea e lui ha iniziato a venire a casa, dichiarandosi a mio padre e ai miei fratelli, i quali hanno acconsentito al corteggiamento. A tal proposito devo dire che, prima di lui, ci sono stati altri corteggiatori, ma ognuno di loro doveva avere la doppia approvazione, mia e della mia famiglia. Ricordo ad esempio di un ragazzo che mi piaceva molto, ma che non andava bene a mia madre perché aveva i capelli lunghi! I miei hanno acconsentito a farmi venire a trovare da quello che sarebbe poi diventato mio marito tre volte alla settimana: la Domenica, il Giovedì e il Sabato. Poteva rimanere fino a mezzanotte – e i miei erano già di manica larga rispetto ad altre famiglie! –, perché poi loro dovevano andare a dormire e le ragazze non potevano rimanere da sole con i ragazzi. Non esisteva il diritto alla privacy! Perciò, dopo due anni di fidanzamento, mi sono sposata.
Mariella: Da adolescente ho avuto sempre la possibilità di uscire ed incontrare gente, quindi anche i ragazzi. Mio fratello era molto geloso di me, perciò mia madre mi mandava con lui a ballare in discoteca, pur non essendo ancora maggiorenne, nella consapevolezza che lui mi avrebbe fatto da cane da guardia! Pertanto i ragazzi li conoscevo un po’ dappertutto: in paese, a scuola, in discoteca, in piazza. Nonostante questa apertura mentale, quando è arrivato il primo amore, in terza media, è stato un disastro per mia madre: ho preso un sacco di botte, perché lei non voleva che mi mettessi insieme ad un ragazzo, sia per la mia giovanissima età sia soprattutto perché quel ragazzo – testuali parole – “non mi ispira fiducia”. Ma cosa significasse non l’ho mai capito! Forse probabilmente era solo preoccupata del fatto che lui fosse più grande. Comunque, nonostante il parere di mia madre, sono stata con lui per un paio d’anni, poi ci siamo lasciati. Di tutto questo mio padre non era assolutamente al corrente. Sebbene in famiglia infatti si parlasse di tutto (scuola, soldi e altro), tuttavia delle questioni d’amore e dei guai che combinavamo in giro io e mio fratello, non si poteva assolutamente parlare. Di certi argomenti più intimi, come ad esempio il sesso, invece, non ne parlavo neanche con mia madre.
Per quanto riguarda l’amore della mia vita, posso dire che mio marito è del paese, quindi lo conoscevo perché faceva parte della mia stessa comitiva. Pur essendo cresciuti insieme, però, non ci siamo messi subito insieme. Solo prima che io partissi per l’università, ci siamo fidanzati. Prima di lui ho avuto altre storie. A differenza di mia madre, se un ragazzo mi piaceva, non avevo difficoltà a farmi avanti. Sono sempre stata molto socievole ed estroversa, quindi non mi sono mai fatta problemi.
Anna: Non è difficile, per me, incontrare dei ragazzi. Ce ne sono tanti a scuola, in paese oppure nei luoghi che frequento: non al corso di uncinetto o in palestra, perché siamo tutte donne, ma per il resto dappertutto, anche semplicemente amici di amici. Tuttavia la maggior parte dei ragazzi inizia la conoscenza sui social. Io, a chi mi scrive spesso tramite Instagram o più raramente tramite Facebook, non do corda. Un po’ perché sono diffidente e non mi fido: non so, infatti, se sto parlando con quella persona realmente o se è un profilo fake, magari di un malintenzionato. Poi preferisco un approccio diretto: mi piacerebbe venisse a cercarmi di persona, così da poterci parlare e capire com’è.
Di quello che riguarda i ragazzi, ne ho sempre parlato con mia madre e ultimamente anche con mio padre: il nostro rapporto di recente è cambiato, è più aperto e confidenziale e di questo sono felice. Dopo che mi sono lasciata con un ragazzo, mi è stato vicino e ora mi fido di lui. Prima pensavo che mi giudicasse, forse perché, essendo io più piccola ed avendo lui un carattere più distaccato, non riuscivo a parlare con lui. Ora invece c’è maggiore dialogo, sia perché io mi sono aperta, sia perché lui è più disposto ad accogliere quello che dico e ad ascoltarmi. Di certi argomenti più intimi, pero, ne parlo solo con mia madre, anche se mio padre è consapevole che ne parlo con lei ed è tranquillo.
