
Iva Mihailova
Cardinale dal 7 dicembre 2024, l’arcivescovo di Belgrado mons. Ladislav Nemet è il primo porporato proveniente dalla Serbia. Oltre alla nomina cardinalizia, il Sir dialoga con Nemet della situazione dei cattolici nel Paese balcanico, delle relazioni con la Chiesa ortodossa ma anche delle recenti proteste massicce che continuano a inondare le strade delle città serbe. “La stragrande maggioranza della società sostiene le finalità di queste proteste”, afferma il cardinale.
Nato nel 1956 e di origini ungheresi, il giovane Ladislav Nemet entra nella società del Verbo divino nel 1976, quindi compie gli studi di filosofia e teologia in Polonia. Dopo una ricca esperienza ecclesiale che comprende diversi incarichi nelle Filippine, in Austria, Croazia e in Ungheria come segretario generale della Conferenza episcopale ungherese, è nominato vescovo di Zrenjanin in Serbia nel 2008. Dal 2016 è presidente della Conferenza episcopale internazionale dei Ss. Cirillo e Metodio che comprende i vescovi dai Paesi della ex Repubblica di Yugoslavia. Dal 2021 è vicepresidente del Ccee. Nel 2022 papa Francesco lo ha nominato arcivescovo metropolita di Belgrado.

(Foto Diocesi di Belgrado)
Eminenza, la sua nomina cardinalizia è diventata motivo di gioia per tutta la Serbia e non solo per i cattolici. Come è stata percepita questa notizia?
Papa Francesco ci ha veramente sorpreso con questa nomina che ha generato un’ondata di gioia e orgoglio positivo nel Paese e nei cuori dei miei amici. Per non parlare della mia famiglia! Le autorità statali e religiosi del Paese, qui penso ai rappresentanti delle varie Chiese e comunità religiose, mi hanno subito fatto i migliori auguri. Per la prima volta la Serbia ha un cardinale, una realtà di alto significato per la Chiesa cattolica nel Paese, ma non solo, anche per tutti i cittadini. L’annuncio della nomina è avvenuto durante il Sinodo dei vescovi nell’ottobre 2024, e siccome io ero uno dei delegati, dopo il mio ritorno a Belgrado ho dovuto sostenere più di venti interviste.
Qual è la situazione della comunità cattolica in Serbia, quali sono le sfide e le gioia?
La comunità cattolica in Serbia è una Chiesa relativamente piccola, circa il 4% della popolazione, ossia attorno ai 300mila fedeli su 6,3 milioni di abitanti. La maggior parte dei cattolici vive in Vojvodina, una regione che fino al 1918 apparteneva all’impero austro-ungarico. Pochi sono i cattolici di provenienza serba, forse qualche centinaia. Questo porta con sé anche il fatto che siamo minoranza in doppio senso: sia religiosa come anche etnica in Serbia. I cattolici di provenienza ungherese costituiscono la stragrande maggioranza dei fedeli, circa il 75 percento, il resto sono Croati, Slovacchi, Cechi, Rumeni, Ucraini, Ruteni… Questa ricchezza dei gruppi etnici fa sì che dobbiamo sempre essere molto attenti alla lingua ufficiale nelle nostre celebrazioni liturgiche. La lingua comune è sicuramente un problema, ma d’altra parte la varietà delle liturgie, dei canti e costumi rallegra tutti noi. Siamo veramente una Chiesa cattolica nel senso migliore, una Chiesa che raduna diversi popoli, nazioni, culture e lingue. Questo esige uno sforzo enorme da parte di tutti noi, sapendo anche che questi territori sono conosciuti per problemi nazionalistici.
Rimane il problema delle proprietà non ancora restituite da parte del governo alla Chiesa cattolica in Serbia. Qual è lo stato della questione?
Il problema veramente esiste da moltissimi decenni, purtroppo la cosa non va avanti. Io dico sempre che manca la volontà politica per risolvere questo problema, non mi sembra che ci sia un progresso in questa materia.

(Foto Diocesi di Belgrado)
Qual è lo stato delle relazioni con la Chiesa ortodossa in Serbia?
La relazione con la Chiesa ortodossa è, secondo me, in una fase di miglioramento. Io, personalmente, ho buoni contatti con quasi tutti i vescovi ortodossi nel Paese, e anche con le istituzioni ortodosse. Naturalmente, questa relazione si limita ai contatti personali, partecipazione nelle feste liturgiche, teologiche, però non include momenti di preghiera o sforzi ecumenici. Noi abbiamo bisogno di molto tempo per cambiare la mentalità della percezione del mondo cattolico nella società serba. Purtroppo, esistono antiche schematizzazioni sulla realtà cattolica, sul ruolo del Vaticano e la Santa Sede nel mondo slavo, specialmente serbo. Qui si tratta molte volte più di percezioni più che di un dialogo razionale, basato sulle fonti storiche.
Dal 1° novembre, in seguito alla caduta di una tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad, in tutta la Serbia sono in corso massicce proteste dei giovani. Crede che si debba cercare una via di dialogo tra i manifestanti e le autorità?
Senz’altro il dialogo tra i giovani e il governo sarebbe molto importante. Esiste un’energia positiva tra i giovani; c’è anche un sostegno della stragrande maggioranza della società verso queste proteste. Speriamo che tutto sarà risolto in maniera pacifica, e qui devo dire che tutte le parti sono molto costruttive.
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