LORETO – Quale speranza ci sia per la Chiesa delle Marche; quali siano le fatiche e i timori principali dell’essere discepoli missionari; che cosa allontana le persone dalla Chiesa; come si possa diventare testimoni coraggiosi e zelanti della Buona Novella; quali siano le sfide dell’annuncio della Parola nel prossimo futuro e come affrontarle; quali sentieri si aprano per chi trasmette la fede in una comunità cristiana: di questo e di molto altro si è parlato durante il Giubileo regionale dei catechisti delle Marche, che si è svolto a Loreto, Domenica 23 Marzo 2025, a partire dalle ore 9:30.
Sono stati oltre 600 i catechisti, provenienti da tutta la regione, che hanno vissuto una giornata di formazione, grazia e spiritualità, attraverso tre momenti significativi:
– l’intervento di mons. Gianpiero Palmieri, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana e vescovo delle Diocesi del Piceno;
– la testimonianza di alcuni catechisti “artigiani” dell’annuncio, ovvero alcune figure della Chiesa marchigiana impegnate nella trasmissione della fede;
– la Celebrazione Giubilare, con il pellegrinaggio e la Santa Messa presieduti da mons. Franco Manenti, vescovo di Senigallia e delegato per la Catechesi per la Conferenza Episcopale Marchigiana.
Presente, per le Diocesi del Piceno, una delegazione di catechisti guidati dalla prof.ssa Suor Jolanta Sadowska e dal prof. Luca Marcelli, responsabili dell’Ufficio Catechistico diocesano rispettivamente per le Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto e di Ascoli Piceno.
“Pellegrini di speranza: quali piste si aprono per chi trasmette la fede in una comunità cristiana?”
Dopo i saluti di mons. Fabio Dal Cin, arcivescovo di Loreto, e la preghiera comunitaria guidata da mons. Francesco Manenti, la mattinata è entrata nel vivo con la testimonianza dei coniugi Francesco e Nicoletta, genitori di 8 figli, di cui 5 naturali e 3 presi in adozione, i quali, attraverso la comunità Papa Giovanni XXIII, vivono la speranza in un contesto segnato dalla disabilità. I due hanno raccontato la difficoltà ad avere speranza in queste situazioni, ma al tempo stesso anche la possibilità di farlo. “La nostra forza è che abbiamo scoperto che il Signore sta in mezzo ai poveri – hanno detto -. E se Lui è in mezzo ai poveri, allora significa che è possibile starci. E che starci è anche una missione”.
Dopo la testimonianza carica di speranza dei due sposi, è stata la volta di mons. Gianpiero Palmieri, il quale, partendo dal brano evangelico dei discepoli di Emmaus, ha arricchito i presenti con un contributo dal titolo “Pellegrini di speranza: quali piste si aprono per chi trasmette la fede in una comunità cristiana?“. Queste le parole dell’arcivescovo Gianpiero Palmieri: “Da molto tempo ormai, quando parliamo di annuncio, sembra che ricominciamo ogni volta daccapo. Analizziamo bene il contesto, conosciamo bene la meta, ma poi sembra che ci manchi il carburante. Forse allora ci manca qualcosa di più profondo: la speranza. Questo sentimento che sentiamo non è nuovo nel Vangelo. Ci sono diversi passi che potrebbero essere presi come riferimento, ma oggi abbiamo scelto i discepoli di Emmaus“.
Il prelato ha ripercorso la storia dei due discepoli che lasciano il cenacolo per tornare a casa, delusi e stanchi: le speranze disattese, la reazione della comunità che a loro sembra delirante, l’incontro con Gesù Risorto che torna a prenderli per ricompattare la sua comunità ma che non viene riconosciuto, le discussioni fra i due, la predica di Gesù, il cuore che si scalda, l’arrivo a casa, fino al memoriale dell’ultima cena, un gesto che apre loro gli occhi e fa ricordare ogni cosa. “Permettetemi un guizzo di fantasia – ha detto mons. Palmieri –: nel buio della notte i loro vestiti sono diventati bianchi come quelli dei due testimoni della Resurrezione. Da timorosi e spaventati, sono diventati coraggiosi e zelanti. Nella Chiesa di oggi i discepoli di Emmaus sono tanti. Sono tanti, cioè, coloro che sentono la fatica e il timore di essere discepoli missionari“.