Il lavoro: da desiderio a possibilità a esigenza
Nunzia: I miei fratelli, al termine dei cinque anni di scuola, sono andati subito ad imparare un mestiere: Domenico ha iniziato a fare il muratore; Francesco, dopo qualche periodo di esperienza con mio padre, ha fatto il macellaio; Enrico infine l’idraulico. A noi ragazze, invece, non era permesso andare a lavorare: per imparare un mestiere, infatti, bisognava andare al centro abitato più vicino, che distava almeno due ore di cammino; quindi, per essere al lavoro alle 7 del mattino, bisognava percorrere un tragitto lungo partendo molto presto, quando era ancora buio. Sia all’andata sia al ritorno, il percorso poteva essere pericoloso, se fatto di sera o al mattino presto e non si addiceva alle donne andare in giro in quegli orari. Noi ragazze, perciò, siamo rimaste in casa ad aiutare nostra madre nei vari lavori di campagna e di casa. Ad essere sincera, il lavoro maggiore era quello nei campi, perché in casa non c’erano tanti mobili né i pavimenti come quelli di oggi, bensì i mattoni cotti. I lavori da fare in casa riguardavano per lo più la cucina. I piatti che ho imparato a fare subito sono stati la frittata, la polenta e patate e fagioli. Ho imparato anche a fare il pane e il formaggio fatto in casa già nei primi anni di scuola, a 6/7 anni.
Spesso andavo a prendere l’acqua alla fonte. Impiegavo circa mezz’ora di cammino. Io ero molto brava a trasportare l’acqua nelle conche: riuscivo a camminare con la conca in testa senza tenerla con le mani. Per il resto affiancavo mia madre che pensava a tutto quello che riguardava la famiglia: ad esempio preparava i pasti per tutti, accudiva me e i miei fratelli, pensava al bucato di tutta la famiglia e si occupava di ogni evenienza che riguardasse suo marito o i suoi figli. Inoltre, siccome mio padre faceva il carbone e andava ad venderlo ad Ascoli con il suo carretto trainato da un somaro, al lavoro dei campi dovevamo pensare noi. Avevamo dei terreni di proprietà, ma, essendo in una zona impervia, non erano comodi da coltivare e quindi li utilizzavamo solo per le necessità della famiglia, quindi per coltivare patate, granturco, fagioli, pomodori, tutti prodotti per uso familiare. Ogni anno acquistavamo anche un maiale piccolino che facevamo crescere fino a dicembre, per poi macellarlo e ricavarci il necessario per mangiare tutto l’anno: oltre alla carne, facevamo riserva anche di lardo, che spesso usavamo come condimento al posto dell’olio.
Quando mi sono sposata, sono cambiate alcune cose, ma della casa mi sono occupata sempre io.
Mariella: Ho sempre lavorato, anche mentre studiavo, quindi sono stata sempre abbastanza indipendente. Ho cambiato numerosi lavori: sono stata vigilessa urbana, selezionatrice del personale, finché non sono divenuta insegnante alla Scuola Primaria. Devo dire che quello attuale è un ambiente molto al femminile, quindi non ho avuto problemi di disparità di genere. In altri contesti, invece, la differenza si è vista. Quando sono diventata vigilessa, all’inizio non sono stata accolta benissimo; mi sono dovuta guadagnare la stima e il rispetto. Questo ai vigili, quindi agli uomini, non succedeva. Inoltre, quando lavoravo per un’agenzia interinale, molte aziende preferivano gli uomini o comunque donne non in età da avere figli.
