(Foto ANSA/SIR)

Alessandro Di Medio

È di pochi giorni fa la tragica vicenda del suicidio di Andrea Prospero, che a soli 19 anni si è tolto la vita perché oppresso dall’ansia per gli studi. Il fatto che, a quanto dicono gli inquirenti, abbia subito pressioni verso tale terribile decisione da parte di un ragazzo di poco più giovane di lui, e che sia stato un terzo ragazzo a vendergli la sostanza fatale, da un lato rende la vicenda ancora più orribile, ma dall’altro ci impone una lettura spirituale di quanto avvenuto, che ci sia di monito e ci aiuti nella vigilanza – pur sapendo in anticipo che riflessioni di questo tipo sono solo mere Cassandre rispetto a una dinamica schiacciante che sembra andare costantemente in un altro senso, e verso la quale c’è da chiedersi se la Chiesa sia attrezzata per proteggere i suoi figli ancora una volta dalle insidie del male.

Perché di male, nel senso più sottile, spirituale (ma sarebbe meglio dire demoniaco), si tratta: quando un pensiero nero si fa strada nel fondo buio del cuore, in quello spazio vuoto della creatura in cui essa sperimenta la sua fragilità e trova una vocina ingiustamente accusatoria a inchiodarla con la menzogna dell’apparente impossibilità del vivere.

Qui la “normalità” invocata dagli inquirenti non c’entra proprio niente: “Ma come? Era un ragazzo normale, da una famiglia normale!” Il punto è che questa insidia, la tentazione di fondo di ritenersi sbagliati, inadatti, non amabili, è proprio la normalità, perché ci riguarda tutti, e più che mai concerne la generazione senza padri dei più giovani. Il fondo del nostro cuore è un campo di battaglia perenne, e noi abitualmente vogliamo fuggire da questa lotta costruendoci architetture di anestetici e facciate che possano illuderci che non c’è nessun problema, che va tutto bene – salvo poi quei momenti inquietanti, di crisi, di angoscia o di panico, in cui da quel vuoto quella vocina torna a gridare.

La persona, lasciata a se stessa e al suo senso di nulla, come combatterà questo pensiero corrosivo e ronzante, che suggerisce interpretazioni in negativo che paiono persuasive?

Tornerà forse a provare a tacitarlo, continuando a scappare e di fatto strutturando una vita tutta nel segno di quell’idea negativa che voleva negare: un’alienazione del quotidiano che porterà, alla fine, a epitaffi come “Era un gran lavoratore”, “Era proprio una brava persona”, senza sfiorare minimamente la verità, le lotte e dunque anche la dignità di chi siamo stati.

Oppure può provare a combatterlo, e il primo passo è chiamarlo per nome, dirlo: la luce della comunicazione è esiziale per i pensieri neri, che prosperano nel buio dell’inespresso. Ma il punto è qui: a chi dirli?

L’errore di questo ragazzo è stato pensare di poter consegnare i suoi fardelli interiori a persone messe peggio di lui, mentre la prima regola della lotta spirituale è che le tentazioni si confidano sempre e solo a persone che sono più avanti di noi nel cammino di fede e di maturità umana. La direzione spirituale e, in un certo senso, la confessione auricolare nascono proprio tanti secoli fa nel deserto come terapie della e con la parola contro i pensieri tentatori: l’apertura del cuore si fa solo con chi può connetterci allo sguardo di Dio su di noi, che con il suo amore incondizionato contraddice la lettura che della nostra vita è offerta dalla tentazione. Collocare le proprie angustie nell’orizzonte più ampio offerto da uno sguardo spirituale le ridimensiona e le oggettiva, mostrando che non dicono la verità su di noi, ma che sono appunto interpretazioni parziali e difettose.

Ma ci sono oggi abbastanza preti, o anche laici adeguatamente formati, disposti a farsi carico dell’onere grande e bello dell’ascolto? Un ascolto che da certe letture attiviste e filantropiche dell’essere Chiesa viene visto come una perdita di tempo, e che invece, secondo la tradizione bimillenaria della nostra fede, è il primo e fondamentale strumento per stanare il male che si cela nelle pieghe del nostro animo e per combatterlo efficacemente.

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