Il vescovo Gianpiero ha poi esaminato quali siano i comportamenti che allontanano le persone dalla Chiesa e li ha sintetizzati in due particolari comportamenti: “Prima di tutto la Comunità Cristiana viene spesso vista come un luogo di catechesi per ricevere i Sacramenti o per intrattenere giovani, non invece come uno spazio in cui gli adulti possano trovarsi bene ed intessere delle belle relazioni. In secondo luogo spesso ci sono anche molte divisioni all’interno della Chiesa, tra un gruppo e un altro oppure tra persone dello stesso gruppo: quando qualche nuovo membro, ad esempio, viene inserito, subito viene tirato a destra o a manca per essere inserito in uno schieramento. Questo, dall’esterno, ci fa sembrare una comunità delirante”.
Mons. Palmieri ha tracciato tre possibili sentieri per combattere il rischio dei discepoli di Emmaus.
“Il primo è la sinodalità, che ci dice che tutti hanno spazio di parola e che insieme facciamo discernimento e prendiamo decisioni – ha spiegato –. Le nostre comunità non possono essere luoghi in cui c’è un capetto che comanda e che si circonda dei suoi preferiti, bensì sono luoghi in cui ognuno può dire la sua. In tal senso i Consigli Pastorali non più da considerarsi solo consultivi: il parroco, infatti, può solo bloccare tutto nel caso in cui una decisione sia in contrasto con i valori cristiani. Ma solo in quel caso. In tutti gli altri casi le decisioni del Consiglio Pastorale Parrocchiale sono efficaci. La sinodalità ci spinge ad essere comunità cristiane adulte, fatte non solo di ragazzi e giovani, ma di famiglie che non hanno timore di discutere, confrontarsi e prendere decisioni, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo e mantenendo la comunione. Ci vorrà del tempo affinché i preti ed i laici comprendano pienamente la sinodalità, ma stiamo andando in quella direzione. Papa Francesco ha fatto sapere che nel 2028 si farà un primo bilancio di come starà andando la sinodalità nelle varie comunità cristiane.
La seconda pista è l’ascolto con il successivo discernimento, due atteggiamenti profondissimi ed importanti, perché c’è in gioco il primato della Grazia. Ascolto non significa: ‘Io ho ragione, tu devi solo capire. Appena avrai capito, avremo risolto’. No! Siamo chiamati a seguire l’esempio dei discepoli di Emmaus, che sono aperti all’ascolto di uno sconosciuto, che magari ha la Verità, quella di Cristo. I momenti dell’ascolto sono tre: l’ascolto della Parola, l’ascolto tra di noi in parrocchia e l’ascolto del mondo, cioè di coloro che in chiesa non sono mai venuti o se ne sono andati. Se l’ascolto viene fatto nel modo giusto, allora si è pronti al discernimento comunitario, che purtroppo è quello più difficile. Uno strumento è la conversazione nello Spirito, che può condurre a fare scelte non necessariamente di buon senso o giuste, ma scelte anche coraggiose, se sembrano essere guidate dallo Spirito Santo.
Ecco la terza pista per essere discepoli missionari per gli adulti: quando siamo stanchi, quando ci sentiamo delusi o senza speranza, siamo chiamati a rinnovare l’incontro con il Signore e a raccontarlo agli altri. È importante privilegiare l’evangelizzazione degli adulti e delle famiglie. La trasmissione della fede funziona se avviene in un contesto d’amore. Molti giovani purtroppo non hanno questo contesto d’amore, perché purtroppo molti genitori sono cresciuti con idee sbagliate: prima la mia felicità, poi quella degli altri; prima la mia realizzazione, poi il resto. Ecco perché in molte comunità ci sono icnontri di prima evangelizzazione e di sostegno alla genitorialità”.
