
“La misericordia non è solo assolvere, ma abitare le fragilità dell’umano”. Missionario della misericordia, don Luca Ferrari è docente di Teologia e accompagnatore spirituale all’Università Cattolica. In questi giorni è a Roma per il Giubileo dei sacerdoti istituiti come “Missionari della Misericordia”.

(Foto SIR)
Lei è missionario della misericordia dalla prima ora. In che misura questo mandato ha inciso sul suo modo di essere sacerdote e sul rapporto con la comunità?
Ho ricevuto questo mandato in modo particolare. Dal 2000 ero responsabile del servizio confessioni alle Gmg e durante il Giubileo ero stato coinvolto intensamente. Questo ha maturato in me un legame profondo con la Riconciliazione. Nel 2016 l’istituzione dei missionari della misericordia è stata una sorpresa. Mi è sembrata un’intuizione luminosa: il Papa ha voluto associare al suo ministero alcuni sacerdoti per portare la misericordia dove ce n’è più bisogno. È un mandato grande. Lo vivo in sintonia con le “24 ore per il Signore”, a cui partecipo fin dall’inizio.
In tante notti ho visto fiorire il bisogno di Dio, la nostalgia di una parola di perdono. E ho capito che là si tocca davvero la vita di Dio.
La misericordia è spesso invocata, ma raramente compresa nella sua concretezza. Dove vede oggi le ferite che la rendono necessaria?
Quando c’è un bisogno speciale di misericordia, le persone cercano qualcuno che sia lì per questo. Non penso solo ai peccati riservati alla Sede Apostolica per le qual ci sono state attribuite specifiche facoltà, ma a tante situazioni complesse in cui giovani e adulti si sentono impigliati. Vite che cercano ascolto, dignità, accompagnamento. Lo vedo anche all’Università Cattolica, dove insegno e accompagno studenti. Se la mia generazione peccava forse di superficialità, quella di oggi rischia di restare bloccata: dubbi, scrupoli, paure. Anche l’esperienza di Dio può diventare paralizzante. Eppure vedo una disponibilità nuova, sorprendente. Dal 2016 ho trovato tante porte aperte.
Che cosa ha imparato ascoltando da vicino la sofferenza? In che modo il dolore si fa domanda di Dio?
Ho frequentato ambienti segnati da grande sofferenza: carceri, terrorismo, ferite che hanno toccato anche la vita ecclesiale. Questo ha influito sul mio insegnamento: tengo un corso su perdono, memoria e giustizia. Non offro semplicemente letture teoriche: racconto storie, ascoltiamo chi ha vissuto certe esperienze.
Le domande vere nascono lì, con loro. Anche chi appare distante si scopre toccato. Le domande fondamentali ci abitano tutti. Quando è posta con chiarezza la domanda, si cerca il metodo adeguato per una risposta.
Nel confessionale ha mai percepito l’urgenza del perdono come unica via per non soccombere?
Molte volte. Il peso delle storie è grande, ma anche chi ha vissuti difficili ha risorse inattese. Certi blocchi oggi sembrano diffusi. Penso a due ragazzi che hanno perso il fratello e il padrino nella guerra in Ucraina. La loro testimonianza ha colpito anche altri giovani, all’apparenza lontani, ma in realtà coinvolti. Frequentare queste situazioni con naturalezza e affetto trasmette tranquillità.
Le persone si aprono, spesso nei momenti più inattesi. Come quando un figlio dice qualcosa di importante ai genitori fuori tempo. Capita che qualcuno ti venga a cercare dopo anni per una parola rimasta in sospeso. Tutto questo è grazia.
Il ministero del missionario della misericordia non è solo un’opportunità favorevole. È un dono. Per noi e per i penitenti. C’è una grazia speciale che facilita l’incontro.
- (Foto Vatican Media/SIR)
- (Foto Calvarese/SIR)
Il Giubileo è dedicato alla speranza. Ma oggi la speranza sembra parola logora. In che modo la misericordia può restituirle credibilità e carne?
Le crisi che stiamo vivendo – pandemia, guerre, tensioni – hanno generato uno smarrimento collettivo. Ma forse, più della paura, oggi il vero problema è l’isolamento. L’idea che non si possa condividere nulla, che non esista un orizzonte comune. Il Giubileo rilancia una parola forte: non siamo soli, possiamo sperare.
Tante persone, oggi, credenti e non, stanno compiendo cammini sinceri. Ci si mette in discussione, si dialoga senza pregiudizi. È un tempo favorevole.
Ci sono non credenti che vivono esperienze spirituali profonde. Giovani musulmani mi chiedono un accompagnamento, vogliono conoscere il pensiero della Chiesa. Anche partendo da percorsi diversi, si avverte una disponibilità inedita. La Chiesa è percepita – non sempre, ma spesso – come sorgente di speranza.
Il Papa ha chiesto che la parola “misericordia” riecheggi nella Chiesa. È un annuncio che libera? O un compito che pesa?
Certamente libera. È qualcosa di entusiasmante. Ogni sacerdote lo sa: quando cadono le paure, quando le barriere si sciolgono, allora la grazia di Dio entra. E non solo nel cuore del penitente. Entra anche nel cuore del sacerdote. Perché noi stessi, in quel momento, diventiamo parte viva di questa grazia.
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