Anna: Non so ancora che lavoro farò e come sarà il mondo del lavoro, ma mi sento di dire due cose. Prima di tutto sono sicura che lavorerò: si tratta di un’esigenza legata sia alla mia realizzazione personale sia all’indipendenza economica che desidero avere. E so che potrò decidere di fare qualsiasi lavoro e i miei genitori mi sosterranno sempre. Poi credo che sia necessario un cambio di mentalità. Attualmente in ambito professionale e in politica le differenze tra uomini e donne ancora esistono. Ho letto che le donne all’università sono di più e anche più brave, nel senso che si laureano nei tempi previsti e con voti maggiori, eppure nei ruoli di maggiore potere e responsabilità ci sono ancora molti uomini in più rispetto alle donne. Ad esempio solo il 17% delle università italiane ha una rettrice a dirigere l’ateneo. Per non parlare della disparità di compenso tra un uomo ed una donna: ci sono ancora, purtroppo, dei casi in cui, a parità di titoli e competenze, gli uomini guadagnano di più delle donne. Questa è una grande ingiustizia a cui bisogna porre rimedio. Anche in politica spesso le donne vengono scelte per completare le liste, non con l’obiettivo di farle vincere e di affidare loro incarichi importanti.
Opportunità e libertà
Nunzia: Cosa dire sulla libertà? Io, rispetto ad altre mie coetanee, avevo qualche concessione in più. I miei fratelli, infatti, erano parecchio gelosi, anche più di mio padre, il quale allora mi mandava tranquillamente con loro a ballare nei paesi vicino, perché sapeva che ero ben protetta. Per quanto riguarda le opportunità, non ho potuto scegliere né di studiare né di lavorare. Inoltre mio padre aveva il vizio del vino e, quando tornava ubriaco a casa la sera, mia madre brontolava e lo rimproverava. In più di un’occasione, quando sono diventata più grande, verso i dodici anni, ho chiesto spesso a mia madre: “Ma perché non ce ne andiamo?”. E lei, con lo sguardo triste e rassegnato, mi rispondeva: “Ma dove andiamo?”, sottolineando il fatto che non avevamo mezzi sufficienti per cavarcela da sole. Ecco perché a mia figlia non ho impedito di studiare e lavorare: l’indipendenza economica rende più libere. Comunque devo dire che, anche se ho vissuto queste privazioni, perché i mezzi economici sono stati scarsi, l’eredità affettiva e valoriale è stata molto grande: mia madre, infatti, ha saputo compensare con il suo amore tutto l’amore che ci è mancato da altre persone.
A proposito di libertà, quando mi sono sposata, sono andata ad abitare con i miei suoceri nel capoluogo. All’epoca si usava che il figlio maschio rimanesse in famiglia e, avendo mio marito solo due sorelle, la scelta è stata dovuta perché lui era l’unico maschio. Se avessi potuto scegliere, avrei preferito abitare per conto nostro; però, per mia natura, sono molto accomodante e per fortuna è andata bene, perché ho trovato una sorella di mio marito con cui è nata una bellissima amicizia e quindi non mi sono sentita mai sola.
Sempre a proposito di libertà ed indipendenza, per tutta la vita, fino a che non sono andata in pensione, non ho avuto un conto corrente a me intestato. Del resto ha sempre lavorato solo mio marito e quindi non c’era ragione di avere un conto a mio nome sul quale io non avrei potuto mettere del denaro! Devo dire, però, che mio marito mi ha lasciato sempre libera di ritirare quello che serviva per le necessità della famiglia. Poi, quando sono andata in pensione, abbiamo cointestato il conto. Sulla carta è cambiato qualcosa, anche se nella pratica non è cambiato nulla: sono sempre io a gestire il denaro per la famiglia. Ogni decisione, sia piccola che grande, l’abbiamo sempre presa insieme: che si trattasse dell’acquisto di un trattore o di scelte riguardanti i figli, come la scuola o l’automobile, ci siamo sempre confrontati ed abbiamo deciso insieme. In questo devo dire che, per me, il matrimonio è stato un importante mezzo di emancipazione. Molte cose che mia madre non poteva fare, mio marito invece me le permetteva. Sposandomi, ho avuto un miglioramento anche per quanto concerne le uscite: andavamo a ballare insieme oppure, quando lui andava in bici con gli amici, io e le tre mogli li accompagnavamo.