Palmieri ha dato anche alcuni suggerimenti pratici:
– pensare alle catechesi per le famiglie, non come rivolte a delle coppie, ma a singoli liberi e responsabili, aiutando gli adulti a navigare nel loro mondo interiore, riconoscendone pensieri e sentimenti e cercando di intuire cosa stia facendo lo Spirito Santo in quei cuori;
– curare la prossimità con le famiglie, cercando di comprendere come ognuno viva le relazioni con l’altro, con i figli e con il mondo, come stia dentro la sua vita e a che posto metta Dio nella sua vita;
– modificare l’approccio nei confronti degli adulti, proponendo, oltre all’incontro di catechesi, anche gruppi in cui possano stare bene: “prima di portarli al cenacolo – ha detto –, occorre una via nel mezzo; prima della parrocchia occorrono luoghi e spazi in cui poter vivere una mediazione in vista dell’Eucaristia domenicale”.
“È appena l’aurora. Orizzonti di Speranza per la catechesi?”
Dopo il pranzo, consumato comunitariamente nei locali della delegazione pontificia, il pomeriggio si è aperto con una sessione dal titolo “È appena l’Aurora. Orizzonti di Speranza per la catechesi?”. La tavola rotonda è stata moderata dal prof. Luca Marcelli, direttore dell’Ufficio Catechistico della Diocesi di Ascoli Piceno e membro dell’Ufficio Catechistico regionale, il quale ha esordito con parole di gratitudine verso tutti i catechisti presenti: “Grazie per aver accolto il mandato nelle vostre comunità. Grazie perché avete raccolto una sfida, quella di prendersi cura delle persone che vi sono state affidate. Una sfida che si fa sempre più impegnativa“.
Marcelli ha poi introdotto il tema del dibattito pomeridiano, sottolineando la necessità di lasciare alle spalle le strade percorse in passato e di guardare con fiducia e speranza ai sentieri che si aprono nel presente: “Ci siamo lasciati stamattina con una domanda: ci sarà speranza per la Chiesa marchigiana? La prima risposta è che ci sarà speranza, se le comunità cristiane daranno la priorità all’evangelizzazione degli adulti e non si limiterà a distribuire Sacramenti. Per fare questo bisogna comprendere bene le priorità. In genere nelle parrocchie l’ordine che si segue è il seguente: prima si scelgono i programmi di catechismo, poi si cerca di reperire i catechisti, infine ci si chiede come coinvolgere la comunità. Invece il Documento Base sul rinnovamento della catechesi dice testualmente: ‘Prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali. Infatti come non è concepibile una comunità cristiana senza una buona catechesi, così non è pensabile una buona catechesi senza la partecipazione dell’intera comunità’. Pertanto l’ordine corretto da seguire dovrebbe essere esattamente il contrario: prima la comunità cristiana, poi i catechisti, infine le proposte di catechesi”.
A testimoniare la loro esperienza e a dare consigli pratici su come fare sono state alcune figure della chiesa marchigiana impegnate nella trasmissione della fede: don Paolo Vagni, della Diocesi di Senigallia, responsabile diocesano e regionale della Pastorale Giovanile; i coniugi Laura Palmucci e Gabriele Cardinali, dell’Ufficio regionale di Pastorale Familiare, che appartengono alla Diocesi di Macerata; Barbara De Vecchis, della Diocesi di Ascoli Piceno, referente diocesana del cammino sinodale.
Nel corso della piacevole chiacchierata gli ospiti hanno affrontato numerosi argomenti: dall’Eucarestia, “che ha a che fare con la vita e non con le catechesi”, al compito dei catechisti, che è quello di “far sperimentare la salvezza di Dio che passa attraverso la vita di ciascuno”; dalla famiglia, che è una “buona palestra di vita per riportare nella comunità quello che si impara”, all’essere “artigiani pazienti, che ogni giorno stanno sul pezzo a lavorare con pazienza operosa sulle relazioni, che sono in ascolto di tutto, che educano, evangelizzano e creano alleanze per costruire comunità cristiane allargate, in cui si compie insieme un cammino e si spera”; dal bisogno di “trascorrere del tempo inutile con le persone, condividendo la vita, le paure e le gioie”, all’importanza di “essere prima di tutto testimoni” e di “chiedersi sempre chi facciamo il servizio, se per noi o per i ragazzi”.
“Persone che sperano e che, con l’esempio, testimoniano”
Il pomeriggio si è concluso con tre momenti di spiritualità molto profondi. Prima di tutto i catechisti si sono messi in cammino e hanno fatto un breve pellegrinaggio, partendo dalla basilica inferiore. Giunti nella basilica superiore, hanno poi celebrato la Santa Messa, rinnovando le promesse battesimali e chiedendo perdono per le varie mancanze della loro vita. I pellegrini infine hanno visitato la Santa Casa per vivere un momento silenzioso di preghiera personale.
