Direttore Pompei: Un disoccupato intervistato in attesa della festa di San Giuseppe

Di Pietro Pompei

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Mi è stata chiesta una testimonianza del mio vivere cristiano come padre, nella festa di San Giuseppe, in un momento particolarmente difficile della mia vita: ho perso il lavoro e sono stato posto in cassa integrazione. Anche la BeKo è in crisi…

Che posso dire? Spesso mi ritrovo a guardare i miei due bambini con il pensiero rivolto al futuro, senza trovare una via d’uscita, immerso in un vuoto senza speranza. Si parla ancora di flessibilità, come se fossimo oggetti buoni per qualsiasi uso. Ma flessibili per cosa, se ogni richiesta di lavoro riceve sempre la stessa risposta: “In questa crisi non possiamo assumere, anzi, presto saremo costretti a licenziare”?

L’altro giorno mio figlio più piccolo mi ha chiesto quanto sarebbe stato grande il suo uovo di Pasqua. Dalla mia espressione ha capito subito che quest’anno, forse, non ci sarà nessun uovo di Pasqua. La sua reazione mi ha spezzato il cuore: è scappato in camera piangendo e ha sbattuto la porta. In quel momento, mi sono sentito poverissimo, non solo materialmente, ma anche di tutti quei valori che un tempo ci venivano insegnati, come la capacità di rinunciare. Mi sono chiesto: che educazione ho dato ai miei figli, se per loro la Pasqua si misura in base alla grandezza di un uovo di cioccolato?

La disperazione, quella vera, nasce da questi pensieri. Molti padri, schiacciati da domande tanto devastanti, scelgono di rinunciare alla vita. E la società, sbrigativa, si limita a mettere un cartellino sulla bara: “Era depresso”.

Fino a poco tempo fa, nei pochi momenti liberi dalla televisione, parlavo con mia moglie del futuro dei nostri bambini, immaginandoli realizzati in un mondo che valorizza l’avere più che l’essere. Poi, all’improvviso, tutto questo svanisce come un sogno. La realtà diventa dura, implacabile, e persino dormire diventa difficile. Il sussidio che ricevo non basta a soddisfare le esigenze a cui i nostri figli erano abituati.

Ricordo un libro dei miei anni di scuola, dal titolo significativo: Quale Futuro? All’epoca, le prospettive erano molte, le speranze galoppavano. Oggi, non sono neanche più capace di farmi la domanda. La disoccupazione è entrata nel nostro linguaggio quotidiano come una qualsiasi altra parola, ma non è così: i veri ammortizzatori sociali non sono quelli economici, ma i valori autentici dell’uomo. E quelli, ormai, sembrano perduti. Serviranno generazioni di sacrifici per riacquistarli.

Privarsi di qualcosa in un mondo che, attraverso una pubblicità sfrenata, alimenta costantemente il sentimento dell’invidia, è diventato quasi una bestemmia. Questa situazione non favorisce certo l’approccio religioso. Anzi, spesso si guarda alla fede come a una concausa del nostro malessere. I Santi, più che venerati, vengono quasi invidiati: si immaginano immersi in una beatitudine che li rende distanti dai nostri problemi. San Giuseppe, poi, per me era solo un nome: il 19 marzo era sempre stato il giorno degli auguri e dei regali.

Fin da bambino ho avuto un rapporto difficile con i Santi. Me li hanno sempre presentati come figure perfette, quasi inavvicinabili, come quei compagni di scuola bravissimi e, per questo, antipatici.

Di San Giuseppe mi sono ricordato un giorno, mentre cercavo disperatamente una soluzione per pagare diverse bollette urgenti. Suor Francesca, una cara amica di famiglia, mi raccontava spesso delle difficoltà incontrate nel gestire gli anziani dell’istituzione Pelagallo di Grottammare. Quando non sapeva più come fare, si affidava a San Giuseppe: “Ne ha passate tante, sa come fare”, mi diceva. Così ho provato anch’io. Non mi aspettavo un miracolo, ma la serenità che ho trovato nel sapere di avere un amico a cui rivolgermi mi ha aiutato a trovare una soluzione.

Da quel giorno, San Giuseppe è nei miei pensieri e nelle mie preghiere. Ho cercato di conoscerlo meglio, di approfondire la sua vita, e ho scoperto le tante sofferenze che ha affrontato per proteggere Gesù e la Madonna. Sto riacquistando coraggio, accettando il compito che il Signore mi ha affidato: proteggere e sostenere la mia famiglia. E, come San Giuseppe, mi affido alla Provvidenza, anche se le difficoltà continueranno a sembrarmi insormontabili.

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