Mariella: In famiglia non posso dire di aver avuto una disparità di trattamento tanto marcata tra me e mio fratello; tuttavia il legame di mio fratello con mia madre è sempre stato molto diverso rispetto a quello mio con lei. Abbiamo due caratteri completamente diversi. Mio fratello è stato sempre il classico bravo ragazzo, quello che raccontava tutto a mia madre e, anche se a scuola non ha mai raggiunto grossi risultati, ha iniziato subito a lavorare e a farsi rispettare. Io, invece, sono stata sempre la classica adolescente un po’ ribelle, quella che non riferiva tutto a casa e, anche se a scuola andavo bene, il mio carattere e la gestione della mia vita privata a mia madre non sono mai andati bene. La mia voglia di uscire e di sentirmi indipendente, per mia madre era qualcosa di nuovo e sconosciuto, che lei non aveva mai visto fare né nella sua vita né in quella delle sue coetanee. Il mio rapporto con lei quindi è stato sempre conflittuale. Adesso, da adulta, mi rendo conto che su alcune cose avesse ragione lei e che alcuni suoi atteggiamenti erano frutto del grande amore che nutriva per me, ma all’epoca non lo capivo assolutamente e ci discutevo. Ora, da madre, me ne rendo conto. In ogni caso, anche se brontolava sempre, mia madre mi dava fiducia e, finché mi comportavo bene, tutto andava bene! Quindi onestà devo dire che ho avuto sia la libertà che le opportunità.
Mi piacerebbe, a tal proposito, far riflettere i lettori e le lettrici sul significato di libertà. Molti pensano di essere liberi, ma non lo sono: sono schiavi delle abitudini, del pensiero dominante, delle convenzioni e della mentalità che viene inculcata dai social. Io credo che invece sia giusto pensare con la propria testa, vestirsi secondo i propri gusti, avere la forma del corpo o il colore dei capelli che si preferisce e fare scelte che si ritengono giuste per convinzione. Auguro a tutte le ragazze di essere veramente libere.
Anna: I miei ripongono in me una grande fiducia, che io cerco di ripagare nel migliore dei modi. Le uscite serali le faccio soprattutto d’estate, in inverno invece al massimo una volta alla settimana. Questo, ad esempio, è l’anno dei 18 anni nella classe e capita che il Sabato sera io stia spesso fuori. Ho un limite di orario, ma i miei sono abbastanza flessibili. Diciamo che alcuni limiti me li impongo da sola. Ad esempio, non ho paura di camminare al buio, ma, a seconda della circostanza, decido se posso farlo da sola o se sia preferibile farlo in compagnia. Se sono in piazza del Popolo, ad esempio, non ho alcun timore perché ci sono altre persone in giro; me, se sto in una via secondaria, preferisco stare con qualcuno per evitare pericoli. Insomma, a seconda della percezione che ho del contesto, decido. Ho fatto questo esempio per dire che, sulla carta, oggi i diritti e teoricamente anche le opportunità siano gli stessi per uomini e donne. Di fatto, invece, in molti ambiti c’è ancora una cultura maschilista che non consente alle donne di fare le stesse cose degli uomini. Questa mentalità purtroppo ce l’hanno anche alcuni giovani, perciò credo che ci sia ancora molto da fare a livello culturale. Una volta che sarà cambiata anche la mentalità, sono sicura che anche nei comportamenti non ci saranno più disparità.
La fede: un punto fermo
Nunzia: Fin da piccola mia madre mi ha sempre insegnato a pregare e ad avere fiducia nel Signore: è stato quindi naturale per me credere e pregare. Oggi sono molto contenta di questo insegnamento che mi ha dato mia madre: in ogni prova della vita, infatti, ho sempre riposto la mia speranza nel Signore e devo dire che mi sono sempre trovata in buone mani.
Mariella: Quando ero piccola, mia madre e mia nonna dicevano il rosario prima di cena e quindi partecipavo pure io. Il Signore era uno di casa, perciò credergli non è stato difficile all’inizio! Durante l’adolescenza, però, mi sono un po’ allontanata: è stato bello tornare da Lui qualche anno dopo, con qualche consapevolezza in più. Ora il Signore è un punto fermo nella mia vita, tanto che da un po’ svolgo il servizio di catechista in parrocchia. Voglio annunciare quella Bella Notizia che ha portato la gioia nella mia vita nella speranza che quel bel sentimento possa raggiungere anche altri.