Queste le parole del vescovo Franco Manenti durante l’omelia: “Quando nella nostra vita ci sentiamo rivolgere delle parole minacciose o che avvertiamo come minaccia, la nostra reazione è di difesa o di resa. È questa la reazione che dobbiamo avere alla Parola di Gesù appena proclamata? ‘Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo’. La Parola di Gesù è una minaccia o la possiamo tradurre in un altro modo? Io penso che dal contesto del Vangelo, compresa la parabola, questa appena letta non debba essere una Parola considerata minacciosa, quindi da cui difenderci o che ci deve scoraggiare e far arrendere, bensì un forte ed appassionato avvertimento da parte di chi ha a cuore la nostra vita. In gioco, nell’invito di Gesù a convertirci, c’è la nostra vita. Al Signore sta a cuore la nostra vita, sia quella che trascorriamo sulla terra, che non vuole risulti ai nostri occhi vuota, insignificante o priva di ogni speranza, sia quella che ha in serbo per noi, al termine di questa esistenza terrena”.
“Cosa significa il monito ‘Convertitevi!’? A chi dobbiamo convertirci? – ha proseguito il prelato – Nelle paorle del Vangelo non ci vengono date indicazioni al riguardo. Però le possiamo ricavare dalla predicazione e dalla vita di Gesù. Quando Gesù inizia la sua predicazione, dice: ‘Convertitevi al Vangelo!’ Quindi alla Buona Notizia. E qual è questa Notizia? Poco prima Gesù aveva detto: ‘Il Regno è vicino’. Questa è dunque la Buona Notizia: Il Dio potente, il Signore, il Dio che creato l’universo, il Dio che tiene in mano la vita dell’universo, si fa prossimo, si avvicina nella vita dell’uomo. E si avvicina con tutta la potenza del suo Amore. È questa la Notizia a cui Gesù ci chiede di convertirci, cioè di girare, di orientare la nostra vita. A quale conversione siamo chiamati a dare seguito in questo periodo di Quaresima e in questo Anno Giubilare? Al riconoscimento che la nostra vita è abitata da un Dio che è grande, potente e fedele nel suo amore, un Dio che vuole riscattare l’umanità dalla paura. La paura che la vita perisca, la paura della morte. Tante volte nella nostra vita, la morte fisica viene anticipata da situazioni di morte, da situazioni in cui è venuto meno lo slancio della speranza, la libertà del cuore, la disponibilità ad amare”.
Ha concluso mons. Manenti: “Mi rivolgo a voi catechisti delle nostre Chiese delle Marche. Ringraziamo il Signore per questa giornata splendida: nell’esserci raccolti, ci siamo ascoltati, abbiamo condiviso, ci siamo confermati nel riconoscimento che Gesù è la nostra speranza. Lo è innanzitutto per noi, per il nostro essere nelle nostre comunità coloro che accompagnano il cammino di fede dei ragazzi, dei giovani e degli adulti. Questo ci chiede di essere uomini e donne che sperano e convertono la loro vita alla speranza, a Gesù, alla Buona Notizia del Vangelo, per poter a nostra volta raccontare, con la nostra esistenza, che c’è una Speranza a cui volgere il nostro cuore, a cui convertire la nostra vita: è Gesù, il Figlio di Dio che ha dato la sua vita per noi e che ci accompagna nel cammino della nostra vita. Il gesto che abbiamo compiuto prima dell’Eucarestia è stato un gesto significativo, grande: abbiamo camminato, non dietro ad un oggetto, ma dietro alla croce, al crocifisso: Gesù Cristo, il crocifisso risorto, nostra Speranza”.
La giornata è stata l’occasione, per tutti i catechisti presenti, non solo per riflettere sull’importanza del prezioso servizio che svolgono nelle parrocchie e nelle diocesi, ma anche per focalizzare l’attenzione su ciò che è veramente importante, per confrontarsi gli uni con gli altri e per ritrovare nuovo slancio e rinnovato entusiasmo per la missione che li attende.