Anna: Io credo in Dio. Da sempre mamma e nonna mi hanno insegnato a pregare e ad andare in chiesa, ma non ci credo solo per questo. Ho capito che sapere che Lui c’è mi riempie di fiducia nel mondo e nella vita. Mi dà coraggio e non ho paura.
I sogni: quale speranza per le donne nel presente e nel futuro
Nunzia: Questa domanda è bella, ma anche un po’ triste. Alle donne della mia età non era permesso sognare altro, se non un matrimonio vantaggioso. A me è andata bene: ho sposato un uomo che mi amava e che amavo. Forse è per questo che il nostro è stato un matrimonio felice. Per altre donne non è stato così. Comunque, come dicevo, da sposata per me sono cambiate molte cose: è lì che ho iniziato a sognare e a realizzare i miei sogni legati alla famiglia. Oggi posso dire di essere felice.
A mia figlia ho cercato di dare le opportunità che io non ho avuto e anche questo mi rende molto felice.
Ai giovani di oggi vorrei dire di non avere paura. Alle ragazze dico che, nonostante in tv se ne sentano tante, ci sono dei bravi ragazzi con cui costruire un bel futuro insieme. Dipende dall’uomo che si incontra, dalla mentalità con cui è cresciuto e dall’educazione che ha ricevuto.
Poi voglio anche dire di non essere così aggressive con i ragazzi. Oggi le giovani donne sono molto indipendenti, sicure di loro stesse e hanno già progetti di vita che vogliono realizzare. Forse questa indipendenza le fa sembrare troppo emancipate e pare che pretendano quasi che gli uomini siano sottomessi. Al contrario i giovani uomini sono disorientati, non hanno idee chiare sul loro futuro e a volte li vedo più interessati a giocare col telefono o tra loro più che a parlare con le ragazze e ad uscire con loro. Ai ragazzi, quindi, dico di recuperare fiducia in loro stessi, di mostrarsi più decisi, ovviamente con atteggiamenti non violenti o prepotenti, ma con il saper corteggiare con gentilezza. Ecco questa è una cosa che va assolutamente recuperata: la gentilezza, la cura, la perseveranza. L’amore è come un fiore, una pianta: non è che appena semini, sboccia il fiore e matura il frutto. Bisogna avere cura della pianta, una cura quotidiana e paziente, e bisogna saper aspettare. I ragazzi allora devono mostrare alle ragazze che ci tengono, che investono il loro tempo e le loro energie verso di loro, facendole sentire importanti e libere di fare le loro scelte. Le donne in questi anni sono cresciute: hanno fatto molti passi in avanti, passi di cui sono stata testimone. Ora tocca agli uomini fare dei passi in avanti per stare al passo. Ragazzi, accelerate un po’! Voi ragazze, invece, non correte, camminate, così da farvi raggiungere! Perché, che ci piaccia o no, uomini e donne sono chiamati a camminare insieme.
Mariella: Per quanto mi riguarda, i sogni più importanti che avevo li ho realizzati. Ma ci sono ancora altri piccoli sogni che mi piacerebbe realizzare e spero di riuscire a farlo.
Per quanto riguarda il tema della speranza declinato al femminile, mi auguro che non ci siano più femminicidi. Questo sarà possibile, se tutti insieme metteremo in campo azioni concrete, compiute da donne e da uomini. Azioni che vadano verso una maggiore considerazione del valore umano, sociale e professionale della donna nella società. Azioni educative frequenti a scuola, in famiglia e in parrocchia. Azioni effettive anche nella vita di tutti i giorni: i ragazzi vedono i comportamenti e sono portati ad imitarli. La mentalità si cambia se si predica una cosa e poi la si fa. Parola ed azione devono avere una sola voce.
Anna: Io non ho ancora un sogno preciso, concreto. Però so che voglio essere felice. Spero quindi di riuscire a trovare la mia strada e di sentirmi realizzata. Realizzata non come donna, ma come essere umano, perché credo che non debbano esserci distinzioni. Magari accanto ad un uomo che mi rispetti e mi tratti alla pari. Magari con una figlia che possa sentirsi al sicuro sia in ambito familiare sia nella comunità in cui vive sia in ogni angolo del mondo.
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